Italia
November 05 2024
«Ritrovai Paestum un mattino di calendimaggio. Il frusciare delle erbe umide sotto i piedi diventava un ronzio cadenzato nella testa e nelle orecchie, come sgradevoli acufeni. Procedendo però e lasciandomi prendere dalla grandiosità dei monumenti intorno, i rumori mutarono in consonanze armoniche che accompagnai con motivi a bocca chiusa, come talvolta si fa quando si cammina da soli».
In questo viaggio a ritroso nel tempo ci guida Vittorio Russo, casertano di Castel Volturno, capitano di lungo corso (e un po’ corsaro, come dice lui), giornalista, viaggiatore e scrittore di saggi e racconti: una vita dedicata a reportages dall’Italia e dal mondo che hanno il pregio di essere stati vergati praticamente in diretta, con una narrazione autentica, spesso lirica, capace di far parlare uomini e tempi, vestigia e imprese.
Comandante, questa volta la ritroviamo con i piedi ben saldati a terra…
«Ogni mio passo avanti fra quelle rovine preziose equivaleva all’avanzare indietro di secoli nella loro storia quasi trimillenaria. La raccontavano umilmente il bisbiglio degli insetti che proveniva dalle siepi e dalle stoppie ancora fresche di sfalcio. Un odore dolce si levava dal fieno appena indorato e non ancora ammucchiato, dai pini e dei cipressi irsuti. Ma c’era a raccontare soprattutto la voce silenziosa delle pietre, quella delle colonne doriche, delle trabeazioni, dei timpani e dei glifi che scultori muti hanno trasmesso all'eternità».
Una rotta nel cuore della classicità, tanto per rimanere in tema di navigazione.
«Infatti. Indugiai a lungo camminando lungo la via della Magna Grecia fra Porta Giustizia e Porta Aurea, seguivo una rotta, grato alla solitudine che rendeva ancora più impenetrabile gli echi di vita che giungevano a me da lontananze storiche inimmaginabili. Questi luoghi erano abitati già da molti millenni prima della venuta dei Greci, che erano stati i fondatori della Poseidonia arcaica. Ne rendevano testimonianza manufatti e ruderi di antiche abitazioni che si fanno risalire all’età del bronzo, al III millennio a.C.».
Il sito è una sorta di miniera del passato…
«E come poteva essere diversamente! Questi frammenti sono stati rinvenuti nei pressi della Basilica (si tratta del tempio di Hera…), a sud del parco archeologico, il più antico dei grandi edifici di Paestum. Reperti anche anteriori, risalenti al neolitico, sono stati scoperti non lontano dal tempio di Cerere (quello di Atena, caratterizzato dal timpano solenne) che si trova dalla parte opposta della Basilica, presso i resti della cosiddetta Porta Aurea».
Attendiamo la sua descrizione!
«Ho percorso il tratturo fra i due templi fermandomi nell’area centrale del parco archeologico. È uno spazio immenso compreso fra il Comitium e la Curia. In tempi remoti quest’area era attraversata da un fiumiciattolo che separava verosimilmente le lievi alture su cui sorgono i santuari più importanti della città. Il fiumiciattolo, scomparso giù in tempi lontani, è ora occupato dal Foro di epoca romana. Una volta era circondato da portici con imponenti colonne doriche e edifici pubblici importanti con il Comizio a nord e il Mercato (Macellum) a sud. Era questo il cuore pulsante della città romana che mi è piaciuto immaginare vivace di vita quotidiana, con venditori ambulanti, tabernae e botteghe».
Paestum è l’antica Poseidonia…
«Esattamente, fondata nel VII sec. a.C. da coloni provenienti da Sibari, sullo Ionio, che svilupparono questo insediamento come altri sulla costa tirrenica con funzioni di empori commerciali. Ai sibariti si deve la costruzione del tempio di Hera (La Basilica). Intorno al 500 a.C. la città conobbe il suo massimo splendore perché qui si rifugiarono profughi sibariti a seguito della distruzione della loro città da parte dei crotonesi. È in questa stessa epoca che furono edificati gli altri templi di cui restano le importanti attuali rovine: il tempio di Atena (detto anche di Cerere) e ultimo quello detto di Nettuno, intorno alla metà del V sec. a.C.».
La Storia, qui, ha tempi lunghi.
«La distanza temporale che ci separa da questi monumenti non rende giustizia delle differenze architettoniche che a un’osservazione più minuziosa, anche un profano riesce a cogliere. Paestum ha vissuto una vita intensa e lunghissima: non è incredibile, perciò, che quello che oggi di essa ci resta non sia facilmente comprensibile. Mi rendo conto di quanto confuse si facciano le idee proprio camminando fra ruderi di età diverse, separate addirittura da decine di secoli».
Descrizione assolutamente aderente alla realtà. È come se si fosse voltato alle spalle, lei che è abituato a tenere lo sguardo fisso in avanti…
«Confesso che il mio sguardo fosse del tutto inadeguato: sapevo di camminare fra i secoli ma non mi riusciva di distinguere i momenti di transizione. Soprattutto perché non ne esistono così categorici, non vi sono nella storia fratture improvvise che definiscono in modo netto il passaggio tra due momenti della vita di un luogo. Così a Paestum. Le erbe crescono accanto a pietre gloriose, le accarezzano quasi e le avviluppano in veli di muschio e forme di licheni che sembrano volerne proteggere la preziosità».
A proposito, ci racconti del Museo. La visita vale tutta l’escursione, ci dicono…
«Si tratta di un gioiello di straordinaria ricchezza, cresciuto nel tempo intorno all’originaria sala unica di decenni fa. Come sempre, molto meglio che gli scavi dei siti archeologici, sono i musei che raccolgono i loro reperti a dare un senso allo svolgersi della vita storica dei luoghi. Il Museo Archeologico di Paestum, con i suoi più recenti allestimenti, documenta in maniera ineccepibile la trasformazione della città, dalla sua fondazione greca fino alla nascita della colonia romana. Si susseguono le età e si percepiscono le modifiche che il centro ha subito attraverso successive conquiste, passaggi generazionali, evoluzione delle popolazioni, dei loro riti religiosi, della vita sociale e dei costumi».
Al suo interno spiccano i reperti delle tombe.
«Innanzitutto, il Museo le accoglie con grande cura. Quelle greche in prevalenza, e fra tutte quella celeberrima detta del Tuffatore, esempio unico di pittura parietale greca a figure rosse risalente al 480 a.C. Le varie lastre di travertino che compongono la tomba sono tutte interamente affrescate con figure umane che rimandano a un simposio con scene conviviali di libagione e manifestazioni di affetto omosessuale. La parte interna della lastra di copertura mostra la scena del Tuffatore, simbolo del passaggio dalla morte alla dimensione ignota dell’aldilà».
Tra queste alcune spiccano per la cura artistica.
«Ricchissima è la raccolta delle tombe lucane e di armature di epoca posteriore (IV sec. a.C.). Generalmente attirano la mia attenzione perché sono quelle le cui lastre sono le più riccamente colorate. Gli affreschi sono, infatti, di una forte vivacità cromatica e abbelliscono le varie tombe con forme umane e di guerrieri a cavallo, ornati di bende e corone. Risalgono ai nuovi abitatori della città noti col nome di Lucani che si mescolarono con i coloni greci autoctoni».
Parliamo degli antichi abitanti della Lucania, cioè della Basilicata!
«Sì, proprio quelli. Erano probabilmente rudi guerrieri mercenari provenienti dai monti, che con gradualità finirono per occupare Poseidonia intorno al 420 a.C. Le cambiarono il nome -Paistom, in lingua osca- da cui quello latino successivo di Paestum, che nel 273 a.C. le diedero i Romani conquistatori della città. Alessandro il Molosso, zio di Alessandro Magno e marito della sorella, affrontò i Lucani proprio a Paistom nel 332 a.C. e li sconfisse. Con la sua disfatta e la morte a Pandosia nel 331, la città ricadde sotto la dominazione lucana».
Guerrieri attrezzati di tutto punto anche nella loro ultima dimora.
«Di queste genti sono rimaste tracce nelle splendide tombe che accolsero le spoglie mortali dei cittadini più autorevoli della città. Sono caratteristiche queste tombe, perché a differenza di quelle greche, contenevano ricchi corredi funerari con affreschi di cavalieri armati accolti da matrone abbigliate con candidi pepli e il capo coperto di veli trattenuti da diademi. Su altre lastre sono raffigurate scene di giochi funebri e personaggi in maschera, momenti di caccia e combattimenti resi con molto realismo da ferite sanguinanti. Altre figure rappresentano uomini con la fronte coronata e indosso toghe e tuniche bianche dai bordi decorati e cinture con borchie dorate».
Beh un’osservazione partecipata, secoli dopo…
«Proprio fra queste tombe, ne ravvisai una, intatta e indimenticabile, affrescata con ocra rossa e gialla a tratti intensissimi. Non è stata mai restaurata, credo di proposito. Ben illuminato fra le lastre distinsi alcuni resti di ossa, forse di un guerriero, e frantumi di una corazza con piastre di bronzo, una punta di lancia e vari altri frammenti. Quello che resta di Alessandro il Molosso? Chissà! Mi piacque crederlo per quel desiderio un po’ sognatore, un po’ folle e irriducibile di dar corpo ai personaggi di cui la storia è intramata».
Paestum merita una visita: l’abbiamo capito!
«Andrea Carandini, affascinante antichista e archeologo, nella sua “La fondazione di Roma” ricordava che, come tanti suoi colleghi, era preso da una febbre, una febbre non dell’oro ma della storia perché in qualche misura appaga tanti vuoti della quotidianità. Noi viviamo da fortunati l’eredità di godere di vestigia impressionanti che meglio di tutto dicono la grandiosità dei monumenti originari. Quando ho lasciato l’area archeologica di Paestum, come già altre volte, ho avuto l’impressione di essere sbarcato da un tappeto volante che avesse viaggiato nei millenni della storia lasciandomi sulla pelle il pulviscolo dei misteri del tempo e dei popoli del passato».
Un vero privilegio, pare di capire…
«Che vorrei fosse vissuto con la mia stessa intensità emozionale da quelli che verranno dopo di noi. Paestum è una delle sbalorditive propaggini storiche di cui trenta secoli ci fanno dono. Una sola cosa possiamo lasciare in eredità al futuro ed è il nostro passato. La risposta alla domanda precedente -se Paestum merita una visita- mi piace riassumerla in questa riflessione».