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July 24 2018
Decine di milioni di pakistani si stanno preparando alle elezioni generali di mercoledì 25 luglio dopo settimane di violenze e omicidi. È un momento cruciale nella storia del Paese, che sin dalla sua indipendenza dalla corona britannica nel 1947, ha visto alternarsi militari e civili alla sua guida.
Anche se un regime militare appare improbabile, nel corso della campagna elettorale non sono mancate tensioni fra l'esercito e uno dei principali partiti in corsa, la Lega Musulmana, che denuncia di aver subito azioni repressive da parte delle forze armate e del potere giudiziario: quasi diciassettemila membri della Lega sono sotto processo per aver violato non meglio specificate regole elettorali e c'è chi dice che le accuse siano parte di una strategia volta a impedirne la vittoria.
Anche i mezzi di informazione denunciano una campagna intimidatoria e una pesante censura, per aver messo in dubbio (giustamente) la trasparenza delle procedure di voto. La stessa Commissione per i diritti umani del Pakistan ha accertato il tentativo di condizionare illegalmente le elezioni. Insomma, il contesto in cui andranno a confrontarsi i candidati alla Presidenza non è dei migliori.
I possibili vincitori sono tre: il leader della Lega Musulmana Shehbaz Sharif, fratello di Nawaz, a sua volta già tre volte premer e allontanato dal potere (dai militari) per uno scandalo legato ad accuse di corruzione per il quale è stato condannato a dieci anni di reclusione. L'ex campione di cricket Imran Khan, che strizza l'occhio ai militari (ma è accusato di non disdegnare simpatie per gli estremisti). Bhutto Zardari, ventinovenne rampollo di una delle famiglie più potenti del Paese, che non ha ancora la statura per reggere un confronto elettorale serrato.
Alle elezioni di domani concorreranno anche una serie di candidati insoliti, alcuni dei quali particolarmente preoccupanti. Da un lato un gruppo di politici transgender che promettono di battersi contro ogni forma di discriminazione, che in un paese come il Pakistan sono certamente tantissime. Dall'altro candidati estremisti, come il figlio e il nipote di Hafiz Saeed, l'uomo sospettato di essere la mente degli attentati di Mumbai del 2008. I voti che riceveranno questi personaggi saranno utili per confermare le paure, le aspirazioni e gli umori della popolazione pakistana oggi.
Secondo i sondaggi, dovrebbe essere Shehbaz Sharif ad aggiudicarsi la contesa. Shehbaz ha incentrato la sua campagna elettorale sull'economia, che oggi versa in condizioni disastrose, ma secondo gli esperti il livello di povertà della nazione è destinato nei prossimi cinque anni ad aumentare anziché a diminuire. Anzi, il fatto che il giovane Shehbaz possa avere bisogno di alleati in Parlamento per ottenere la maggioranza necessaria a governare limita ancora di più l'eventuale efficacia del suo governo.
Più difficile, ma non impossibile, una vittoria di Imran Khan, che però rappresenterebbe una variabile impazzita. Il fatto che in campagna elettorale abbia parlato solo di corruzione lascia immaginare un governo che, almeno agli inizi, si concentrerà sulla "pulizia interna" di ogni forma di opposizione. Mentre la Lega Musulmana garantisce una leadership sperimentata e in continuità col passato, l'avvento di una forza che non nasconde la prossimità a quegli ambienti militari accusati di complicità con Al Qaeda sarebbe preoccupante.
Difficile immaginare come l'America di Donald Trump possa continuare a sostenere un Pakistan che rischia di diventare ancora più instabile, ipotesi che, inevitabilmente, riavvicina quest'ultimo alla Cina, anche a fronte della mancanza di alternative concrete. Non va poi dimenticato che il Pakistan dipende dalla Cina anche sul piano economico: il tentativo di smarcarsi, anche solo parzialmente, dal supporto/dipendenza da Pchino è andato in fumo e Islamabad ha recentemente dato il via libera a un piano di assistenza fiscale di 5 miliardi di dollari, pari a circa la metà dell'ammontare dei contributi che riceve in un anno dall'estero.