Pakistan: un paese distrutto dal contrabbando di eroina

"Liberarsi dall'eroina senza usare altre sostanze è come essere scuoiati vivi, e almeno nei primi giorni crampi, nausea, febbre e freddo non ti abbandonano mai". Sono più o meno simili le dichiarazioni dei pakistani sopravvissuti alle torture dei metodi del "tacchino freddo", che provoca disturbi che medici e psicologi non augurerebbero nemmeno ai loro peggiori nemici. Anche se eroinomani. Perché è stato già abbondantemente dimostrato che si tratta di un sistema impossibile da tollerare e persino poco efficace dal punto di vista dell'eliminazione della dipendenza.

Eppure, in un paese come il Pakistan, dove la dipendenza degli uomini dall'eroina si sta progressivamente trasformando in una piaga sociale, pare che il "tacchino freddo" sia l'unico trattamento che il governo "può permettersi" per aiutare la popolazione ad uscire dal tunnel della droga.

Secondo stime pubblicate dalle Nazioni Unite gli eroinomani pakistani sono più di mezzo milione. Un numero preoccupante in una nazione che conta circa duecento milioni di abitanti. A Karachi il problema è più grave che mai. Perché è qui che vengono smistati gli stupefacenti afghani prima di essere di nuovo spediti in tutto il mondo. E numerose Ong hanno iniziato ad offrire trattamenti gratuiti per i tossicodipendenti locali. Arrivando ad ospitarne nelle loro gabbie fino a un massimo di 4.500 al giorno.

Per il Pakistan raccogliere le risorse necessarie per distribuire il metadone a chi ne avrebbe bisogno, come prevede l'Organizzazione Mondiale della Sanità, non ci sono. E così l'unico modo per liberarsi da una dipendenza che sta rovinando la vita di molti è quello di rinchiuderli in gabbie piccole e sovraffollate in attesa che il desiderio di inettarsi una nuova dose lentamente, e dolorosamente, diminuisca.

In Occidente questo sistema è stato abbandonato da più di cinquant'anni perché considerato "disumano". Ma laddove non esistono alternative, sono i familiari di padri e mariti tossicodipendenti a chiedere che siano "chiusi in gabbia per guarire".

Eppure, l'impossibilità di curare una pericolosa dipendenza con un metodo efficace sta creando problemi sempre maggiori in questa società. Chi sopravvive ai dieci giorni di "reclusione e astinenza forzata", infatti, nella maggior parte dei casi rientra a casa ma non riesce a resistere alla tentazione di drogarsi di nuovo. E quando i familiari, terrorizzati da scatti di rabbia sempre più frequenti e violenti, decidono di cacciarli per sempre, è facile che, pur ricordando con grande nostalgia gli anni in cui la loro quotidianità senza droga li rendeva sereni, se non felici, questi uomini si sentano sempre più frustrati dall'essere costretti all'elemosina per l'impossibilità di trovare un lavoro. E che, con le poche monete raccolte, a fine giornata decidano di comprare nuove dosi di eroina. Che a Karachi, grazie al contrabbando dall'Afghanistan, è più economica persino del pane.

Poco importa che prima o poi qualcuno li raccoglierà dalla strada per sottoporli a un nuovo trattamento di "tacchino freddo". Per uomini che hanno ormai perso ogni speranza, la sensazione di essere "avvolti dalle fiamme" o di essere "trafitti da aghi in ogni punto del corpo" non è nulla se confrontata con la profonda disperazione che (forse) li accompagnerà fino alla fine dei loro giorni.

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