Food
November 18 2023
Parola d’ordine: destagionalizzare. Ci provano in tanti, in molti settori. Ci prova l’hotel aggiungendo servizi, il gelatiere inserendo nella sua offerta la pasticceria, le aziende che si occupano di tartufo investendo in prodotti “a base di”. L’obiettivo è sempre quello, infondere nella gente il desiderio di consumare qualcosa lontano dal periodo dell'anno in cui abitualmente lo collochiamo.
Il panettone è forse l’emblema di questo concetto, nessun prodotto più di lui è legato ad una festività: il Natale. Ne consumiamo milioni di fette, sappiamo ormai tutto del prima, della produzione e degli ingredienti, ma è il dopo che ci sfugge. Cosa succede quando le luci si spengono e le aziende che investono migliaia di euro in ricerca e sviluppo si trovano a fronteggiare una realtà dura, ossia che in Italia il panettone non si vende durante l'anno, e che "di solo panettone non si vive"? Qual è la chiave per destagionalizzare senza perdere il focus sul core business dell’azienda? Lo abbiamo chiesto a Stefano Borromeo AD di Galup, storico produttore piemontese che pare abbia trovato la chiave per estendere i confini naturali del panettone.
Panettoni a Natale come d'estate. Perché non viene raccontata nel modo corretto, ossia come l’esigenza di un’azienda di mantenere la produzione per poter garantire gli stipendi a tutti i suoi dipendenti per 12 mesi all’anno? Sarebbe più vero e magari la gente si sentirebbe più coinvolta.
I clienti comprano con gli occhi e quando presenti un panettone a giugno, in Italia, la gente pensa al Natale, e il Natale non lo vuoi in estate. Bisogna lavorare intorno al concetto di destagionalizzazione, ammorbidirlo, ingentilirlo. Noi ci troviamo a Pinerolo, al confine con la Francia, e i francesi consumano il panettone tutto l'anno e vengono nel nostro spaccio con i pullman anche durante la bella stagione. Questo ci ha spinti a creare il “panettone d'amare”, giocando sulle parole: da mare e da amare, usando per il packaging un soggetto ambientato in spiaggia. Abbiamo lavorato poi sul Thanksgiving Day (il Giorno del ringraziamento nazionale che si celebra negli Stati uniti) da cui è nata l’idea del Galup Turkey, con impasto classico, aggiunta di marrons glacès, lanciato simultaneamente in Italia e nel resto del mondo. L'idea, in questo caso, era anticipare il Natale, farsi conoscere prima delle festività per fare innamorare nuovi clienti che ci avrebbero poi scelto anche a Natale. Abbiamo in sostanza creato un ponte tra la produzione pasquale e quella natalizia e ci ha dato grande soddisfazione in termini di vendite. Segno che il mercato è pronto a recepire il messaggio della destagionalizzazione, basta proporlo nel modo corretto e non forzatamente. La nostra è ancora una produzione artigianale, quando si tarano le quantità bisogna stare attenti a ciò che si fa, non possiamo permetterci un eccesso di invenduto.
Come si vende un marchio ancor prima di vendere un panettone?
«Come amiamo ripetere: il panettone si vende prima di tutto con gli occhi. Abbiamo investito tantissimo nella comunicazione visiva affidando la creatività ad una società di Torino (Noodles Comunicazione) che ha sviluppato nuovi accattivanti packaging. L'estetica è il primo requisito da inseguire, ancor prima del prezzo e del contenuto».
Oggi però si vendono anche le storie, quelle famigliari, ma anche quelle sugli ingredienti.
«La ricerca sull'ingrediente è una questione abbastanza complessa. Il nostro reparto ricerca e sviluppo è in continua evoluzione. Nel 2020 abbiamo realizzato il nostro primo panettone di filiera, con latte e burro di filiera corta e certificata Inalpi, zucchero di Italia Zuccheri, uova e farina, ciliegie e arance candite di origine italiana che ne arricchiscono l’impasto, Nocciola Tonda Gentile Trilobata, mandorle di Avola, zucchero a velo, amido e farina di riso, sale e olio essenziale tutti Made in Italy. Per mantenere la qualità alta bisogna investire sull'ingrediente e innovare con ricette al passo con le richieste del mercato».
Quindi bisogna seguire le mode?
«Non proprio, più che altro le tendenze. Se parliamo di mode, guardandoci intorno capiamo che tutti ormai usano la nocciola IGP e il Bio è un approccio passato o, meglio, dato per scontato dal cliente che ha metabolizzato il concetto. Se parliamo di tendenze, sono tornati i farciti alla crema, protagonisti degli anni '90, e assistiamo all’arrivo in Italia di un flusso anglo americano legato al panettone vegano, una cultura a cui i giovani sono molto attenti rispetto al passato».
Producete anche altro, come le creme spalmabili. Sempre per destagionalizzare?
«La regola base in questo settore è che "di solo panettone non si vive". Non conosco azienda che faccia solo panettoni, pandori e colombe, o comunque sono certo che si possono contare sulle dita di una mano, e parliamo sicuramente di tirature altissime e di produzione industriale. Mediamente, tutti hanno sempre un catalogo a contorno. Noi proponiamo prodotti diversi a base panettone, come il Galup a forma di cuore o le merendine o i bauletti, oppure lavoriamo con materie prime che governiamo da sempre, come la nocciola, con cui realizziamo la sbrisolona, la torta alle nocciole, ed altri prodotti ancora. Inoltre, Galup fin dalle origini produce le praline, quindi ha sempre avuto un'estensione sul cioccolato, perché era nata per essere la rappresentazione di tutta la tradizione piemontese. Con il tempo abbiamo esternalizzato la produzione di cioccolato, acquisendo la Mandrile & Melis, che produce tutto ciò che è a base cioccolato. A catalogo abbiamo anche i krumiri - altra tradizione piemontese -, il torrone, i marrons glacès e molto altro. Infine, abbiamo acquisito un'altra azienda di Alba che fa solo pasticceria fredda e prodotti gelo e usciremo con una linea di biscotti sempre a marchio Galup che entrerà in catalogo il prossimo anno».
Cento anni di attività appena compiuti. Qual è la storia di Galup?
«Galup è un pezzo della tradizione piemontese. Nasce nel 1922 grazie al lavoro di Pietro Ferrua, albese trapiantato a Pinerolo (nell’alto torinese) che proprio lì fondò la sua pasticceria. Fu lui a proporre quella ricetta e quella forma che fecero di Galup qualcosa di riconoscibile al primo sguardo. Ferrua propose un panettone differente da quello classico milanese, in una versione più bassa e glassata con farina di nocciole, mandorle e zucchero. Quando lo fece assaggiare ai primi clienti, esclamarono «a l’è propri galup», che in dialetto piemontese significa: «è davvero sfizioso, delizioso». Da lì, il nome dell’azienda. È cresciuta molto negli anni, basti pensare alle pubblicità di Erminio Macario degli anni '70, ma non ha seguito un andamento regolare. Ha avuto un sussulto sul cambio generazionale, quando le drogherie e i piccoli negozi di quartiere hanno ceduto il passo alla grande distribuzione, per poi tornare a risplendere dal 2014 in poi ed arrivare al fatturato storico dell'ultimo anno che si attesta intorno ai 14 milioni di euro e 1,2 milioni di pezzi venduti».
Quante persone lavorano oggi intorno al brand Galup?
«Galup lavora nove mesi all’anno. Ci sono venti persone fisse, a cui se ne associano altre ottanta durante la campagna natalizia con contratti stagionali».
E il marchio Streglio?
«Abbiamo acquisito il marchio nel 2021. È un altro dei protagonisti storici della tradizione piemontese. Il nuovo stabilimento di Alba produrrà anche prodotti a marchio Streglio, con cui si sviluppano progetti in co-branding; il panettone con crema di gianduia si chiama proprio Streglio».
Quanti panettoni vende Galup in un anno e quanti rimangono in Italia?
«L'anno scorso abbiamo prodotto 1,2 milioni di pezzi, di cui il 23% venduto all'estero. Parliamo di pezzi, intendendo panettoni dai 100 grammi fino ai 3 kg».
L'idea è di mettere radici ancora più in Italia o all'estero?
«Abbiamo bisogno di sviluppare la produzione nazionale, soprattutto al sud. L'anno prossimo mi occuperò dell'export, principalmente verso gli Stati Uniti e il Canada. Non va dimenticato che il più grande produttore al mondo di panettoni è Bauducco, che è brasiliano e ha origini piemontesi. In Sud America il panettone si consuma tutto l'anno e Bauducco ha un prezzo molto conveniente».
La gente ha capito che il panettone buono costa?
«La gente ha assimilato questo concetto, soprattutto durante il Covid. Per noi, quella della catastrofe umanitaria, è stata un'annata in termini di produzione incredibile, soprattutto nel reparto premium, perché la gente doveva stare in casa, non poteva spendere, e almeno il lusso di qualcosa di davvero buono se lo concedeva. Questo chiaramente è stato supportato dall'e-commerce, perché nei negozi fisici non si poteva più andare. Abbiamo chiuso il periodo di Pasqua del 2020 (primo lockdown) registrando più di 200.000 euro solo con l’on line».
La fine del lockdown ha coinciso con un calo di fatturato legato all’on line?
«No, l’on line è ancora una voce importante del fatturato, cresce mediamente del 15%».
Come si garantisce che il prodotto comprato on line arrivi integro?
«Ormai è più facile che il prodotto venga perso piuttosto che non arrivi integro. Con i corrieri di oggi (e Amazon ha fatto da nave scuola per tutti) il margine di errore è ridotto all'osso».
Oggi tutti fanno il panettone, dai forni alle pasticcerie agli chef. Un’opportunità o un problema?
«Il mercato è sempre più frazionato, perché chiunque ormai crede di poter fare il panettone. Penso agli chef, ad esempio. Da un lato è un problema, dall'altro un bene perché la concorrenza stimola l'innovazione. Abbiamo una bellissima collaborazione con Andrea Tortora (AT Patissier), un grande professionista, uno tra i più premiati in Italia, che viene spesso in sede a Pinerolo e si occupa di ricerca, sviluppo e innovazione e ci aiuta a rendere il nostro prodotto sempre più vicino a quello di un pasticcere. Collaborare con Andrea è un onore, ed anche questo fa parte di quel processo di sviluppo aziendale per arrivare a concepire prodotti sempre nuovi e sempre più rispondenti alle richieste del mercato».