Pensiero Stupendo

Accogliere la filosofia per strada, come una moneta perduta. Cercarla nelle fabbriche, sui banconi dei bar, allo stadio fra il primo e il secondo tempo. «Perché ogni persona fa esperienze di vario tipo nella vita (sofferenza, gioia, amore, solitudine, morte) e poi ci pensa su. Senza passeggiare come Socrate, ma si pone il problema, trae la morale. Quindi fa filosofia».

Paolo Del Debbio l’ha studiata a lungo, ha avuto la laurea alla Pontificia Università Urbaniana a Roma, poi è diventato uno dei più apprezzati giornalisti e conduttori di Mediaset. Nel frattempo ci ha pensato su pure lui. Il risultato è un libro originale: Siamo tutti filosofi senza saperlo (Piemme editore). Sottotitolo illuminante: Sei storie di vita.

Poiché la ragione e il mistero ci accompagnano nel cammino sulla Terra, siamo potenzialmente tutti dei pensatori, capaci di arrivare senza rendercene conto alle stesse conclusioni di teologi come Karol Wojtyla, di scrittori e drammaturghi come Ernest Hemingway e Luigi Pirandello, di autentici titani della filosofia come Immanuel Kant. «Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me» potrebbero dire Calogero detto Geo, Filippo nella torre di pietra, Margherita (che non sa chi sia Margherita), Agostino, Carlo, Patrizia, sei personaggi in cerca d’autore ai quali Del Debbio attribuisce il compito di vivere storie drammatiche, autentiche prese di coscienza, che avvicinano alla verità. E se ce l’hanno fatta loro, possiamo farcela anche noi.

«Mi sono fatto scrupolo di immaginare un libro semplice, scorrevole, il contrario di ciò che la parola “filosofia” evoca nell’immaginario della gente. Anzi credo che sia adatto a chi non ha mai letto nulla di filosofico. L’ho scritto raccogliendo storie di gente qualunque; ne sono venuto a conoscenza e le ho elaborate con altri nomi per una questione di opportunità. I miei protagonisti si pongono domande che ciascuno di noi si è fatto nel percorso di vita. Anche il più sbruffone, avvertendo un vuoto dentro di sé, sente la necessità di riempirlo. E alla fine scopre che quel vuoto l’avevano già riempito Epicuro, Tommaso d’Aquino, Jean Paul Sartre».

Il saggio ha preso forma fra le centenarie boiseries della biblioteca dell’abbazia di Vallombrosa, dove da 35 anni l’autore ama ritirarsi d’estate a studiare. Con l’infinito davanti a sé come lo Jorge da Burgos di Umberto Eco? «Soprattutto con una situazione ambientale perfetta: Vallombrosa è a più di mille metri, fa fresco, i monaci sono miei amici e la biblioteca è meravigliosa. Il luogo ideale per pensare e scrivere».

Il libro risponde al bisogno di spiritualità dell’uomo comune mentre pedala dentro una società mai così materialista, mai così individualista, mai così vuota di contenuti morali. Questo cittadino smarrito vorrebbe prenderla con filosofia, ma Del Debbio gli spiega che non può. «Detesto l’espressione “prendila con filosofia” perché l’abbiamo distorta, trasformata in una resa, nella quintessenza della superficialità. Invece è l’esatto contrario, significa prenderla seriamente, non accontentarsi, chiedersi sempre il perché di ciò che avviene o che avvertiamo nell’anima. Un’attività che le persone fanno quando si trovano davanti, come diceva Karl Jaspers, alle situazioni limite».

C’è un grande ritorno della filosofia. Significa che il mondo globalizzato, pervaso dall’aridità e dalla solitudine dei social, prova a rifugiarsi nei valori primari, a riscoprire l’interiorità prima delle interiora. A un protagonista dell’informazione televisiva, immerso dalla testa ai piedi nell’oggi e con i sensori raffinati a cogliere i refoli di novità, non si può non chiedere perché. «Il motivo purtroppo è semplice. Perché oggi la Chiesa sorvola sulla spiritualità e la gente finisce per cercarla altrove. I sacerdoti dal pulpito parlano poco di sacro e di Dio. I vertici ecclesiastici sono più impegnati a occuparsi di autonomia differenziata o a scrivere documenti sui rischi del premierato che a svelare il senso della vita. Politica e ancora politica. Cardinali come Zuppi non possono limitarsi a fare Zuppi di Porro...».

Del Debbio ha il dono della schiettezza. Non lascia le cose sospese. Se ne sono accorti tutti durante Dritto e rovescio quando a chi lo accusava di essere fascista per puro sfregio, ha risposto: «Sul fascismo non potete rompermi il…, sono figlio di un deportato». Ci torna su e spiega: «C’è un limite oltre il quale la dignità non può essere calpestata. Dirmi fascista significa ledere la memoria di mio padre, quindi la mia dignità». Rimproverato per aver dato voce ai No vax ha replicato: «Rivendico di averli ospitati, anche perché dall’altra parte c’erano i Pro vax. Io faccio la par condicio tutto l’anno. Mi hanno attaccato pure perché mostro le baby gang. Ma se ci sono le baby gang sarà mica colpa mia?». Ecco. Ma tutto questo suscita una domanda necessaria: la volgarità del pensiero unico, la mancanza di contraddittorio, che filosofia evidenzia?

«Evidenzia solo inconsistenza, povertà intellettuale. Quando mancano le idee hai paura del dibattito; porti avanti le tue, abborracciate, e basta. La colpa sta a monte, nella mancanza di giganti in quest’epoca mediocre. A parte Massimo Cacciari, ultimo filosofo di Serie A dopo la scomparsa di Emanuele Severino, Vittorio Mathieu e Giovanni Reale, non vedo nulla all’orizzonte. E questo accade anche in economia e in teologia. Negli ultimi 20 anni in Italia non è uscito nessun titano del pensiero, solo specialisti banali o che balbettano cose già dette dai grandi. In economia, per esempio, per leggere qualcosa si finisce sui siti di Tito Boeri o di Carlo Cottarelli. Vanno bene, per carità. Ma scuole di pensiero economico forte non se ne vedono. In passato si discuteva di keynesismo, di liberismo. Oggi di che? Perfino sulla manovra economica non riusciamo a fare un dibattito serio. Si dibatte solo sull’opportunità di mettere denari qui piuttosto che là. Discorsi orizzontali, inconsistenti. Anche perché non ci sono né Alfredo Reichlin, né Beniamino Andreatta».

In assenza di filosofi, specialisti, comunque pensatori di professione, l’uomo comune diventa protagonista. Può fermarsi a elaborare la propria vita e trovare sulla piastra a induzione, mentre si prepara il caffè, consonanze improvvise con il Tractatus di Ludwig Wittgenstein. Tutto è nella testa di Calogero detto Geo, Agostino, Patrizia, Margherita (che non sa chi sia Margherita), i filosofi della porta accanto. Che ci conducono come Virgilio fece con Dante Alighieri alla radice della Persona, del Tempo, di Coscienza e Autocoscienza, del Bene, della Morte, di Dio.

A proposito dell’entità suprema, a Vallombrosa si nasconde una sorpresa da far tremare i polsi. «Lo sto studiando da 30 anni, credo proprio che il prossimo libro avrà come protagonista Dio. Oggi c’è molto bisogno di lui. Nella nostra società dominata dall’algoritmo c’è una necessità da concretizzare: riportare il messaggio religioso al di là del messaggio politico e riscoprire la dimensione del sacro. Per quel che riesco, un piccolo contributo proverei a darlo, sempre con lo sguardo dell’uomo comune». Quell’uomo al centro del progetto divino, spesso dimenticato in un angolo della Storia. Ma in assenza di giganti, diventa lui il protagonista. È più interessante, è più vero. Perché, come chiude Del Debbio, «i filosofi o sono tutto, oppure sono schizzi senza cornici».

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