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(Ansa)
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Blasi: «Oltre le parole perché i pensieri siano correttamente compresi»

Sull’espressione usata da Papa Francesco, divenuta un caso mediatico, l’ecclesiasticista Antonello Blasi invoca «la libertà di ognuno di potersi esprimere per chiarire le proprie convinzioni senza attaccare e demolire le altrui posizioni di pensiero».

La frase addebitata al papa e nel corso di una riunione informale della Conferenza Episcopale Italiana, con la quale ha ribadito l’inopportunità di ammettere uomini gay nei seminari, ha messo in subbuglio il Vaticano e creato un vero caso di comunicazione. E nonostante le scuse -“Non volevo offendere”- sembra trasparire la contrarietà all'ingresso di omosessuali nei seminari.

Il caso

La vicenda che ha destato scalpore sarebbe accaduta lo scorso 20 maggio allorquando il Papa aveva partecipato ad una riunione privata della Conferenza Episcopale Italiana, l’assemblea che riunisce i Vescovi italiani: in quell’occasione, innanzi a circa 200 vescovi, Papa Francesco avrebbe esortato i presenti a non ammettere all’interno dei seminari, ovvero le istituzioni della Chiesa cattolica deputate alla formazione teologica e umana dei sacerdoti, chi fosse palesemente omosessuale. Ad un certo punto l’esortazione papale si sarebbe trasformata in un vero e proprio sfogo, -“c’è già troppa frociaggine”- espressione certamente più che colorita se pronunciata in questo ambito, anche se, da quanto si è appreso, ambiente e toni usati fossero particolarmente informali e colloquiali. E’ accaduto che tale contesto verbale, destinato in ogni caso a rimanere assolutamente interno al parlamento dei vescovi, è stato portato all’esterno e comunicato anche a testate nazionali che, nei loro lanci giornalistici, hanno confermato questa singolare vicenda. Più che l’espressione colpisce il suo contrasto con la forte apertura che proprio Papa Francesco ha sempre manifestato nei confronti degli stessi omosessuali dichiarati e di quanti appartengano, a vario titolo, alla comunità LGBT+, sin da quando salì al Soglio pontificio nel 2013: anche di recente non aveva mancato di affermare che “Tutti sono chiamati a vivere la Chiesa”, affermazione inequivocabilmente inclusiva, che mostra come ci sia stata anche una diversa interpretazione della dottrina relativa alla transessualità. Altre circostanze, confermate da osservatori del Vaticano, avvalorano questo atteggiamento di profonda apertura, soprattutto dopo che il cardinale argentino Victor Manuel Fernandez -fedelissimo di Bergoglio, “curatore dei suoi testi più importanti, teologo di idee avanzatissime, e nemico giurato delle scuole teologiche europee”, per come aveva dichiarato Gianfranco Svidercoschi, decano dei vaticanisti italiani, proprio a Panorama lo scorso 10 novembre 2023- è stato posto alla guida dell’ex Sant’Offizio: oggi nuovo Dicastero per la Dottrina della Fede, che ha di fatto mutato l’orientamento del Vaticano, ad esempio, sul tema della transessualità e dell’accoglienza all’interno della Chiesa. Insomma, una migliore e diversa interpretazione della dottrina relativa alla transessualità che se da un lato ha trovato sponda fertile verso le correnti più progressiste della Chiesa, dall’altro, ha -ovviamente- fatto storcere il naso a quelle più intimamente legate all’ortodossia di pensiero.

Professore Blasi, per alcuni il commento sarebbe stato fatto «a mo’ di battuta», mentre per i vescovi il Papa avrebbe usato la parola «frociaggine» in modo un po’ inconsapevole. Intano il caso è scoppiato…

«Mi pare scritto nel Vangelo di Matteo 7,1-5 qualcosa che riguarda chi nota la pagliuzza nell’altro quando ha una trave nel suo occhio. Voglio dire che è evidente agli occhi di tutti e che nessuno può smentire l’eccesso di turpiloquio e aggressività verbale che permea talk show, film, dibattiti e quant’altro anche nelle sedi politiche e perfino in quelle istituzionali. Poi basta che il Santo Padre abbia espresso una Sua opinione non condivisa da alcuni e subito tanti Catoni censori si siano eretti a giudicarLo, pretendendo da Lui quello che a loro è ampiamente concesso».

Si è posto l’accento sulla circostanza che abbia espresso una sua opinione in modo inadeguato, forse a causa della mancanza di padronanza della lingua italiana

«E’ vero, ma questo passa in secondo ordine pur di risaltare ciò che si vuol dedurre, senza badare a ciò che nasce dall’indotto imperfetto, tipico di una mentalità che fonda, anzi affonda, nel retropensiero piuttosto che nella buona fede di ciò che appare. La realtà non è mai vera se non si passa per la riserva mentale: pessima qualità del vivere una notizia, di ogni natura».

Non sarebbe neppure secondario conoscere il contesto in cui sarebbe stata espressa quella esortazione…

«Tale la ritengo perchè potrebbe rinviare all’Istruzione del 2005 della Congregazione per l'Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri: un modo colorito ma pratico di esortare i Vescovi all’applicazione di quelle linee direttive».

Inutile negare che il commento porta alla ribalta una questione di lunga durata, oltre che molto complessa, quella della posizione della Chiesa cattolica nei confronti dell’omosessualità.

«A me sembra che il Magistero abbia fatto molta strada verso queste realtà che spesso invece di apprezzare attendono lo scivolone per ritornare ad antiche accuse contro la Chiesa. Al contrario, il Magistero dice chiaramente che le persone omosessuali devono essere accolte con rispetto e delicatezza e che a loro riguardo si deve evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione. Dall’altra la Chiesa chiede anche a loro -in quanto fedeli- di realizzare la volontà di Dio nella loro vita e come tutti ognuno nella propria quotidianità essere accompagnati a un discernimento; infondo nella Chiesa tanti entrano convinti di essere chiamati al sacerdozio ma poi lungo il cammino solo alcuni vengono considerati idonei se sono stati trasparenti in ciò che si chiede a un candidato secondo la sapienza bimillenaria della Chiesa».

Sul tappeto ci sono due questioni: la prima è che negli ultimi anni è emerso, inchieste alla mano, come molti sacerdoti e vescovi, anche di elevato grado, sarebbero gay.

«Vale quanto ho appena detto sopra, ovvero che lo status è indifferente, basta che ognuno rispetti il progetto che Dio ha per lui, ossia “il Regno di Dio”. Quindi se la coerenza al progetto di Salvezza, propria dei fedeli a loro affidati, è nel cuore e nella mente dei pastori, l’essere o meno gay non influisce nel vivere in tensione di santità».

La seconda è che la Chiesa abbia indirizzato la colpa dei numerosi abusi sessuali commessi da sacerdoti e vescovi nei confronti di minorenni proprio alla circostanza della loro conclamata omosessualità…

«Questo puntare il dito sempre e solo sulla Chiesa per gli abusi sessuali sembra fare il gioco di nascondere tante altre simili realtà assai meno propagandate dai media. Non c’è questo binomio pedofilia-omosessualità perchè dalle evidenze delle denunce in tutto il mondo risulta che il gravissimo reato è commesso da ogni tipo di persona, di ogni sesso, classe sociale, posizione lavorativa, censo e in ogni paese. Dunque etichettare o mettere sotto la lente (spesso per creare polemiche ad arte) solo gli omosessuali è lo stesso che etichettare solo la categoria dei sacerdoti per lo stesso reato che invece, ripeto, è diffuso purtroppo, in ogni categoria».

In quest’episodio non possiamo dimenticare che nella Chiesa (e quindi nella CEI) coesistono correnti ideologiche ora conservatrici ora progressiste.

«Anche questo “marchio”, secondo il quale ovunque esistano masse senza cervello che seguono acritiche idee conservatrici e altre quelle progressiste (i cui contenuti vedo che spesso si scambiano per qualsivoglia opportunità e contingenza!) sono costruzioni mediatiche che soffocano ogni riflessione libera di ognuno di noi. Voglio dire che ogni persona, ogni gruppo di persone e ogni istituzione non restano immobili nel tempo (e nelle regioni dei vari paesi): quindi che vi siano orientamenti interpretativi di maggiore o minore apertura sul tema non è da stupirsi».

Forse c’è un errore di fondo, allora…

«L’errore infatti è quello di cristallizzare una o l’altra idea, in una dialettica di contrapposti che rinvia a metodologie antiche marxiane (per altri marxiste) superate da tempo da pensatori (Maritain) e persone costruttive (Francesco e l’incontro con le altre religioni) con la voglia di dialogo, comprensione reciproca e costruzione in un mondo pluralista di una nuova umanità e non con il pensiero unico insofferente al messaggio evangelico. In questo periodo elettorale -e non solo- sentire solo il desiderio di contrapporsi invece che di elaborare progetti in comune, dà la misura dell’immaturità del singolo e dello stadio ancora primitivo dell’umanità, più pronta alla guerra e a leggere cronaca nera piuttosto che progettare il futuro insieme e divulgare notizie positive che aiuterebbero le emulazioni verso il bene».

A proposito di aperture: proprio i vescovi italiani hanno cominciato a discutere della possibilità di emendare la Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, che regolamenta i seminari sul territorio italiano: la si vuole rendere più permissiva nei confronti dei candidati sacerdoti con tendenze omosessuali.

«Non so se e chi abbia iniziato a emendare: meglio dire aggiornare, perchè esprime un discernere per migliorare; emendare sembra dire che quel che si vuol togliere era errato. Ma ogni epoca ha la sua storia e non si può giudicare con gli occhi del dopo e dell’oggi. Per la Chiesa cattolica di oggi, rinviando all’Istruzione del 2005 anzidetta, il candidato al ministero ordinato deve raggiungere la maturità affettiva. Questa lo renderà capace di porsi in una corretta relazione con uomini e donne, sviluppando in lui quella “paternità spirituale” nei confronti della comunità ecclesiale che gli sarà affidata. E per questo necessita di quattro dimensioni per la sua formazione: umana, spirituale, intellettuale e pastorale».

La Chiesa ha, in ogni caso, le sue regole ferree…

«Assolutamente, e pur rispettando profondamente le persone in questione non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, o presentano tendenze omosessuali radicate o che sostengono la cultura gay. L’apertura a cui si fa riferimento -e che risulta espressa nell’Istruzione del 2005 sopra citata- concerne l’ipotesi di tendenze omosessuali transitorie come, ad esempio, quelle di un'adolescenza non ancora compiuta. In questa ipotesi il candidato deve attendere almeno tre anni prima dell'ordinazione diaconale».

Rimangono l’obbligo del celibato e il divieto di manifestare le proprie tendenze omosessuali, in ogni caso…

«Non è esatta nessuna delle due cose: il solo desiderio di diventare sacerdote non è sufficiente e non esiste un diritto a ricevere la sacra Ordinazione. Compete alla Chiesa - nella sua responsabilità di definire i requisiti necessari per la ricezione dei Sacramenti - discernere l'idoneità di colui che desidera entrare nel Seminario. E lo stesso vale anche per la vocazione matrimoniale: non tutti possono sposarsi se ci sono degli impedimenti o dei vizi nel consenso definiti nei Codici di diritto canonico. E questo vale anche per la vocazione religiosa, quella di chi vuole scegliere la vita religiosa con i suoi voti estremi di povertà, di castità ma soprattutto di obbedienza, il più difficile di tutti e tre».

Si tratta di scelte: per i cattolici sono vocazioni, ossia chiamate…

«Da armonizzare con le regole della Chiesa attuale, quella del Concilio Vaticano II, e comunque nessuna istituzione resta immobile nel tempo: il celibato dei sacerdoti di rito occidentale-latino è stato ribadito e condiviso, eppure esistono altrettanti sacerdoti sposati sempre cattolici, ma nessuno ne parla, sempre per mostrare l’immagine di una Chiesa antica e fuori tempo; non c’è alcun divieto di manifestare le proprie tendenze di ogni genere purché si persegua la santità di vita e non si ostenti per altri fini. Più che adeguarci bisogna conoscere le nostre radici per recuperare valori che sono universali e viverli: amore per il prossimo, perdono, uguaglianza, fraternità, e perfino una sana laicità».

Ecco la recentissima polemica: apertura sì, ma….

«Bisogna esser chiari e senza avvitarci in polemiche demagogiche: ci vuole rispetto reciproco e onestà intellettuale: rispetto vuol dire lasciare all’altro la libertà di esprimersi e di gestirsi: se non mi piacciono le sue regole devo essere libero di non entrare nel suo circolo e l’altro di non obbligarmi a parteciparvi, ovviamente. Mi spiego: se a me non vanno bene le regole del tennis non vi partecipo, se voglio entrare in un circolo di tennis ma voglio giocare con i racchettoni da spiaggia invece delle racchette regolamentari e non me lo permettono, allora o mi adeguo, o cambio circolo, o vado a quello marino. Altrimenti mi invento uno sport nuovo e apro io un circolo con le mie regole».

…onestà intellettuale.

«La Chiesa si è data queste regole di prudenza e non ammissibilità (come pure per il sacerdozio delle donne sacerdote), e si potrà riflettere, discutere e criticare come libertà di espressione senza diventare offensivi perchè anche con le parole si è violenti e non si tratta più di opinioni a confronto ma di imporre la propria idea. E questo è violenza totalitaria (preferisco questo termine a quello fascista perchè ingloba tutti i sistemi a pensiero unico e non solo quello che imperversò per un ventennio in Italia)».

Quindi in realtà la parola detta dal Pontefice sarebbe un’occasione ulteriore per attaccare la Chiesa di ritorno al passato?

«Tanta violenza e non rispetto e insofferenza si legge e si vive attorno a noi circa la Chiesa e i fondamentali del cattolicesimo, fino alla blasfemia. Eppure la Chiesa non scende in piazza o va nei tribunali a difendere e tutelare le offese e gli attacchi anticattolici diffusi e men che meno sopporta i fondamentalismi e gli integralismi che possono sempre sorgere ab interno: quanti vedono i siti sulla cristianofobia nel mondo e si misuri quanta tolleranza da parte cristiana e quanta intolleranza verso i cristiani! Qui c’è la misura della libertà e del vero rispetto tra le persone e delle religioni».

Ultimamente impedire di parlare sembra esser la nuova frontiera della violenza di gruppi di pressione a struttura totalitaristica...

«Qui si apre un altro tema caldo che però ha lo stesso lievito madre: la libertà di ognuno e di ogni gruppo -movimento, istituzione privata o pubblica che sia- di potersi esprimere per chiarire le proprie convinzioni senza, sempre e solo, attaccare e demolire altre posizioni di pensiero ma proporre e non imporre le proprie. Purtroppo i media favoriscono spesso la lite mediatica per l’audience più che per il dialogo costruttivo. In questo rientra anche la parola inusuale del Santo Padre, che è sempre un uomo e chi lo giudica… si specchi».

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