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November 28 2023
E’ di pochi giorni l’incontro che Papa Francesco ha tenuto con i parenti dei cittadini israeliani rapiti da Hamas: da tempo fortemente richiesto dalla Comunità ebraica di Roma, finalmente l’incontro si è tenuto, seguito addirittura da un altro con i parenti dei cittadini palestinesi tenuti in ostaggio in Israele. E qui pare essere nato un piccolo incidente diplomatico, visto che il Vaticano, così procedendo, avrebbe equiparato i giovani israeliani letteralmente sequestrati ai presunti terroristi autori di efferati crimini. Nello specifico la Comunità ebraica si sarebbe risentita in quanto dal Vaticano, per quanto accaduto nelle ultime settimane, non ci sarebbe posizione della condanna del Papa per l’aggressione di Hamas. Insomma, un risentimento ufficiale, provocare la dichiarazione dell’Assemblea dei rabbini d’Italia secondo cui “ci domandiamo a cosa siano serviti decenni di dialogo ebraico-cristiano parlando di amicizia e fratellanza se poi, nella realtà, quando c’è chi prova a sterminare gli ebrei invece di ricevere espressioni di vicinanza e comprensione la risposta è quella delle acrobazie diplomatiche, degli equilibrismi e della gelida equidistanza, che sicuramente è distanza ma non è equa”.
Lo scorso 22 novembre Papa Francesco aveva ricevuto in Vaticano due delegazioni, una israeliana e l’altra palestinese, con le quali ha affrontato la vicenda del conflitto in corso: la prima, formata dai parenti degli israeliani catturati da Hamas, era stata ricevuta a Santa Marta, la seconda nell’Auletta Paolo VI. Subito dopo proprio i parenti degli ostaggi israeliani erano apparsi delusi dall’incontro, visto che Papa Francesco, a loro dire, pare gli avesse dedicato poco tempo, non avesse condannato Hamas e non lo avesse definito un’organizzazione terroristica. Successivamente, anche a seguito della dichiarazione rilasciata dal Pontefice che avrebbe messo sullo stesso livello l’attacco terroristico di Hamas e la risposta israeliana, era intervenuta la presidente dell’Unione delle comunità ebraiche in Italia, Noemi Di Segni, che aveva stigmatizzato l’accaduto sottolineando che “avrei preferito ascoltare dal Papa una chiara presa di condanna del terrorismo del 7 ottobre e di tutto il percorso che porta a uno sterminio”. Ma la controversia è arrivata ad interessare anche la delegazione palestinese convinta che Papa Francesco avesse utilizzato, nella sua dichiarazione, la parola “genocidio” palestinese a proposito degli accadimenti di Gaza. Nello specifico, “Il Papa ha riconosciuto che viviamo un genocidio - ha detto Shrine Halil, cristiana di Betlemme che faceva parte della delegazione palestinese ricevuta in Vaticano- Ci ha detto che il terrorismo non si combatte con il terrorismo”. Insomma, posizioni diametralmente opposte riscaldatesi a seguito dell’incontro separato con il Pontefice che sarebbe dovuto servire per abbassare i toni del dibattito e che, invece, avrebbero ulteriormente riscaldato gli animi. Il successivo intervento del portavoce della Santa Sede, Matteo Bruni, aveva smentito tale prospettiva, evidenziando come “Non mi risulta abbia usato tale parola” (genocidio, nda):
Panorama.it ha incontrato il sociologo Salvatore Abbruzzese, studioso del dialogo interreligioso, per un commento sui fatti e, soprattutto, sul reale rapporto che il Vaticano mantiene con israeliani e palestinesi.
Professore, un incontro bipartisan, a camere separate, pare abbia creato frizione nei rapporti tanto con gli israeliani che con i palestinesi…
«Credo che le informazioni contraddittorie rivelino una tensione reale sulla quale nemmeno la presidenza delle Nazioni Unite è riuscita a muoversi con chiarezza. Certamente lo sconcerto della comunità ebraica è un pessimo segnale. I nostri fratelli ebrei si sono sentiti soli. Dinanzi a quanto è accaduto ciò è incomprensibile e spero che il malinteso venga presto chiarito».
Il papa avrebbe fatto meglio a riceverli insieme?
«E’ stato prudente l’incontro separato. Dopo quanto ha fatto da Hamas non è pensabile nessun avvicinamento».
Difficile pensare alla malafede del Vaticano.
«La malafede del Vaticano è impensabile! Implicherebbe una sconcertante sottovalutazione del conflitto e della comunità ebraica. Non lo credo possibile.».
Si sono irrigiditi sia gli israeliani che i palestinesi…
«Proprio l’irrigidimento di entrambe le parti mi induce a pensare ad un corto circuito diplomatico più che ad una scelta consapevole».
Insomma, non è che anche l’iniziativa del papa sia stata strumentalizzata dalle due opposte fazioni?
«Anche la tesi della strumentalizzazione mi pare poco credibile: non credo che la diplomazia vaticana sia fatta da sprovveduti. Non credo si lasci manipolare con facilità».
Da studioso del dialogo interreligioso, vede lontana la cessazione del conflitto?
«Il dialogo interreligioso è stato pesantemente riportato indietro dalla politica già con il conflitto russo-ucraino. Con il pogrom del 7 novembre è stato consapevolmente violato un limite che solo un ripudio totale e senza appello nei confronti di Hamas potrà restituire una qualche speranza».
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Salvatore Abbruzzese, frusinate di Arce, classe 1954, è ordinario di Sociologia dei processi culturali e Sociologia della Religione presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trento. Allievo all’Université Paris V-René Descartes del celebre sociologo liberale francese Raymond Boudon, focalizza nel rapporto tra religioni e modernità nella società contemporanea il principale interesse di ricerca. È membro della Membro della Société Internationale des Sociologues de la Religion e del Comitato di Redazione degli Archives de Sciences Sociales des Religions. Tra le sue pubblicazioni: La sociologia di Tocqueville (Rubbettino 2005) Un moderno desiderio di Dio. Ragioni del credere in Italia (Rubbettino 2010); Modernità e individuo. Sociologia dei processi culturali (ELS La Scuola 2016); Il Meeting di Rimini: Dalle inquietudini alle certezze (Morcelliana, 2019), (a cura di), "La razionalità", di Raymond Boudon, (La Scuola, 2021)