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November 02 2015
Oggi il Vaticano ha annunciato di aver arrestato due persone per fuga di notizie e documenti riservati. Sono Francesca Immacolata Chaouqui, già componente della Commissione referente sulle attività economiche della Santa Sede (Cosea) e monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, spagnolo, già segretario della Prefettura degli Affari economici e della Commissione di studio sulle attività economiche e amministrative (Cosea).
In questo articolo, pubblicato sul numero 44 di Panorama, avevamo spiegato che la posizione di monsignor Balda poteva essere in pericolo.
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Ogni giorno una valigia piena di documenti parte dal palazzo apostolico e viene portata a Casa Santa Marta, stanza 201, l’abitazione del Papa. Spesso viaggia nelle mani di Pier Giorgio Zanetti, un ex gendarme vaticano, non a caso assegnato a Jorge Mario Bergoglio come maggiordomo personale. La stessa valigia riparte la sera, dopo le 19, alla volta della Segreteria di Stato. Un andirivieni di carte dovuto al fatto che Francesco ha rifiutato di vivere nell’appartamento pontificio e ha preferito Santa Marta.
Eppure, almeno fino a qualche tempo fa, nonostante questo continuo passaggio di valigie, sembrava che i segreti di Papa Francesco fossero ben custoditi, a differenza del pontificato di Ratzinger. D’altra parte il pontefice argentino prende le sue precauzioni: la valigia viene aperta e chiusa solo in sua presenza; non ha il cellulare, ma ha chiesto una linea telefonica passante dalla sua stanza per ricevere e fare telefonate verso l’esterno senza utilizzare i centralini vaticani; la stanza 201 e lo studio attiguo vengono periodicamente controllati e bonificati da eventuali microspie. E poi c’è il «cerchio magico», la schiera ristretta dei fedelissimi collaboratori che fanno muro verso l’esterno: ne fanno parte i due segretari personali, l’argentino Fabian Pedacchio e l’egiziano Yoannis Lahzi Gaid, più un altro monsignore argentino della Segreteria di Stato, Guillermo Karcher, amico di vecchia data del pontefice, ma anche il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin e il suo sostituto, Angelo Becciu. Casa Santa Marta è diventata una sorta di fortino. Tanto che alcuni monsignori che ci abitavano hanno preferito trasferirsi altrove, rinunciando a vivere sotto lo stesso tetto del Papa pur di avere più libertà di movimento.
Malgrado queste precauzioni, i corvi hanno ripreso a volare intorno al Vaticano e sono già riusciti a colpire. Veleni e veline hanno ricominciato a circolare dentro e fuori il palazzo apostolico con il corredo di immancabili lettere anonime. Le lancette dell’orologio sono tornate indietro al 2012, quando il maggiordomo Paolo Gabriele rubava documenti dalla scrivania di Benedetto XVI? L’impressione purtroppo è questa. Il Sinodo dei vescovi sulla famiglia è stato accompagnato da scandali, colpi di scena e falsi scoop che hanno aperto uno squarcio sull’atmosfera che si respira in Vaticano. Un clima da resa dei conti: il Papa sta cercando di spalancare le finestre per far entrare aria nuova, ma la «vecchia guardia» è disposta a tutto pur di non mollare le posizioni o proteggere il suo passato.
Ma da chi è composta questa «vecchia guardia»? Il 23 marzo 2013, pochi giorni dopo l’elezione, Francesco fa visita a Benedetto XVI a Castel Gandolfo e il Papa emerito gli fa trovare un voluminoso scatolone con una grande busta bianca. Dentro ci sono i verbali delle indagini su Vatileaks, svolte nei mesi precedenti da tre porporati: Julian Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi. Bergoglio legge quelle carte che descrivono, come svelato da Panorama il 21 febbraio 2013, lobby, giochi di potere, ricatti in seno alle mura leonine. Un’impietosa fotografia dei sacri palazzi. Tuttavia Francesco decide di tenere al loro posto quasi tutte le pedine, anche le più chiacchierate. Ne cambia solo alcune. Chi si aspettava una radicale pulizia, uno «spoil system» in stile vaticano, rimane deluso. «Francesco è convinto nella capacità di conversione e di cambiamento degli uomini» spiegano i suoi più stretti collaboratori. Il Papa preferisce portare dalla sua parte chi si trova già nei gangli del potere, piuttosto che farsi nuovi nemici. Per alcuni si è trattato di un’ingenuità che potrebbe risultare fatale a Francesco, secondo altri invece è stata una straordinaria astuzia gesuitica. La vecchia guardia però non si piega e si allea con i nuovi scontenti: vescovi e cardinali che speravano in un diverso esito del conclave (l’elezione dell’arcivescovo di Milano, Angelo Scola) oppure temono le riforme di Francesco.
Si è formata così una tela di ragno che cerca di imbrigliare Francesco. Un’azione lenta e silenziosa. E la tela si allarga: «Il Papa passa, ma la Curia resta» si sente ripetere. Ogni tanto il ragno esce allo scoperto e colpisce. Come nel caso del Sinodo sulla famiglia: alla vigilia il teologo polacco, Krzysztof Charamsa fa coming out e punta il dito contro la Congregazione per la dottrina della fede. Poi viene passato alla stampa il testo, modificato, di una lettera riservata che un gruppo di cardinali ha scritto al Pontefice per contestare il metodo di lavoro, paventando il rischio che l’assemblea sia pilotata. Tra i firmatari c’è anche uno dei più stretti collaboratori di Francesco, il cardinale australiano George Pell. Nel frattempo scoppia lo scandalo della parrocchia romana di Santa Teresa d’Avila, che coinvolge alcuni religiosi carmelitani in una storia di prostituzione gay e droga. La vicenda chiama in causa anche il cardinale vicario Agostino Vallini, un altro uomo di fiducia di Francesco, da mesi al corrente di quella storiaccia come documentato da una lettera inviata al porporato da 110 parrocchiani. Infine viene pubblicato il falso scoop sul tumore al cervello di Bergoglio, che giunge a coronamento di uno stillicidio di illazioni e mezze notizie sulla sua salute.
Avvisaglie di questo scontro si erano però già avute in passato, con attacchi e scandali utilizzati ad arte contro Bergoglio. Nonostante tutto, Francesco esce vincitore dall’ultimo Sinodo, grazie anche a qualche compromesso. Ma la sua irritazione è evidente. Nel discorso finale attacca i «metodi non del tutto benevoli» utilizzati nella grande assemblea. Con i suoi fedelissimi scherza a proposito della notizia sul tumore, come riferisce il Sostituto, Angelo Becciu. Ma avrebbe anche aggiunto: «Se non mi lasciano lavorare, sarei pronto a lasciare». Intanto però non ha nessuna intenzione di finire sulla graticola di una nuova Vatileaks, come Ratzinger. Perciò la caccia ai corvi è cominciata.
Il primo a farne le spese rischia di essere monsignor Lucio Angel Vallejo Balda. Spagnolo, 54 anni, sacerdote diocesano che si è poi avvicinato all’Opus Dei. Era in corsa per il ruolo di segretario
generale della segreteria per l’Economia, il potente dicastero creato da Bergoglio per tenere sotto controllo i conti del Vaticano. Ma all’ultimo momento il pontefice gli ha preferito il suo ex segretario personale, il maltese Alfred Xuereb. Vallejo forse ha pagato un eccesso di protagonismo e una gaffe che ha fatto il giro del mondo: l’organizzazione di una colazione vip, riservatissima ed elegante, sulla terrazza della Prefettura degli Affari economici durante la canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, il 27 aprile 2014. Un evento mondano per seguire una cerimonia religiosa, che Bergoglio non ha gradito. Ora sarebbe in corso un’indagine per scoprire se sia stato lui a passare alla stampa notizie riservate sulle finanze vaticane e qualche veleno a carico del capo della segreteria dell’Economia, il cardinale Pell. Secondo questi «leaks» il porporato australiano sarebbe tanto severo nel tagliare i costi del Vaticano quanto prodigo nelle spese per il suo appartamento. Tutto da verificare. Intanto però il Papa vuol saper chi è stato il «corvo».
Lo stesso vale per la pubblicazione della lettera dei padri sinodali al Papa. C’è chi punta il dito sull’arcivescovo di New York, il cardinale Timothy Dolan, già criticato durante il conclave per i contatti con la stampa. Dolan, con parte dell’episcopato statunitense, teme una deriva troppo «liberal» del magistero di Francesco. Perciò sarebbe sceso in campo spalleggiato da un vecchio amico: l’ex presidente della Cei Camillo Ruini. Tra i firmatari di quella lettera c’erano, tra gli altri, l’arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra e il cardinale Pell. Francesco in realtà aveva risposto pubblicamente alle osservazioni avanzate da quel gruppo di porporati. Si è però dispiaciuto del fatto che quella lettera, alterata in alcune parti, sia stata poi data alla stampa. Come se qualche cardinale non fosse rimasto soddisfatto delle sue risposte e avesse tentato di creare un caso mediatico.
Bergoglio sarebbe poi rimasto rattristato nel vedere, tra i firmatari della lettera, proprio uno dei suoi più stretti collaboratori, il cardinale Pell. Ex rugbista dai modi un po’ ruvidi e spicci, l’australiano è stato chiamato in Curia per rimettere a posto i conti. E da subito non ha nascosto una discreta diffidenza nei confronti degli italiani. Lo ha accompagnato l’eco di un processo per pedofilia, in Australia, che lo ha coinvolto in quanto avrebbe protetto, quando era arcivescovo di Sydney, un sacerdote condannato per abusi sessuali. Il Papa ha sempre difeso Pell, come fa con tutti i suoi collaboratori. Così come ha sempre tollerato il suo atteggiamento da «ranger» nel gestire le finanze. Trovarlo tra i critici del Sinodo però gli è dispiaciuto.
D’altronde è in corso un confronto serrato tra le due figure apicali della Curia, Pell e Parolin. Il «motu proprio», che corrisponde a una legge papale, «Fidelis dispensator et prudens» del 24 febbraio 2014 ha introdotto in Vaticano una sorta di «governance duale», tra segretario per l’Economia e segretario di Stato, sottraendo poteri a quest’ultimo. Il decreto affidava numerose competenze all’australiano, in particolare la gestione delle risorse economiche e il personale. All’italiano era riservata la parte diplomatica. Ma con lo statuto del 22 febbraio 2015 la sfera di azione della segreteria dell’Economia è stata ridimensionata. L’intelligenza e lo stile felpato di Parolin hanno avuto la meglio sui modi da «mediano di mischia» di Pell. Senza mai attaccarlo direttamente, il vicentino ha ripreso il controllo di numerosi dossier. Forse questa vicenda non è del tutto estranea alla firma di Pell sulla lettera inviata al Papa durante il Sinodo. I problemi però non sono finiti, tanto che Bergoglio a metà ottobre ha dovuto intervenire pubblicamente per raccomandare il rispetto delle regole nelle assunzioni e nei trasferimenti nella Curia romana.
Quando si parla di vecchia guardia non si può dimenticare il mondo polacco, che fa riferimento all’ex segretario di Giovanni Paolo II, Stanislaw Dziwsiz. Una realtà ancora forte e influente nei gangli della Curia. Francesco è determinato a capire chi per anni ha difeso e coperto l’ex nunzio polacco nella Repubblica domenicana, Józef Wesołowski, accusato di pedofilia e deceduto in Vaticano
mentre era in attesa del processo. Intanto Dziwisz ha trasferito a Cracovia l’intero archivio che Giovanni Paolo II aveva chiesto di distruggere. Carte, lettere, appunti, documenti personali di Karol Wojtyla, che contengono anche molti segreti sulla Curia e la vita della Chiesa. E l’ex Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, sembra intenzionato a pubblicare un suo libro di memorie, forse l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa e svelare alcuni retroscena del periodo di Ratzinger.
La caccia ai corvi basterà a proteggere il pontificato di Francesco? In realtà Bergoglio, nonostante il successo del viaggio a Cuba e negli Stati Uniti, l’affetto della gente e il buon risultato del Sinodo, si appresta a navigare in acque turbolente. Dal 25 al 30 novembre è atteso in Kenya, Uganda e Repubblica Centroafricana. Un viaggio molto impegnativo dal punto di vista fisico (tre Paesi in cinque giorni) ma anche pastorale. Basti ricordare le feroci polemiche che accompagnarono il viaggio di Benedetto XVI in Camerun e Angola nel 2009 per le sue dichiarazioni su Aids e uso del preservativo.
Per Bergoglio quello africano è un fronte particolarmente caldo perché dai cardinali e vescovi di quel continente sono giunte le maggiori resistenze al cambiamento durante il Sinodo. Può apparire paradossale, ma molti pastori della Chiesa africana si schierano a difesa della tradizione e della dottrina. Il capofila è il cardinale della Guinea, Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Per il porporato «l’ostia ai divorziati tradisce il Vangelo». Nel suo intervento al Sinodo ha messo in guardia vescovi e cardinali dal rischio che «satana» si impadronisca di loro per indurli ad assumere decisioni contrarie al magistero. Il porporato africano, che ha una storia straordinaria di rapporti anche con il mondo animista africano, oggi è diventato un punto di riferimento per chi già progetta il «dopo Bergoglio». Il suo recente volume Dio o niente, tradotto in molte lingue è una sorta di manifesto per una Chiesa che rimette al centro la dottrina.
I problemi per Bergoglio potrebbero arrivare anche dalla Cei. Dal 9 al 13 novembre è in programma il convegno ecclesiale nazionale a Firenze. Il Papa si recherà a Prato e nel capoluogo toscano il 10 novembre. Intanto tra i vescovi italiani è in atto un serrato confronto tra le diverse anime che fanno riferimento al segretario della Cei, Nunzio Galantino, vicino al Papa, al presidente Angelo Bagnasco, all’arcivescovo di Milano Angelo Scola, e alla vecchia guardia dei «ruiniani» sempre molto influenti. Francesco ha deciso di far pendere la bilancia dalla sua parte, nominando, alla vigilia del convegno, due «preti di strada» a capo di due importanti diocesi italiane, Bologna e Palermo. In Emilia andrà l’ex assistente della Comunità di sant’Egidio, Matteo Zuppi, al posto del cardinale Caffarra, firmatario della lettera dei cardinali contestatori al Sinodo. Mentre a Palermo andrà un semplice parroco, don Corrado Lorefice di Modica, in Sicilia. Bergoglio prepara inoltre un concistoro per la nomina di nuovi cardinali in primavera: rafforzerà così la sua squadra ma provocherà, inevitabilmente, malumori tra gli esclusi. E altre turbolenzenze provocherà Via crucis, il nuovo libro di Gianluigi Nuzzi, che uscirà il 9 novembre in 23 Paesi (in Italia per Chiarelettere).
Altre trappole sulla strada di Francesco potrebbero arrivare dalla finanza vaticana. Il Papa non ha ancora terminato di mettere ordine tra Istituto per le Opere di Religione e l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica (Apsa). Il processo a monsignor Nunzio Scarano, «monsignor 500 euro», il prelato dell’Apsa arrestato dalla procura di Salerno con l’accusa di riciclaggio, è ancora in corso. Così come l’indagine del promotore di Giustizia della Città del Vaticano, Gian Piero Milano, a carico dell’ex presidente dello Ior Angelo Caloia e dell’ex direttore Lelio Scaletti. Inoltre andrebbe fatta ulteriore luce su alcuni conti della banca vaticana ora chiusi.
Il Papa non vuole spaccare la Chiesa ma non vuole neppure indietreggiare. Il Giubileo straordinario della misericordia è un grande appello al popolo per sostenere la sua opera di riforma. Ai corvi però non porge l’altra guancia.