Il paradosso della Toscana

Da una parte un flusso di visitatori pesantissimo che si concentra sulle città d’arte e i principali centri di richiamo. Dall’altra, lo spopolamento dei borghi e delle aree interne per cui la Regione ora corre frettolosamente ai ripari con contributi e bonus. Quello che manca, però, è una rete di servizi che blocchi davvero l’esodo di popolazione.

Le città scoppiano di turisti che le trasformano in parchi giochi part-time, mentre i borghi si svuotano e i piccoli paesi che nei secoli hanno costituito l’essenza stessa della Toscana diventano villaggi fantasma, abitati da una manciata di anziani. È il paradosso che vive la regione dell’«overtourism»: prima ha svenduto ai corteggiamenti del viaggiatore (poi del villeggiante) Firenze e Pisa, quindi Siena e l’intera Versilia, per diventare adesso - parafrasando James Joyce, che in quel caso si riferiva a Roma, in situazione non troppo diversa - «un uomo che si mantiene esibendo ai turisti il cadavere di sua nonna».

Sospesa tra un flash al monumento e un improbabile tripe and lampredotto, questa terra è da sempre «un marchio doc»; ma pare che ne sia andata persa la sostanza che convinceva Guido Piovene, viaggiatore instancabile, a includerla «tra le regioni del mondo più famose per la loro bellezza».

Secondo i dati degli uffici regionali, sono stati oltre 14 milioni e 600 mila gli arrivi registrati nelle strutture ricettive toscane nel 2023 e quasi 46 milioni le presenze. Naturalmente Firenze è la destinazione per eccellenza, con un numero medio di 4,5 milioni di visitatori che frequentano il Duomo, uno dei suoi simboli. La città calamita turisti da tutto il mondo, con una presenza notevole dagli Stati Uniti, circa il 52 per cento del totale tra gli arrivi internazionali. Molti di quei visitatori, però, sceglie di fermarsi acquistando a prezzi da capogiro le ville della costa o del Chianti, di fatto creando «ghetti di lusso» che si animano solo in determinati periodi l’anno e che sono tabù per i locali. I quali, sempre più di frequente abbandonano quelle zone di richiamo per traslocare in città maggiormente a buon mercato. Ancora alcune cifre significative rendono le dimensioni del problema: in Toscana ci sono 3,7 milioni di abitanti. E solo in hotel e b&b sono arrivati nel corso di un anno il quadruplo dei residenti ufficiali. Per non parlare di turisti in generale, coloro cioè che non si fermano neanche una notte: 13 volte tanto. È come se in un solo anno l’intera Spagna si fosse riversata in una singola regione italiana.

Una marea di persone che ovviamente rappresentano un «energy drink» per l’economia locale - su scala nazionale parliamo di 90 miliardi di euro - ma che allo stesso tempo pone drammatici interrogativi.

Il primo lo solleva Sarah Gainsforth, autrice del saggio Airbnb città merce (DeriveApprodi), che nota come «le città non abbiano la capacità di carico infrastrutturale per sopportare questi numeri di ingressi a cominciare dalla gestione dei trasporti, dei rifiuti, dei servizi, che sono comunque pagati dai residenti. Il turismo consuma più risorse di quante ne produce. Le amministrazioni calcolano tutto questo?».

Evidentemente in Toscana non è così. Tanto che, rispetto a una Piazza del Campo o una Torre di Pisa che traboccano di stranieri, colpisce il deserto di Pitigliano - oggi completamente abbandonato - ma anche piccoli centri famosi come Montepulciano o San Gimignano che, dopo l’assalto estivo, «si spengono» in un lungo letargo invernale.

Le rilevazioni Istat più recenti (2022) non sono che una premessa di quello che accade oggi e rivelano come alla crescente denatalità si affianchi anche un accentramento verso le province di Firenze (27 per cento), Pisa (11,4) e Lucca (10,4) e soprattutto un saldo naturale fortemente negativo (-27.293), compensato solo da quello migratorio estero (+22.220). Anche in tal caso sono interessanti i dati di Firenze: la provincia con il più basso saldo naturale (-6.674) e con quello migratorio estero più alto (+6.794).

«I problemi del turismo di massa sono lampanti se consideriamo due fattori: la questione abitativa e l’aumento della povertà» aggiunge Gainsforth. «L’emergenza abitativa è sempre più grave per la diffusione degli “affitti brevi turistici”. Questo ha varie conseguenze: da una parte la desertificazione commerciale nel cuore delle città, dovuta anche alla crisi della domanda dei residenti; la scomparsa dei servizi pubblici (le scuole, per esempio, ma anche gli ospedali) nei centri turistici». Su tutti, il capoluogo toscano offre, ancora una volta, un caso da manuale. Solo nel periodo estivo del 2023 Firenze ha chiuso con +8,3 per cento di arrivi e +6,9 di presenze rispetto al 2022. In valori assoluti i pernottamenti nelle strutture ricettive hanno superato i 4,6 milioni, circa 299 mila in più dell’anno precedente. Se c’è spazio per i turisti, non si può dire lo stesso per i fiorentini. «In città ci sono 20 mila famiglie in emergenza abitativa» denunciano dal Sunia-Cgil di Firenze. A conti fatti, tenendo presente che in città sono attualmente 362.742 i residenti e che le famiglie sono 187.383, poco più di una su 10 si trova in condizione di necessità. E non potrebbe essere altrimenti poiché gli affitti sono spesso inarrivabili: per le ultime indagini, il canone «si mangia» quasi metà dello stipendio, il 46,5 per cento, undici punti in più della media nazionale. Non stupisce, allora, che negli ultimi 20 anni 148 mila residenti abbiano detto addio a Firenze. Il turismo incontrollato non genera in effetti ricchezza, ma povertà. E all’orizzonte non si vedono misure alternative. Al riguardo, l’esempio è recentissimo: il Tar ha bocciato la variante al regolamento urbanistico che introduceva il divieto di affitti brevi nella centralissima «area Unesco» di Firenze. Lamenta Carlo Marini, nato nello storico quartiere di San Frediano: «Sono scappato perché questo è un posto per chi ha tanti soldi e vuol stare con il naso all’insù. Bellissima città per i capolavori, ma fra traffico, lavori continui per nuovi alberghi e b&b, oggi è invivibile. Me ne vado all’estero perché tanto la Toscana è finita» conclude amaro.

Per intercettare chi fugge dalle aree urbane - fallimento palese di una politica che trascura la maggioranza dei suoi cittadini - la giunta regionale guidata da Eugenio Giani ha sperimentato un bando con cui paga fino al 50 per cento delle spese, per un massimo 30 mila euro - per chi si trasferisce in uno dei centri di montagna con meno di 5 mila abitanti prossimi all’abbandono. Comuni quali Capraia, Sambuca Pistoiese, Vagli Sotto, ma anche Minucciano e Castiglione di Garfagnana, Stazzema e San Romano. Luoghi bellissimi che toccano a mala pena le centinaia di abitanti. Si tratta di una misura che tuttavia non convince. «Mi ricorda il famoso proverbio che sottolinea il differente impatto tra regalare un pesce e insegnare a pescare» attacca il consigliere regionale della Lega, Marco Landi. «Riportata all’attualità, quanto è utile prevedere contributi per comprare una casa in uno dei 75 comuni compresi nel bando, se prima non si è intervenuti per rendere quei luoghi vivibili? Non discuto il loro fascino, quanto la qualità dei servizi disponibili: sanità, istruzione, trasporti. Posso anche regalare una casa; ma se l’ospedale più vicino si trova a un’ora di auto, se recarsi a scuola o al lavoro rischia di essere un viaggio della speranza, allora il bonus diventa inutile».

La questione è complessa, d’accordo. Purtroppo, però, non sarà sufficiente un provvedimento «spot» a ridare vita a borghi come Sassetta (473 abitanti in provincia di Livorno) o Fosciandora (559 in quella di Lucca). Che, fra l’altro, meritano un viaggio.

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