La parità euro-dollaro è un pareggio anche tra vantaggi e svantaggi

Alla fine la parità tra dollaro e euro è arrivata. Dopo 20 anni il 12 luglio 2022 un dollaro è arrivato a valere quanto un euro.

Il rafforzamento del biglietto verde rispetto alla moneta unica europea era ampiamente previsto e determinato da una serie di fattori congiunturali come spiega il Professor Luca Fantacci, professore associato Università statale Milano e direttore dell’unità di ricerca MINTS della Bocconi: “La sopraggiunta parità euro dollaro – dichiara a Panorama.it – in prima battuta è conseguente alla crisi energetica dovuta a sua volta dalla guerra che ha provocato principalmente un apprezzamento del dollaro. E’ vero, infatti, che l’euro si è deprezzato, ma meno di altre monete. Quello che stiamo attraversando è più un rafforzamento del dollaro che un indebolimento dell’euro. Il rafforzamento è dovuto al fatto che gli Stati Uniti hanno aumentato i tassi d’interesse (la Fed ha innalzato i tassi a 1,75%) e questo attrae capitali perché chi va a investire lo fa dove l’investimento dà dei rendimenti più alti e cioè dove i tassi d’interesse sono più elevati. In una situazione di crisi come questa, quindi, il dollaro è diventato il bene rifugio per eccellenza”

Le preoccupazioni per la guerra della Russia in Ucraina, l’aumento dell’inflazione, i problemi della catena di approvvigionamento, il rallentamento della crescita e l’inasprimento della politica monetaria hanno quindi spinto gli investitori verso i tradizionali asset rifugio in particolare il biglietto verde che, aumentando la domanda, prende forza sui mercati e si impone a fronte del deprezzamento dell’oro.

L’attuale scenario, secondo gli analisti, ha conseguenze sia positive sia negative per l’Europa come sottolinea anche il Professor Fantacci

“L’aspetto positivo della situazione è che vengono favorite le esportazioni dall’area euro e quindi anche dall’Italia. Questo certamente ad alcuni settori offre il vantaggio di trovare una domanda forte all’estero e quindi di vendere più facilmente”

Tra i settori più avvantaggiati c’è sicuramente quello turistico. Per l’estate l’Europa aspetta un boom di arrivi di viaggiatori d’oltreoceano che col dollaro forte avranno voglia di spendere e viaggiare attraverso il vecchio continente. Anche il settore del lusso e dell’alta moda si aspetta buoni incassi dal maggior export previsto per la prossima stagione anche se, complessivamente, per il Professor Luca Fantacci, in questo momento sono più i contro dei pro a dover far riflettere

“L’apprezzamento del dollaro ci mette in difficoltà – ammette l’economista - Primo perché l’area euro non avrebbe bisogno di aumentare ulteriormente l’export. L’Europa è già il blocco economico che ha le esportazioni nette più elevate con un surplus commerciale molto forte e quindi un maggior export aumenta gli squilibri a livello globale. Inoltre - per quanto riguarda i nostri interessi di italiani ed europei - tutto questo determinerà un’ulteriore inflazione. Già oggi abbiamo un’inflazione che si avvicina all’8%. Se non fosse per i costi dell’energia, dei beni alimentari e dei beni d’importazione sarebbe al 2% e con il deprezzamento dell’euro importare costerà ancora di più”

Ed è proprio la forte inflazione quella che crea più dubbi sui risvolti positivi per l’Europa dell’euro debole. Le conseguenze di una moneta unica debole contro il dollaro sarebbero positive se non ci si trovasse in un contesto di forte inflazione, che rischia di annullarne gli effetti. Inoltre le commodities tradizionalmente si comprano in dollari e visti i costi esorbitanti di energetici e materie prime e la forza del dollaro per l’Europa gli approvigionamenti diventeranno ancora più cari e crescerà sempre di più l’inflazione.

“Complessivamente – prosegue Fantacci - per il sistema economico l’apprezzamento del dollaro è un guaio perché c’è una forte inflazione che non vedavamo da 40 anni e c’è la difficoltà nell’affrontarla. La BCE per rafforzare il tasso di cambio dell’euro dovrebbe a sua volta aumentare i tassi d’interesse - che è quello che dovrà fare – che, però, a sua volta aumenterà i costi per le famiglie e per le imprese: lievitano i costi dei mutui, aumenta il costo dell’indebitamento delle imprese, crescono le bollette e si rischia di provocare una recessione”.

In questo contesto quali sono i possibili scenari?

“Ci sono troppi elementi di incertezza in questo momento per fare previsioni. Elementi che sono legati all’andamento della guerra e alla dipendenza energetica. Se la guerra proseguisse con un’ulteriore escalation e quindi un blocco delle forniture di gas e petrolio da parte della Russia più di quanto non sia già avvenuto certamente l’Europa avrebbe ulteriori difficoltà perché gli Stati Uniti sono energeticamenti indipendenti dalla Russia e questo è l’unico e reale vantaggio competitivo degli usa sulll’europa.Anche in termini di sanzioni, il fatto che l’Europa segua gli Usa sulle sanzioni grava molto di più agli europei che agli americani. Se la guerra prosegue e se in autunno i russi chiudono i rubinetti questo problema si acuisce ulteriormente”.

“Insisto, poi - sottolinea il professore della Bocconi - sul fatto che l’unico vantaggio degli USA è di essere autonomi dal punto di vista energetico, ma non è vero che hanno un’economia più forte di quella europea, anzi gli Stati Uniti hanno un deficit commerciale enorme da decenni e quindi hanno una bassa competitività da un punto di vista industriale e commerciale”

E allora da dove nasce il loro vantaggio?

“Il loro vantaggio è puramente finanziario, cioè: cosa esportano bene gli Usa? Esportano bene i debiti. Il fatto che aumentino i tassi d’interesse e vendono meglio vuol dire che i loro debiti diventano ancora più appetibili nel resto del mondo perché rendono di più. E’ importante dirlo perché questa prospettiva apre ad altri scenari. Se l’Europa riesce a mettersi in pari da questo punto di vista diventando altrettanto brava a vendere i debiti diventerà molto più forte degli Stati Uniti. Per vendere bene i propri debiti, però, bisognerebbe avere dei debiti europei... Perché fintanto che vendiamo uno spezzatino di debiti pubblici nazionali c’è il rischio che il mercato ci discrimini perché l’Europa non si presenta come un solo uomo, come un solo produttore sul mercato dei debiti; si presenta in questa maniera frammentata e non diventa un porto sicuro dove mettere i propri risparmi nei momenti d’incertezza”.

Cosa dovrebbe fare la Banca Centrale europea?

“Ora si attende lo scudo antispread anticipato dalla Bce e se questo sarà efficace allora l’Europa potrà uscire da questa situazione e con degli aumenti dei tassi d’interesse molto bassi cominciare ad attrarre capitali, rafforzare il tasso di cambio, ridurre i costi dell’importazione e ne veniamo fuori egregiamente, se invece continuiamo a essere quell’Armata Brancaleone sgangherata che siamo stati finora è chiaro che tutto diventa più difficile”

Oltre all’autonomia energetica gli Usa reggono anche per il rapporto tra aumenti salariali e inflazione che permette alle famiglie di mantenere potere d’acquisto nonostante l’attuale congiuntura economica, cosa che non accade in Europa e specialmente in Italia.

“Questo è un dato fondamentale perché l’inflazione diventa un problema proprio perché crea degli effetti sperequativi. Quando c’è l’inflazione c’è chi ci guadagna e chi ci perde. Ora tipicamente in un paese come il nostro dove ci sono molti lavoratori dipendenti che hanno contratti collettivi è chiaro che i salari reali diminuiscono quindi c’è un impoverimento e in un momento come questo un dato simile rischia di creare tensioni sociali. Però va anche aggiunto che non è che gli Stati Uniti siano il paradiso dei lavoratori perché il potere d’acquisto dei lavoratori si è retto molto di più sull’indebitamento che sull’aumento dei salari. L’indebitamento delle famiglie è ben più elevato che in Europa. Le famiglie americane hanno mantenuto il loro tenore di vita non perché più ricche, ma perchè più indebitate delle nostre.

Cosa succederà a medio e lungo termine?

“A medio termine quello che può avvenire è che ci sia un aumento dei tassi d’interesse in Europa che in parte attenua l’apprezzamento del dollaro, ma che rischia di provocare una recessione mentre a lungo temine, cioè tra un paio d’anni, lo scenario che si prospetta implica che la capacità dell’Europa di resistere dipenda da un lato dalla sua autonimia energetica e dall’altro dalla sua forza finanziaria. Queste oscillazioni dei cambi oggi dipendono molto di più da fattori finanziari che da fattori commerciali. Sarebbe bello da dire che il tasso di cambio si assesta in maniera tale da riflettere forza e competitività delle varie economie, ma così non è. Viviamo in un mondo in cui i tassi di cambio dipendono molto di più dalla credibilità finanziaria che dalla forza commerciale.”

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