freemium-page-header-post
May 09 2020
Dopo il successo delle celebrazioni per il Dantedì, Panorama lancia una nuova proposta letteraria. Per affrontare questi tempi incerti, il suggerimento è di aggrapparci al nostro patrimonio culturale. E visto che, come ha scritto il 19 aprile Paolo Rumiz, il verso «è terapeutico come l'amore» e «la bellezza è l'antivirus più efficace», presentiamo sei interpreti della nostra tradizione. L'iniziativa Poesia per r-esistere è realizzata in collaborazione con alcuni docenti di Lettere dei licei Faes di Milano e con il professor Gianni Vacchelli, docente alla Statale di Milano. La quarta puntata è dedicata al poeta friulano.
Pier Paolo Pasolini era un intellettuale a tutto tondo che scriveva romanzi, teatro, articoli, saggi, dirigeva film e creava anche bellissimi versi. La poesia rappresentò lungo tutta la sua vita il luogo privilegiato della riflessione dello scrittore su di sé e sui propri rapporti col mondo in trasformazione che lo circondava. Aveva lasciato Bologna e la sua terra d'origine, il Friuli, per trasferirsi a Roma con l'amata madre, nelle periferie che ebbero sempre per lui un fascino inesauribile di vitalità e miseria.
Dovette superare numerose difficoltà, dal giudizio, o pregiudizio sulla sua omosessualità, alla perdita in guerra dell'amato fratello, il licenziamento, la solitudine. Ma Roma l'accolse e la sua gratitudine si sente in tante poesie dedicate alla città che gli ha insegnato tanto:
Stupenda e misera città,
che m'hai insegnato ciò che allegri e feroci
gli uomini imparano bambini,
le piccole cose in cui la grandezza
della vita in pace si scopre, come
andare duri e pronti nella ressa
delle strade, rivolgersi a un altro uomo
senza tremare, non vergognarsi
di guardare il denaro contato
con pigre dita dal fattorino
che suda contro le facciate in corsa
in un colore eterno d'estate;
a difendermi, a offendere, ad avere
il mondo davanti agli occhi e non
soltanto in cuore. [...] Stupenda e misera
città che mi hai fatto fare
esperienza di quella vita
ignota: fino a farmi scoprire
ciò che, in ognun, era il mondo.
(Il pianto della scavatrice)
Pasolini sa guardare la realtà perché è un autore immerso nel suo tempo, interviene
spesso sui temi di attualità politica e sociale, ma soprattutto si pone come coscienza
critica di un'epoca, cercando sempre di indagare sugli inganni e sulle omissioni della
borghesia in trasformazione nella società di massa.
Al centro della sua poesia c'è sicuramente il realismo, ma un realismo particolare,
concreto ma anche simbolico che parte dalla percezione della sofferenza che
accomuna ogni essere vivente. Nei suoi versi assistiamo all'unione dell'esperienza
individuale e del piano storico collettivo, della propria interiorità e della riflessione sullo
stato generale del paese:
Vengo da te e torno a te,
sentimento nato con la luce, col caldo,
battezzato quando il vagito era gioia,
riconosciuto in Pier Paolo
all'origine di una smaniosa epopea:
ho camminato alla luce della storia,
ma, sempre, il mio essere fu eroico,
sotto il tuo dominio, intimo pensiero.
(da Frammento alla morte)
L'uomo immerso nella realtà patisce, però la solitudine, la paura di restare solo. Pasolini, che aveva sicuramente sofferto nell'essere emarginato, si riconosce in tutti gli emarginati, in chi vive nelle periferie, dalla campagna friulana, alle borgate romane, al terzo mondo:
Senza di te tornavo, come ebbro,
non più capace d'esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto.
Mille volte son stato così solo
dacché son vivo, e mille uguali sere
m'hanno oscurato agli occhi l'erba, i monti
le campagne, le nuvole.
Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco
c'è solo l'ombra.
E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest'angoscia che monta dentro al seno;
essere solo.
(Senza di te tornavo)
Ma sopra tutto, torna sempre il suo realismo che parte dalle piccole cose, dagli umili, un realismo di matrice cristiana, fusa con la sua giovanile adesione alle idee di Antonio Gramsci che diventa una tensione spirituale francescana. La tragedia di ogni singola creatura è in grado di parlare del dolore del mondo intero e di ogni essere creato, ma anche un oggetto inanimato, in quanto creatura dell'uomo, può diventare simbolo di un pianto universale, come il Pianto della scavatrice, uno dei poemetti che compongono la raccolta Le ceneri di Gramsci, opera che fotografa la crisi di un'epoca, la consapevolezza che la realtà in continuo mutamento rischia di omologare tutti e di far scomparire per sempre le identità specifiche degli umili della terra. Ma nel suo realismo lirico, in cui sublimitas e humilitas si fondono, Pasolini riconosce un fratello in ogni essere umano:
Pochi conoscono le passioni
in cui io sono vissuto:
che non mi sono fraterni, eppure sono
fratelli proprio nell'avere
passioni di uomini
che allegri, inconsci, interi
vivono di esperienze
ignote a me.
(Il pianto della scavatrice)