Pasquale Natuzzi: il coraggio di essere imprenditori
Tra le storie di successo e di tenacia ascoltate durante la tappa barese del tour Panorama d'Italia, quella che Pasquale Natuzzi ha raccontato nella chiesa di Santa Teresa dei Maschi ha lasciato davvero un segno. Intervistato dal direttore di Panorama Giorgio Mulè ha ripercorso il suo esordio, le scelte complicate e coraggiose e anche l'incendio che nel '73 ha distrutto il suo stabilimento di Matera.
È una storia che inizia a Taranto quella di Natuzzi, da una bottega da ebanista. "Sono un imprenditore che non ha neanche completato gli studi" ha raccontato. "Da ragazzino, già a 9 anni lavoravo nel pomeriggio con mio padre ebanista. A 13 mi chiese di lasciare la scuola". Però quel lavoro non lo appassionava, era attratto molto di più dal laboratorio di tappezziere nella bottega vicina. Prese coraggio e cambiò mestiere.
A 19 anni aprì un laboratorio per conto suo, "nel '59 avevo tre operai in tutto". Da Taranto si trasferì a Matera alla ricerca di un tappezziere. Cominciò a fare poltrone, divani, tendaggi, ma a un certo punto rimase da solo. "Gli operai avevano nostalgia del mare... mi mollarono" racconta.
Il mare... di debiti
Ricominciò, vendendo mobili con suo padre, che nel frattempo aveva diversificato l'attività. "Ho aperto 27 piccoli negozi a Matera, ma a un certo punto alla fine degli anni Sessanta i mobili non si vendevano più e arrivai al punto di non poter più pagare i fornitori. Divenni l'uomo più indebitato d'Italia".
Una crisi con un risvolto positivo visto che lo spinse a riprendere il mestiere di tappezziere, la sua vera vocazione, a ripianare tutti i suoi debiti e a spostarsi nello stabilimento che aveva già cominciato a costruire a Sant'Eramo in colle, il suo quartier generale odierno, dopo che un corto circuito nel '73 distrusse la fabbrica materana, contabilità compresa. "Non ero neanche più in grado di dimostrare i crediti, fu un disastro".
Il mercato estero
A Sant'Eramo cominciò a innestare il turbo, a partecipare alle fiere e a produrre anche per i paesi arabi, con il Medio oriente che rappresentava il 70 per cento del fatturato. Una concentrazione troppo rischiosa che lo spinse a virare su Germania, Olanda e Belgio. "Capii che il divano in pelle aveva grandi potenzialità".
Si spinse a Montreal e quindi a New York per studiare i prodotti locali, vide che i suoi divani avevano prezzi molto più bassi, chiese di incontrare i buyer e da lì cominciò a lavorare con Macy's. Natuzzi ebbe un successo inarrestabile, con la quotazione a Wall street nel '93 e 805 milioni di fatturato nel 2002. "Divenni per tutti l'uomo che ha messo a sedere l'America" racconta.
"Io lavoro, io creo lavoro" è lo slogan dell'imprenditore umanista che per riposizionare il marchio ha investito negli ultimi 12 anni 1 miliardo di euro, il frutto del fatturato estero. "Altrimenti avremmo dovuto abbandonare 3000 dipendenti". Non solo: la sua esperienza ha dato vita al distretto del mobile, con 540 aziende tra Matera, Sant'Eramo e Altamura, che copiavano i suoi prodotti vendendoli al 20% in meno.
Ma la concorrenza a un certo punto, con la globalizzazione, è arrivata anche dalla Cina, il distretto è stato sterminato, solo Natuzzi è riuscito a sopravvivere. "Nel '97 abbiamo cambiato strategia, continuando a produrre divani di qualità ma a prezzi più "democratici" in Cina e Romania. In Italia invece ci siamo riposizionati: non più solo divani in pelle ma anche di tessuto, e abbiamo aperto negozi con il marchio "Divani e divani" in Italia, in Cina, Usa, Russia".
La crisi del 2008
Altro giro altra crisi, quella del 2008, che ha portato a vendere meno case e quindi meno mobili. Superata anche quella. "Io ripeto sempre che vedo il sole fuori dal tunnel. Oggi due terzi delle vendite sono nei negozi, tra cinque anni avremo punti vendita in tutto il mondo. "E la sfida digitale?" chiede Mulè. "È essenziale per diffondere l'etica della nostra azienda, e anche l'e-commerce ci aiuta dove non abbiamo negozi".
"Ma che cos'è per lei il coraggio?" è l'ultima domanda. "È il saper cambiare per adeguarsi ai tempi. Anche lasciando il certo per l'incerto".
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