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February 08 2018
L'Economist Intelligence Unit ha predisposto la sua ricerca annuale sullo stato di salute della democrazia nel mondo. Lo studio raggruppa i Paesi in quattro categorie, valutandoli in base al regime di governo: democrazia "piena", "imperfetta", regime ibrido e regime autoritario. L'indice su cui è costruita la metodologia di lavoro si fonda sull'esame di elementi quali le procedure elettorali, il pluralismo, il funzionamento dell'esecutivo o il livello di partecipazione alla vita politica.
Purtroppo, il 2017 (ma era stato così anche l'anno scorso) non è stato un anno particolarmente incoraggiante, vista la contrazione del numero di Paesi che ricadono nella categoria delle democrazie piene. I dati parlano chiaro: su 167 nazioni prese in esame, ben 89 hanno registrato un regresso. Anche se non mancano le buone notizie (è il caso del Gambia, dove la caduta di una pluriventennale dittatura ha migliorato radicalmente le cose), è un dato di fatto che la percentuale della popolazione mondiale che vive in Paesi guidati da un sistema "pienamente democratico" si è ridotta a meno del 5%, mentre quella che, viceversa, abita in Stati autoritari è oltre un terzo del totale.
14 democrazie su 19 sono in Europa occidentale, con la Norvegia prima in classifica. Va detto che il metro utilizzato dagli analisti dell'Economist è molto severo. Le vicende legate al tentativo indipendentista catalano, ad esempio, hanno portato la Spagna a un passo dall'essere declassificata da democrazia "piena" a democrazia "imperfetta" (il termine utilizzato nella ricerca è flawed, che non ha corrispondenti esatti nella nostra lingua e si riferisce a sistemi in cui i difetti sono tali da minarne il funzionamento). Sarebbe stata comunque in buona compagnia, visto che in tale categoria ci sono Stati di lunga tradizione democratica come la Francia (messa dietro la lavagna per una recente normativa che amplia i poteri dell'esecutivo in situazioni di emergenza) e gli Stati Uniti (che già l'anno scorso erano stati inclusi nella stessa categoria). E l'Italia? Rimandata a settembre, proprio come gli Stati Uniti con cui condividiamo la ventunesima posizione in classifica.