Economia
May 08 2013
Ironia vuole che la sigla completa sia PSC, Patto di Stabilità e Crescita. Si, l’accordo europeo che fa disperare i sindaci fino a spingerli in piazza e blocca i pagamenti della pubblica amministrazione, che soffocherebbe ogni tentativo di ripresa e causerebbe persino la disoccupazione quando fu sottoscritto prevedeva anche lo sviluppo. Ma adesso sembra solo una palla al piede di Stati che fanno fatica a tenere insieme debito, deficit e crescita. In parte lo è, ma in qualche caso sembra diventare anche diventare il perfetto caprio espiatorio di altri colpevoli più o meno nascosti.
Il neoministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato è in carica da pochi giorni ma ne ha già parlato spesso, confermando la centralità della questione: “Se si allenta il patto di stabilità, si rimette in moto tutta una serie di iniziative perché così si fa circolare più denaro, si riattivano i consumi e la produzione”, ha detto.
Il patto di stabilità è il codice dello sventurato rigore europeo, la fonte del nostro scontento. Sottoscritto ad Amsterdam nel 1997 tra i Paesi dell’Unione europea, fu di fatto la premessa normativa dell’euro: facciamo una moneta unica ma impegniamoci tutti a rispettare poche, semplici regole di bilancio. Semplice ma rigide: deficit non superiore al 3% del pil, debiti al di sotto del 60%. Come dice l’ex ministro Giulio Tremonti, si fonda su tre S: Sorveglianza, Sanzioni, Sessioni di bilancio. L’Unione controlla, punisce chi sgarra e aggiorna ogni anno il piano economico da rispettare.
Il controllo c’è, la sanzione non sempre. Nell’Eurozona, se si guardano i bilanci 2011, solo Estonia, Finlandia e Lussemburgo sono in regola. Persino Francia (deficit al 5,2%, debito oltre l’85%) e Germania sono indisciplinate ma non è successo nulla. L’Italia, è notizia di questi giorni, nel 2013 starà sotto il 3% e, quindi, dovrebbe evitare la punizione comunitaria. Ma c’è qualcosa che ci rende diversi: saremo stati bravi con il deficit, ma abbiamo ancora un debito elevato, troppo elevato Quest’anno dovremmo stare intorno al 130%: peggio di noi fa solo la Grecia.
Il Patto di stabilità non è mai piaciuto. Basti ricordare che Romano Prodi da presidente della Commissione europea lo definì “inattuabile” per la sua rigidità, anche se necessario. Adesso, con la penuria di liquidità causata dalla crisi, rispettarlo sembra diventato impossibile, anche perché il PSC ha portato a un patto di stabilità interno che sta paralizzando la vita delle amministrazioni pubbliche. L'incubo delle amministazioni locali si chiama PSI e condiziona pesantemente l'attività di regioni e comuni, chiamati a comportarsi in modo tale che lo Stato rispetti i vincoli europei. Ma ad accrescere lo stress c'è il fatto che le regole cambiano ogni anno, impedendo soprattutto qualsiasi programmazione.
Cambiano gli obiettivi, le voci da considerare, le sanzioni, persino gli enti coinvolti. Per le Regioni, ad esempio, dai calcoli è esclusa la Sanità nonostante rappresenti buona parte del bilancio. Non solo: il federalismo fiscale prevede che ogni Regione possa stabilire le sue regole per stare dentro il PSI. Finisce cosi che le amministrazioni comunali sono costrette a improvvisare e anche quando sono virtuose non possono spendere. Niente investimenti, braccio corto sui pagamenti. Una situazione vicina all'ingestibilità dell' azienda Comune, con sofferenze per i fornitori e per i clienti, che sono poi i cittadini.
“Il grido di dolore dei Comuni va ascoltato”, ha detto il ministro Zanonato. “Ma le regole vanno comunque rispettate, perché prima di tutto viene la credibilità del Paese. Se l'Ue permetterà riduzioni, lo si potrà fare anche da parte dell'Italia ai suoi Comuni”. Insomma, abbiamo addosso catene europee che non possiamo toglierci da soli. Possiamo solo sperare che anche gli altri Paesi le trovino insopportabili e dobbiamo sperare nelle capacità di persuasione che dimostrerà il premier Enrico Letta con Bruxelles. Ce la farà? Ce lo auguriamo. Ma attenzione a non illudersi che l’allentamento del patto di stabilità (ormai chiesto da più parti), quando ci sarà, possa farcindimenticare tagli e risparmi e via come prima a spendere e spandere. Per crescere bisogna certo liberarsi della palla al piede. Ma non si va lontano se resta sulle spalle il macigno del debito pubblico.