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June 27 2016
C’è vita oltre la Brexit? All’indomani del referendum infuria il dibattito sulle sorti di Europa e Regno Unito. Ma lo scenario da prendere in considerazione è molto più ampio, così come la posta in gioco. Chi con molta lucidità prova ad affrontare il nostro possibile futuro è il giornalista britannico Paul Mason. Il suo Postcapitalismo (edito in Italia per i tipi del Saggiatore) è uno dei saggi più ambiziosi di questa stagione, un’analisi accurata che mettendo a sistema fattori sociali e tecnologici non solo si spinge a prevedere la morte del capitalismo, ma immagina persino cosa possa venire dopo.
Come siamo arrivati qui
Secondo Paul Mason, la dottrina economica che ha informato gli ultimi decenni della nostra epoca, il 'neoliberismo', da una parte ha avuto il merito di promuovere la più grande ondata di sviluppo economico che il mondo abbia mai visto, ma dall’altra ha riportato la disuguaglianza economica e il conflitto sociale a livelli vicini a quelli di un secolo fa.
Secondo Mason, la teoria del mercato liberissimo ha portato a mercati incontrollati, la spinta alla finanziarizzazione ha allentato sempre più il contatto fra borse ed economie reali, l’eccessiva fiducia nel potere correttivo delle banche centrali avrebbe suggerito operazioni sempre più rischiose. Il tutto accelerato dalle enormi leve messe a disposizione dall’informatica e dai vorticosi cambiamenti sociali innescati dalla tecnologia.
Fra gli errori più gravi, il dare per scontata la possibilità di rimodellare le vecchie forme di società sulla base delle nuove tecnologie. In passato è sempre avvenuto, 'ma oggi il processo di adattamento si è inceppato'. Questo perché, secondo Paul Mason, la rivoluzione informatica è diversa da qualsiasi precedente rivoluzione tecnologia 'e ha la tendenza a dissolvere i mercati, distruggere la proprietà e spezzare la relazione fra salario e lavoro'.
Perché è arrivato il momento del Postcapitalismo
Al di là dei toni apocalittici, non si può non apprezzare il buon senso con cui Mason guarda all’irreversibile trasformazione innescata dalla tecnologia nella nostra società. Quando parla di 'dissoluzione' non pensa alla morte del mercato, ma a tutte quelle forme di scambio che avvengono al di fuori di questo (sharing economy, banche del tempo, progetti open source, licenze Creative Commons). Quando parla di 'distruzione della proprietà' non incita all’anarchia, ma constata l’erosione del concetto di proprietà in una società in cui tanta parte dell’economia si basa sull’informazione, sulla produzione intellettuale, su brevetti e copyright che è sempre più difficile tenere al riparo dalla riproduzione a costo zero offerta dalla tecnologia. Quando parla di 'spezzare la relazione fra salario e lavoro' non invoca uno dei molti comunismi possibili ma, ancora una volta, constata la trasformazione in corso -e in buona parte già avvenuta- per cui la distinzione fra consumatore e produttore appare sempre più sfumata. 'Nel momento esatto della storia in cui è diventato possibile produrre cose senza mercato o l’azienda, un numero significativo di persone ha cominciato a farlo'.
Come qualificare, per esempio, i contenuti che ognuno di noi produce sui social network generando ricchezza per le grandi piattaforme? E il discorso generato dagli utenti sulle pagine Facebook dei grandi marchi? Sono intrattenimento o produzione di brand? E quanto valore generiamo offrendo (e non potendo non offrire) ad Amazon i dati delle nostre transazioni? La scienza economica chiama questi prodotti 'esternalità positive'.
Il petrolio dell'informazione
'In un’economia dell’informazione' scrive ancora Mason, 'le esternalità diventano la questione principale (…). Se analizziamo i colossi dell’infocapitalismo, scopriamo che il loro modello di impresa consiste quasi esclusivamente nell’intercettare esternalità positive collaterali. Amazon, per esempio, funziona offrendovi suggerimenti per gli acquisti basati sulle vostre scelte precedenti: informazioni che avete fornito gratuitamente e che non potete scegliere di non fornire'.
È vero quindi, 'le tecnologie informatiche espellono il lavoro dal processo di produzione, distruggono alcuni modelli di profitto e producono una generazione di consumatori psicologicamente in sintonia con la gratuità delle cose'. Ma quanto siamo consapevoli di tutto questo? E quanto incide sulla qualità del vivere comune?
Se le analisi di queste esternalità venissero rese pubbliche, afferma Paul Mason, la società potrebbe giovarsene per migliorare la razionalità, l’efficacia e l’impatto ambientale dei proprio consumi. Ma se questo dovesse accadere, i precedenti detentori dei dati -come Amazon, Google o Facebook- perderebbero un importate vantaggio di mercato. 'L’elemento cardine dei loro enormi sistemi di commercio elettronico è che i dati dei clienti sono sottoutilizzati'. Da qui la considerazione che 'se un’economia di mercato con proprietà intellettuale porta a sottoutilizzare l’informazione, allora un’economia basata sul pieno utilizzo dell’informazione è incompatibile con il mercato o con diritti assoluti di proprietà intellettuale'. Ecco dunque uno dei punti fondamentali del ragionamento di Mason: gli sviluppi della tecnologia ci hanno già portato oltre un punto di non ritorno, dobbiamo solo rendercene conto.
Internet proletariat
E i lavoratori? Cosa intende Mason quando dice che la relazione fra salario e lavoro si è ormai spezzata? Ai dipendenti non viene più chiesto semplicemente di lavorare, ma di sposare lo spirito dell’azienda anche al di fuori del posto di lavoro, di essere sempre raggiungibili, di spendere il proprio tempo facendo networking. Il lavoratore, in pratica, 'viene pagato per esistere, fornire idee all’azienda e centrare gli obiettivi' più che per lavorare un certo numero di ore. Ma le conseguenze non sono da poco. 'Se il lavoro attribuisce più valore all’adattabilità piuttosto che alla competenza, e alla capacità di fare rete piuttosto che alla lealtà, si crea un nuovo tipo di lavoratore focalizzato sul breve termine, sia nel lavoro che nella vita'. Intrecciare legami stabili, professionali o interpersonali, è diventato quindi sempre più difficile.
Conclude Mason, 'la direzione tecnologica di questa rivoluzione è in contrasto con la sua direzione sociale. Dal punto di vista tecnologico, siamo diretti verso merci a prezzo zero, lavoro non misurabile, decollo esponenziale della produttività ed estesa automazione dei processi fisici. Dal punto di vista sociale, siamo intrappolati in un mondo di monopoli e inefficienze, tra le rovine di un libero mercato dominato dalla finanza e una proliferazione di lavori del cazzo'.
Revolution will not be televised
Quali sono gli elementi che portano Mason a pensare che sia maturo il tempo per una vera e propria rivoluzione? Il disagio sociale generato da una lunga stagnazione economica, l’iniezione nel sistema di una nuova improvvisa ricchezza (le esternalità positive) e una serie di shock esterni che colpiranno i mercati nel prossimo futuro (esaurimento dei combustibili fossili, cambiamenti climatici imminenti, invecchiamento della popolazione, migrazioni). Questo almeno nei paesi dotati delle economie più avanzate.
Gli stessi paesi che hanno eletto il modello neoliberale a unico modello possibile, rimuovendo però il fatto che il sistema economico che avevano abbracciato non sarebbe stato possibile senza una serie di paesi chiave che hanno deciso di fare diversamente. Come le nuove economie asiatiche nei confronti dell’occidente, o –su scala minore- la Germania con l’Europa, tutti grandi acquirenti del debito altrui. 'In altre parole' scrive Mason 'dobbiamo partire dal presupposto che il neoliberismo può esistere solo grazie al fatto che alcuni paesi chiave non lo applicano'. 'In breve' conclude, 'la tesi di questo libro è la seguente: il capitalismo è un sistema adattativo complesso che ha raggiunto i limiti della propria capacità di adattamento'.
Il progetto di Paul Mason
Così si conclude la parte più interessante del libro di Mason. Trecento pagine di analisi acute e stringenti che hanno il merito di spaziare dalla storia alla tecnologia alla sociologia, includendo dimensioni diversissime del vivere contemporaneo, tutte determinanti nell’indicare come siamo arrivati all’oggi e cosa ci riserva il domani. Alle ultime trenta pagine del libro è dedicata invece la sua visione per il futuro, il suo progetto di postcapitalismo. Una visione francamente deludente, duole ammetterlo, specie alla luce dell’acume mostrato nelle pagine precedenti.
Fra elementi fantascientifici (un’economia il cui costo di produzione per unità scenderà a zero), rimozioni inspiegabili (che fine faranno le economie del terzo mondo? diventeranno come quelle del primo), e prese di posizione ideologiche inutilmente stringenti (perché rifiutarsi di immaginare da parte delle grandi aziende comportamenti che vadano in direzione del bene comune?) la teoria di Paul Mason sembra muoversi entro steccati ingiustamente artificiosi a fronte dell’ambizione dichiarata.
Un vero peccato per quello che, ad ogni modo, resta uno dei saggi più importanti degli ultimi anni, la cui lettura non può non essere raccomandata accanto a quella di La dignità ai tempi di internet di Jaron Lanier (edito sempre dal Saggiatore). A opinione di chi scrive, due fra le opere a cui fra vent’anni non potremo fare a meno di guardare come seminali.