ANSA/FABIO FRUSTACI
Economia

Pd-5stelle, cosa li divide in economia

Ancora sette giorni a disposizione. Sono quelli entro i quali il Movimento 5 stelle e il Partito Democratico dovranno trovare un possibile accordo per formare un nuovo esecutivo. Davvero ce la faranno, dopo essersene dette di tutti i colori durante l‘ultima campagna elettorale?

Di punti di attrito tra le due forze politiche ve ne sono ancora molti. E le divisioni più profonde si registrano soprattutto in un campo: la politica economica, un terreno su cui il movimento che ha come leader Luigi Di Maio e il partito guidato da Maurizio  Martina (ma ancora dominato dalla corrente renziana), sembrano andare poco d’accordo, almeno su alcuni temi specifici.

Il fantasma del Jobs Act....

Gli ostacoli più duri per raggiungere un’intesa sono nelle politiche del lavoro. Nella campagna elettorale i 5 stelle hanno infatti promesso di fare carta straccia (o quasi) del Jobs Act, l’ultima riforma del welfare varata dal governo Renzi, che ha eliminato per i nuovi assunti l’articolo 18 dello Statutodei Lavoratori. 

Si tratta, per chi non la conoscesse ancora, di quella norma applicata nelle aziende con più di 15 addetti, che prevedeva il reintegro obbligatorio nell'organico dell'impresa dei dipendenti licenziati ingiustamente.

Per i sindacati l’articolo 18 è sempre stato una bandiera. E lo è stato pure per l’M5s che ha promesso, una volta giunto al governo, di reintrodurre subito questa norma anti-licenziamenti anche per le nuove assunzioni, quelle effettuate dalle aziende dopo l’approvazione del Jobs Act.

Se dunque vorrà firmare un accordo con un Pd ancora dominato dalla corrente renziana, il movimento guidato da Luigi Di Maio dovrà mettere da parte qualsiasi volontà di stravolgerere i contenuti del Jobs Act e di far risorgere l'articolo 18. Si tratta di una rinuncia che provocherebbe non pochi malumori nell'elettorato pentastellato, almeno tra quello che viene da sinistra.

...e quello della Fornero 

C'è poi un altro terreno su cui il Pd e l'M5s difficilmente possono trovare un punto di incontro. Stiamo parlando delle pensioni e della Legge Fornero, l'ultima riforma previdenziale approvata in Italia che ha portato a 67 anni l'età di congedo dal lavoro con gli assegni di vecchiaia.

Anche della Legge Fornero il Movimento 5 Stelle vorrebbe fare carta straccia (o quasi), mentre il Pd ha una posizione ben diversa. Pur non essendo contrario a un ammorbidimento dell'età pensionabile, il partito di Renzi e Martina ha già scelto di correggere la Legge Fornero con soluzioni soft come l'Ape, il prestito pensionistico che ha un impatto contenuto sui conti pubblici.

E sono proprio i conti pubblici, più che le pensioni, a dividere il Pd e i 5 Stelle. La revisione della Legge Fornero costa infatti diversi miliardi di euro in termini di maggior deficit ed è un'ipotesi che non piace di certo all'Europa. In campagna elettorale, Di Maio ha detto di non considerare un tabù lo sforamento del tetto del 3% del pil per il disavanzo pubblico, un limite imposto all'Italia dai parametri di bilancio europei.

Il governo uscente del Pd, guidato da Paolo Gentiloni, con il Documento di Economia e Finanza ha invece appena fissato l'obiettivo di raggiungere un rapporto deficit/pil di appena l'1,6% già alla fine di quest'anno, rispettando pienamente i dettami di Bruxelles. Partendo da questi numeri, insomma, per i vincitori e i grandi sconfitti delle ultime elezioni non sarà facile trovare un'intesa.

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