News
October 14 2013
Dire che sono tutti preoccupati, a largo del Nazareno, è un eufemismo. Girano brutte cifre. Anzi, bruttissime. Ma ad angustiare dipendenti e dirigenti del Partito democratico non è tanto quell’83% che i sondaggi attribuiscono a Matteo Renzi nel suo prossimo, inevitabile trionfo alle primarie. Quello che preoccupa la «Ditta», più prosaicamente, sono i numeri usciti giovedì 3 ottobre da una riunione con il tesoriere.
È stato Antonio Misiani a dare la brutta notizia: amici e compagni, non c’è più un euro. I vostri stipendi sono garantiti fino a luglio. E poi? Dipende. Se i partiti si metteranno d’accordo (nel Pdl al momento infuria la bufera) sulla riforma del finanziamento pubblico, c’è un bell’emendamento presentato dai deputati pd che, al modico costo di 18 milioni per 2014 e 2015, permetterà di estendere la cassa integrazione straordinaria e i contratti di solidarietà al personale delle organizzazioni politiche. Altrimenti, si salvi chi può.
Povero Pd. Letteralmente. Nel 2012, per la prima volta, ha chiuso in rosso. Entrate 37,5 milioni, uscite 45. Risultato: un buco di 7,5 milioni.
Ovvio, «il disavanzo è legato al dimezzamento dei rimborsi elettorali» puntualizza la relazione al bilancio. Se nel 2011 il Pd aveva incassato finanziamenti per quasi 58 milioni e nel 2012 ha avuto solo 29 milioni e spiccioli, è chiaro che all’appello mancano circa 29 milioni. Il disastro è ancora più evidente se calcoliamo che proprio i rimborsi elettorali sono, da anni, l’unica vera risorsa del Pd. Secondo Misiani, «nel 2011 rappresentavano il 91,2 per cento dei ricavi» e permettevano di chiudere i conti in attivo di 3,5 milioni.
Ora la cassa piange. E la struttura che Renzi si appresta a espugnare l’8 dicembre economicamente non sta in piedi. I contributi dei parlamentari (4,8 milioni), il tesseramento (3 milioni), le donazioni (408 mila euro) non bastano nemmeno per coprire i finanziamenti alle strutture territoriali (costano 9,5 milioni). Ma la spesa più grossa, che ingoia quasi metà del bilancio, è per il personale (12,7 milioni) e la comunicazione e propaganda elettorale (quasi 9 milioni). Troppa gente, troppe spese, troppo tutto: 198 i dipendenti al 31 dicembre 2012, di cui ben 17 giornalisti (un direttore, 8 capiredattori, 1 vicecaporedattore, 2 vicecapiservizio e 5 redattori), 165 amministrativi a tempo pieno più 4 part-time, 5 autisti a tempo pieno, 13 collaboratori. Per non parlare dei dirigenti e dei 12 membri della segreteria i cui stipendi, 3.500 euro al mese più vitto e alloggio per i non romani, sono finiti addirittura sul sito Dagospia in marzo, insieme ai 90 mila euro lordi all’anno per Zoia Veronesi, capo della segreteria di Pier Luigi Bersani; ai 5 mila al mese per la margheritina Antonella Trevisonno, dirigente dell’amministrazione...
A dare i numeri a Dagospia, si sussurrò all’epoca, erano stati i renziani. Chiare le posizioni, del resto. Favorevolissimo, Matteo, all’abolizione del finanziamento pubblico, sono contrari i bersaniani e i cosiddetti giovani turchi, spalleggiati dallo storico tesoriere dei Ds, il dalemiano Ugo Sposetti. Ma come valuteremmo un’azienda che, di questi tempi, aumenta «l’investimento per risorse umane di circa il 300 per cento in 3 anni» e porta «da 4 milioni nel 2008 a 12 milioni nel 2010 il bilancio destinato ai dipendenti?» ha chiesto il renziano Gabriele De Giorgi, primo a puntare il dito sul costo dell’apparato. E lì è iniziato il Vietnam: dossier e controdossier su rimborsi spese, viaggi, trasferte, conti di alberghi e ristoranti...
Facciamola corta. Già nel 2012 Misiani aveva tagliato le spese del 25 per cento. Nel 2013 è scattato l’allarme rosso: chiuse le sedi di via del Tritone 87 e 169, ecco i tagli a servizi e utenze, più un «contentimento per viaggi, trasferte, alberghi, automezzi». Si è rivisto «il budget perl’attività politica». Si sono bloccati gli straordinari, si sono «ricollocati all’esterno parte dei dipendenti e collaboratori in organico al Pd nazionale». Traduzione? Con le elezioni 2013 molti dirigenti bersaniani come Nico Stumpo, capo dell’organizzazione, o Davide Zoggia, responsabile degli enti locali, sono entrati in Parlamento e i loro stipendi sono passati a carico della collettività. Altri sono stati parcheggiati nei gruppi parlamentari; altri negli uffici stampa o nelle segreterie dei ministri pd.
Ma i numeri sono sempre implacabili. Misiani l’ha messo nero su bianco: la struttura va ridimensionata. La Ditta così com’è non regge più. Renzi lo sa benissimo. E ha già una scusa in tasca per «asfaltare» anche l’apparato