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March 08 2016
Alla minoranza dem i 50mila elettori (47.317 per l'esattezza) che domenica si sono presentati ai gazebo per votare il candidato sindaco di Roma del centrosinistra, consegnando al vicepresidente ex radicale e ultra renziano Roberto Giachetti la maggioranza assoluta dei voti, non basta per riconoscere al segretario Matteo Renzi di aver vinto la partita azzeccando tutti i candidati nelle città che contano. Non solo Giachetti, ma anche Valeria Valente a Napoli e prima ancora Beppe Sala a Milano.
Renzi stravince le primarie: adesso i rischi sono tutti suoi
Tutt'altro. Per Roberto Speranza, che ieri in conferenza stampa ha presentato il convegno di Perugia del prossimo fine settimana da dove dovrebbe essere lanciata la sua candidatura alla segreteria nazionale, la scarsa affluenza ai gazebo dimostrerebbe che il doppio ruolo del segretario-premier non funziona e che per questo Renzi sta danneggiando il partito. Ma le primarie c'entrano fino a un certo punto. Anche se ieri la sinistra dem si è offesa parecchio per le spericolate dichiarazioni del commissario Pd a Roma Matteo Orfini su quelle del 2013 con 100mila votanti alle quali, a suo dire, avrebbero partecipato per lo più “le truppe cammellate dei capibastone arrestati per Mafia Capitale e i rom”. Come a dire, è l'interpetazione che alcuni hanno dato della frase di Orfini, che chi non è andato questa volta a votare sarebbe o rom o mafioso.
Il vero obbiettivo della sinistra anti-renziana
Tuttavia, se l'affluenza è stata scarsa a Roma, altrettanto non si può dire di altre città, in primis Milano, dove invece si è registrato un dato soddisfacente. Ragion per cui prendersela con Renzi proiettando sul piano nazionale una situazione, quella del crollo dell'affluenza a Roma, circoscritta a una città che negli ultimi mesi ha vissuto una situazione particolarissima e in cui le primarie si sono svolte sotto commissariamento, appare più che altro strumentale alla battaglia che ormai da tempo la minoranza ha ingaggiato contro i vertici del Nazareno. Non è certo un mistero che l'ex capogruppo alla Camera, cresciuto all'ombra di Pier Luigi Bersani, punti alla segreteria del partito, a riconsegnare la “Ditta” a quelli che lui e altri ritengono i suoi legittimi proprietari.
Ufficialmente per scongiurare che il Pd diventi quello che in realtà è sempre stato anche quando a guidarlo c'erano loro, ossia quell' “insieme di comitati elettorali” aperto al trasformismo di cui parla Speranza. “La rottamazione – ha aggiunto ancora – è tradita se si imbarca Verdini lasciando Bersani”. Tesi condivisa dall'ex Stefano Fassina, candidato sindaco di Roma con Sinistra italiana. L'ex capogruppo alla Camera, autodimessosi in polemica con la decisione di apporre la fiducia sull'Italicum, sostiene anche che non è possibile “far finta di non vedere i numeri di ieri, che testimoniano difficoltà, inquietudine, disagio di un pezzo grande del nostro mondo”.
Primarie Pd a Napoli: in un video soldi in cambio di voti
In questo senso ha ragione. Ma ammesso anche che tali difficoltà, inquietudine e disagio esistano, il caso di Napoli svelato dalle telecamere nascoste di Fanpage.it (Guarda qui) che hanno sorpreso consiglieri comunali e municipali a distribuire denaro fuori da alcuni seggi per far votare Valeria Valente, dimostra che se il Pd ha un problema non è certo quello dell'affluenza ai seggi di Roma.
Se per la prima volta l'affluenza nella Capitale è crollata, non è solo per via della disaffezione del popolo del centrosinistra ma anche perché, evidentemente, sta funzionando la cura post Mafia-Capitale somministrata da Renzi nel suo doppio ruolo di segretario-premier. Che il commissario Orfini abbia ragione o meno nel sostenere che le truppe cammellate sono rimaste a casa, certo è che, a differenza del passato (quando a capo del Pd, per intenderci, c'era Bersani), quanto meno non si sono viste le famose “file di cinesi ai seggi”.
Primarie boomerang
Il che non toglie che Speranza e altri possano legittimamente aspirare al posto che oggi è di Renzi e che le primarie, come dimostra il caso Napoli più che quello Roma, finiscono quasi sempre per rappresentare un boomerang per il Pd. Non c'è dubbio che, in queste condizioni, per il Partito Democratico la corsa verso le amministrative sia tutta in salita. In città come Roma, ma non solo, Roberto Giachetti dovrà vedersela con la grillina Raggi senza smettere solo un attimo di guardarsi anche alle spalle.
A remare contro non c'è solo la sinistra che si è chiamata fuori dal Pd e che tenterà, con la candidatura di Fassina, di ostacolare in ogni modo la vittoria del renziano, ma anche quella interna rappresentata da una parte dai bersaniani e dai dalemiani (che puntano a far perdere i candidati di Renzi per avere strada libera verso il Congresso), dall'altra da Ignazio Marino che, a tutti gli effetti, è ancora un esponente del Partito Democratico.