Cercasi nuovo Rinascimento italiano

Cosa cerchi in un libro e in un autore che riconosci come guida e maestro? Qualcosa che ti incammini o ti avvicini nella ricerca dell’essenziale. E invece prevalgono autori, soprattutto narratori, che devono distrarci, condurci nell’inessenziale, nel superfluo, nell’evasione o nel fantastico puro. O nei surrogati dell’essenziale, tra obbiettivi fallaci, falsi idoli, feticismo dei consumi, conformismi ideologici. S’intraprendono deviazioni di percorso, vie di fuga, itinerari per turisti, diversivi o divertenti. L’autore che insegna è invece colui che ti riporta all’essenziale e ti ricorda le cose che contano davvero. Di lui, di loro, puoi sentirti erede e discepolo. Alla ricerca di maestri, veri, presunti e controversi nasce questo mio nuovo libro pubblicato da Marsilio che ho intitolato non a caso Senza eredi. Una settantina di ritratti d’autori, famosi e meno noti.

Se dovessimo indicare i giganti del pensiero dell’ultimo secolo, la mente non va ai filosofi pur grandi che l’hanno abitato, ma a franchi pensatori, come Paul Valéry o Pavel Florenskij. Come definirli, questi autori non classificabili, che non furono filosofi, accademici, né solo letterati, non sono studiati a scuola e non compaiono nei sommari di storia della filosofia? Pensatori, o pensautori, autori che pensano e fanno pensare. È l’unico appellativo che si addice a chi non appartiene a una categoria specifica, e riconosce sia la loro singolarità sia la vastità dei loro saperi che attraversano vari campi.

Filosofo, purtroppo, è diventato colui che dell’universalità ha fatto una specializzazione, anzi dell’universalità ha fatto università, cioè accademia, professione, carriera, gergo e teoria per soli addetti. Pensatore è colui che abbraccia con il pensiero la vita e tende all’assoluto, in una visione del mondo, non in un sistema. La conoscenza non è finalizzata o ancorata a una cattedra. Il pensatore vuole capire il mondo e non si arresta davanti alla soglia del sacro e della profezia, della scienza, dell’arte e della vita, chiuso nella sua filosofia; ma vi si addentra da scienziato, da artista, da vivente, nella sua versatile solitudine fuori da ogni accademia o istituzione. E lancia «sguardi sul mondo attuale», come s’intitola un’opera di Valéry, penetra l’epoca che vive e compara le civiltà. I pensatori rimangono per così dire a piede libero, solitudini astrali e viandanti del pensiero, a tratti clandestino; pensatori a volte impersonali, portatori di un sapere originario, metafisico. Ce ne sono di grandi e singolari, originali, ma i più grandi sono universali e «originari». Danno voce e pensiero a una tradizione, a una civiltà.

Per capire la vita, il mondo e la condizione umana il pensatore intreccia saperi ed esperienze, non è irretito da un sistema e da un lessico, o ingessato in un corso d’insegnamento. Il rapporto tra la realtà e la verità, tra la parola e il silenzio, si fa in lui intenso, diretto, assoluto, senza interferenze, senza linguaggi astrusi, puro nell’impurità di un pensiero vivente che si dispone a trascendere la morte e a non finire con l’opera. Ripenso a quegli autori e riaffiora un interrogativo: perché non c’è più un pensiero nuovo? Perché non è pensabile, non è convertibile in pratica. Oggi il nuovo si addice ai modelli della tecnologia che seppelliscono i precedenti: nuovo può essere uno smartphone, un tablet, un’app, un video, uno spot. Ma un pensiero nuovo è inconcepibile, odora di déjà vu, come gli ultimi pensieri nuovi che nacquero e finirono lungo il Novecento. Ciò che è nuovo invecchia in fretta e cede il passo al più nuovo. E poi non sembra possibile un pensiero nuovo perché tutto appare già provato e consumato, e quel che fu detto non vale più ai giorni nostri, quasi fosse scaduto, sfinito, tradito. A un narratore chiediamo di portarci via di qui, di farci vedere un’altra vita, o comunque con altri occhi sotto altra luce. A un pensatore, invece, chiediamo di portarci nel cuore delle cose, di farci capire chi siamo e dove siamo, di darci le chiavi per entrare nell’essenziale o per ricercarlo, tra libertà e destino. Il pensiero è una nuova vista, mentre la filosofia sta scemando in una nuova cecità, sorretta dal bastone bianco dell’innovazione tecnologica e guidata dal cane lupo dell’intelligenza artificiale, che è l’unico erede universale.

Non è possibile un pensiero nuovo perché non è possibile un pensiero, non è più verosimile, non suscita alcun riflesso reale. Cosa vuol dire oggi il pensiero se non comporta un’applicazione, ossia conseguenze pratiche nel condurre la propria vita? Può esserci un’emozione, un evento, un accesso, però cos’è il pensiero oggi, se non sterile, astratta, ineffabile, improduttiva concettualizzazione? Così diventa impossibile concepire il mondo, la vita, la morte e oltre. Eppure, senza il pensiero nuovo non sarà possibile alcuna nascita di nessun tipo. La nostra civiltà vive nel declino e nell’attesa della morte anziché della nascita, finché non riuscirà a pensare il nuovo. Che è poi semplicemente pensare. Perché ogni pensiero vero non è ripetizione rituale, come invece è la preghiera, o ripetizione meccanica, come il riflesso automatico o il processo tecnologico. È invece novità, rielaborazione critica, originalità alla ricerca dell’origine. Pensare il nuovo non vuol dire pensare ciò che non esiste, creare dal nulla, abitare l’utopia. Ma significa disporsi alla nascita, al rinnovamento, sapendo che ogni vero pensiero è erede gravido, è una rinnovata aurora comporta un tramonto e il nuovo mattino rinnoverà l’eterna promessa di un giorno che sorge e poi tramonta, compiendo il suo ciclo. Il nuovo è la luce del mattino che torna ad albeggiare.

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