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January 21 2019
Nell’estate di 24 anni fa un collaboratore de Il Giornale, di cui ero vicedirettore vicario, mi segnalò che in Parlamento era stata depositata una relazione sul patrimonio edilizio degli enti previdenziali. Dovete sapere che all’epoca la legge che regolava gli investimenti dell’Inps e degli altri istituti pensionistici imponeva ai vertici di tutelare i contributi dei lavoratori mettendoli sotto il mattone. Quello immobiliare era infatti considerato l’investimento più sicuro e redditizio, il solo in grado di preservare il denaro versato da dipendenti e aziende per garantire un futuro tranquillo. Tuttavia, dalla relazione consegnata alle Camere nell’estate del 1995, risultava una realtà assai diversa da quella che ci si sarebbe dovuti attendere. Pur avendo un patrimonio fatto di milioni di metri quadri, quasi tutti affittati, cioè messi a reddito, l’Inps e gli altri istituti riuscivano a perdere soldi. Anziché rendere, gli immobili erano un problema, perché costavano milioni, in manutenzione e spese di gestione.
Ovviamente mi venne spontaneo cercare di capire come un simile spreco fosse possibile e per questo affidai ad alcuni colleghi l’incarico di fare un approfondimento. Ne venne fuori la più straordinaria inchiesta giornalistica sull’uso politico della cosa pubblica. Altro che Casta: Affittopoli era la dimostrazione che partiti e sindacati si erano appropriati dei beni degli italiani - in questo caso dei lavoratori e dei pensionati - e ne facevano un uso privato. Vittorio Feltri, che del Giornale era il direttore, cavalcò l’inchiesta e in breve scoprimmo i nomi di chi godeva di magioni a equo canone. Presidenti della Camera come Nilde Iotti con una vista su piazza Navona, a Roma, pagava pochi spiccioli. Segretari di partito come Massimo D’Alema con attici a Trastevere per poche centinaia di migliaia di lire, quando già un privato cittadino era costretto a pagare milioni per un bilocale. L’elenco era lungo e per settimane pubblicammo nomi e affitti, fino a costringere l’Inps a rendere pubblica la lista degli affittuari.
Lo scandalo suscitato fu enorme. Alcuni dei beneficiati furono costretti a traslocare, mentre il governo - di sinistra - fu indotto a intervenire, modificando la legge sugli investimenti degli enti previdenziali e il sistema di gestione degli istituti, che dava al sindacato e alla politica ogni potere. In pratica, capi e capetti di Cgil, Cisl e Uil, che all’Inps erano i veri padroni (soprattutto della spartizione), furono estromessi dal consiglio di amministrazione.
Tuttavia, se si guardano i risultati dopo quasi 25 anni, poche cose sono cambiate. Certo, molti immobili sono stati venduti, ma ahinoi, quasi sempre ai soliti privilegiati. Chi aveva ottenuto per meriti politici l’assegnazione di alloggi di lusso a pigioni da casa popolare, si vide offrire la possibilità di comprare casa in saldo, con il 30 o il 40 per cento di sconto. L’affare lo fecero ancora una volta gli esponenti della Casta, che dopo aver goduto di un’assegnazione e di un canone di favore, alla fine divennero anche proprietari a prezzo agevolato di un’abitazione che era stata comprata con i soldi dei pensionati e dei lavoratori. Sul Giornale raccontammo di alloggi passati di mano a valori che per i comuni cittadini erano inimmaginabili, ma la politica fece quadrato, tenendosi ben stretta la reggia conquistata. Lo sconto che era stato immaginato per agevolare i piccoli proprietari, titolari di alloggi in periferia, era divenuto il grimaldello per una classe politica approfittatrice per regalarsi un alloggio di lusso a poco prezzo.
A quasi un quarto di secolo da quella storia e quell’inchiesta, per capire come sono gestititi gli immobili degli enti previdenziali e, soprattutto, come sono fatti rendere i soldi di lavoratori e pensionati, siamo perciò tornati a fare domande. L’inchiesta che potete trovare nelle pagine seguenti dimostra che poco è cambiato. Certo, non ci sono più gli appartamenti con Jacuzzi di Sergio D’Antoni, ex segretario della Cisl, e neppure quelli dati in uso all’ex direttore dell’Unità Walter Veltroni. Però lo spreco continua. Del grande patrimonio immobiliare dell’Inps, poco è messo a reddito, molto è abbandonato. Palazzi un tempo usati come colonie, edifici di prestigio in note località: il mattone che dovrebbe garantire le pensioni è lasciato in rovina. Milioni di metri cubi trascurati mentre non ci sono i soldi per finanziare quota cento o per rivalutare gli assegni erosi dall’inflazione. Tutto ciò mentre attorno al più grande ente previdenziale è in corso una battaglia per il potere. Il governo vorrebbe sostituire il presidente Tito Boeri, nominato da Matteo Renzi e contrario alle politiche dell’esecutivo, ma al suo fianco si sono schierati professori e giornali, che non vogliono un consiglio di amministrazione, ma preferiscono lasciare la guida dell’ente nelle mani del bocconiano. Si dice che chi guida l’Inps conti più di un ministro. È vero. Ma è anche vero che chi è seduto su quella poltrona, se non è controllato, può fare più danni di un ministro.
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