Economia
November 02 2015
Tagliamo del 50% i vitalizi degli ex-parlamentari che superano gli 80mila euro all'anno. E' la proposta formulata dal presidente dell'Inps, Tito Boeri, per dare maggiore equità al sistema previdenziale italiano. In particolare, Boeri vorrebbe dare una sforbiciata a quelle rendite che non sono proporzionali ai contributi versati e che vengono oggi percepire da ex-deputati e senatori che hanno anche altri redditi personali. Si tratta di una misura che, secondo diverse ricostruzioni di stampa, colpirebbe molti esponenti celebri del mondo politico che percepiscono i vitalizi, da Massimo D'Alema a Fausto Bertinottti, da Romano Prodi a Francesco Rutelli sino ad arrivare a Gianfranco Fini. Ma ecco, di seguito, una breve ricostruzione di come sono nate le pensioni dei parlamentari e di come si sono trasformati presto in un privilegio.
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Le origini del vitalizio
In realtà, le rendite percepite dai parlamentari a riposo non sono delle vere e proprie pensioni. Sono piuttosto dei vitalizi che esistono in molte altre democrazie e che non vengono pagati dall'Inps (come per tutti gli altri lavoratori) ma pesano direttamente sui bilanci di Camera e Senato, che si comportano con regole completamente diverse rispetto agli altri enti pubblici. I vitalizi degli onorevoli avevano in origine un intento di per sé condivisibile. Già nella prima legislatura della Repubblica Italiana, cioè nel dopoguerra, si stabilì infatti che il parlamentare, una volta non rieletto, avesse diritto a percepire una rendita per tutta la vita, in modo da permettere anche ai meno ricchi di rinunciare al proprio lavoro per dedicarsi all'attività politica e consentire così ai deputati e ai senatori di svolgere il mandato senza condizionamenti economici di alcun tipo (nella consapevolezza che, alla fine della carriera, sarebbe poi arrivato un sostentamento sicuro). La logica, a grandi linee, era più o meno questa: anche un deputato o un senatore che di professione fa l'operaio, per esempio, può approvare una legge che va contro gli interessi della sua azienda, se lo ritiene giusto, senza essere condizionato dall'idea di dover tornare “sotto il padrone” una volta sciolta la legislatura.
Come nasce il privilegio
Con l'andare del tempo, però, il vitalizio dei parlamentari si è trasformato in un vero e proprio privilegio, che grida vendetta se raffrontato alle pensioni della stragrande maggioranza degli italiani, colpiti da riforme previdenziali sempre più severe. Fino al 2011, infatti, deputati e senatori potevano ricevere una rendita dopo aver svolto appena un mandato e dopo aver compiuto il 65esimo anno di età. La soglia anagrafica per avere il vitalizio scendeva progressivamente fino a 60 anni per ogni anno di permanenza in Parlamento superiore al quinto. Il privilegio non stava però tanto nei requisiti di età, quanto piuttosto nell'importo dell'assegno. Versando contributi per appena l'8,6% dell'indennità ricevuta, corrispondenti a circa mille euro al mese , i deputati e i senatori percepivano dopo 5 anni un vitalizio di oltre 3.108 euro lordi. Secondo i calcoli effettuati tempo fa da Emilio Rocca, economista dell'Istituto Bruno Leoni, le rendite incassate dai vecchi deputati e senatori italiani oggi superano di oltre il 500% gli accantonamenti contributivi effettuati. Il tutto, mentre le pensioni dei parlamentari esteri sono assai meno generose: in Francia, per esempio, i vitalizi dipendono dai contributi versati e ammontano in media a 2.700 euro al mese circa (ma c'è anche chi percepisce molto meno).
I tagli del 2012
Per mettere fine a questi privilegi, dal 1° gennaio 2012 le pensioni dei parlamentari sono state rese meno generose. I requisiti di età sono rimasti gli stessi (tra 60 e 65 anni) ma gli assegni vengono calcolati con il metodo contributivo, cioè soltanto in proporzione ai contributi versati, come avviene per tutti gli altri lavoratori. Peccato, però, che in questa riforma ci sia un dettaglio non trascurabile: le nuove regole si applicano con il sistema pro-rata, cioè valgono soltanto per la parte di pensione maturata dopo il 31 dicembre 2011. Chi stava in Parlamento nella scorsa legislatura, dunque, ha maturato il diritto a percepire una quota consistente del vitalizio calcolata con le vecchie regole e non con il nuovo e meno vantaggioso metodo contributivo.