Lifestyle
April 23 2015
Poche cose in Italia vengono prese sul serio come il cibo. Certo non le istituzioni, figurarsi la politica. Forse il calcio, ma non è detto. Nella nostra cultura la tavola è legge, la cucina è governo, la sala da pranzo è parlamento. E spesso e volentieri, come si sa, finisce tutto a tarallucci e vino. Ma perché agli italiani piace tanto parlare di cibo? È proprio questo il titolo del saggio, appena riedito da Odoya, in cui Elena Kostioukovitch, scrittrice e traduttrice da anni residente in Italia, prova a darci una risposta. Una risposta che, alle porte di Expo 2015, non è mai stata così necessaria.
Il cibo è italianità
Agli occhi di uno straniero, gli italiani investono nel cibo una quantità di tempo, attenzione e sentimento davvero sorprendente. Parliamo di cibo persino quando non ne parliamo, basti pensare a quante cose ci vanno a fagiolo o di traverso. È qualcosa di cui non possiamo fare a meno, qualcosa di talmente legato all’italianità da sembrare quasi esotico, un po’ come quando gli inglesi parlano del tempo.
Secondo l'autrice l'origine di tale abitudine sarebbe da ascrivere al campanilismo innato del nostro paese. Dovendo fare l’Italia di borgo in borgo, quale diplomazia migliore di quella del cibo per unire abitudini e culture tanto diverse? Chi parla di cibo fa in fretta a trovare un lessico comune ed è facile trovare alleati nella politica della pastasciutta (per quanto sul condimento da accompagnare -pecorino? parmigiano? caciocavallo?- le correnti resistano). Quel che è certo è che parlare del cibo è già metà del piacere del gustarlo, e farlo in compagnia è molto meglio.
Comacchio non assomiglia alla Polinesia
Ma ora abbandoniamo le chiacchiere da bar e veniamo al sodo (mi dispiace per voi, solo metafore culinarie in questo articolo). Pur essendo un saggio largamente e quasi straordinariamente documentato, agli occhi di un lettore italiano il valore di Perchè agli italiani piace parlare di cibo non risiede tanto nel racconto delle tradizioni locali e della storia culinaria del nostro paese, quanto nella qualità dello sguardo con cui la Kostioukovitch è in grado di accarezzarle. Sono decine e decine le piccole imprecisioni che titillano il nostro integralismo culinario, ma quanto rapidamente passano in secondo piano davanti al paragone del tajut friulano con il rito britannico del tè delle cinque (in fondo, alcolico o no, sempre di bere in compagnia si parla), o con l’osservazione che la cultura contadina del Veneto è simile a quella olandese. Alcune altre perle: "Ma Comacchio non assomiglia alla Polinesia", "Nella parte aperta e rocciosa della costa spicca il famoso porto di Livorno, che fra il XVI e il XIX secolo era una sorta di New York italiana. Questa città, nell'immaginazione di molti viaggiatori, era simbolo del paradiso terrestre".
Spie e comunisti traditi dal cibo
Tantissimi poi gli aneddoti gustosi: come la storia del Belpaese (la cui genealogia parte da Dante e Petrarca per arrivare fino all’abate Antonio Stoppani), le poesie sulle piadine di Pascoli, la storia del socialista mantovano Andrea Bertazzoni al quale il tentativo di importare il gorgonzola in Russia costò una deportazione in Uzbekistan per "sabotaggio social-fascista e avvelenamento”, e quella del poliziotto gastronomo Federico Umberto D'Amato che smascherava le spie francesi perché al mercato compravano lo scalogno (nell’era a. C. s’intende, dove a. C. sta per avanti Cracco). Forse l’aneddoto migliore di tutti è quello che racconta di quando a Bologna le destre cercarono di comprare voti per il municipio pagandoli in pastasciutta, ma il piano non ebbe successo e vinsero ancora una volta tagliatelle e tortellini (di sinistra, com’è noto). Siamo il paese del magna magna, com’è vero che il pomodoro è rosso, ma per favore non veniteci a chiedere pizza e cappuccino alle cinque del pomeriggio, sulle cose serie non si transige.
Un bel libro questo di Elena Kostioukovitch, autrice esperta e appassionata, che parla come mangia (merito anche della sua traduttrice, Emanuela Guercetti). Vi basti leggere questa incantevole descrizione su come condire la verdura: "per ottenere una buona insalata, un avaro pensi all'aceto, un prodigo all'olio, un saggio al sale, un giudizioso al pepe e un pazzo poi la rimesti". Ah, se i nostri politici avessero metà di questa saggezza.