Economia
September 26 2016
L’orologio dell’Istituto Bruno Leoni è lì a ricordarlo tutti i giorni: ogni 3 secondi aggiorna il valore del debito pubblico italiano. La stima di oggi (26 settembre 2016) fatta dal think tank liberista, che si basa sui rapporti mensili della Banca d'Italia, indica una cifra superiore a 2.255 miliardi di euro.
È il tallone d'Achille che espone il nostro Paese agli attacchi della speculazione finanziaria. Lo hanno ricordato a inizio anno i tecnici di Bruxelles nel Rapporto triennale sulla sostenibilità dei conti pubblici e lo dicono ogni due per tre economisti ed esperti. La cifra ufficiale "monstre" di fine luglio, stando all'ultimo Supplemento al bollettino statistico "Finanza pubblica, fabbisogno e debito" di via Nazionale, che calcola il livello raggiunto dal debito due mesi prima, è di 2.252 miliardi di euro.
Debito pubblico: perché l'Europa rimprovera l'Italia
Aumentano tasse e spesa pubblica
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, lo scorso febbraio ha rassicurato gli italiani: il nostro debito è "tra i più sostenibili" nel breve e lungo periodo. Da molti investitori internazionali l’alto livello del nostro indebitamento, tuttavia, è ancora visto come un punto di debolezza, anche perché il paese nonostante le misure del governo stenta ancora a ripartire: il Pil italiano nel 2015 è cresciuto dello +0,7% (+0,1% nel 2014), stando alle ultime stime dell'Istat. Poca cosa, visto che per riuscire a sostenere il nostro debito alcuni economisti hanno indicato un obiettivo del 2-3%.
E questo "scatto" di crescita dello 0,6% ci è costato non poco: 26 miliardi di euro di tasse in più e 52 miliardi di spesa pubblica in più rispetto al 2014. L'Italia, insomma, ha continuato a spendere più di quanto incassato e "sono chiacchiere quelle sulla cosiddetta spending review e sono chiacchiere pure quelle sulla sforbiciata al prelievo fiscale" ha commentato Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, a cui si deve questa analisi pubblicata a febbraio.
Renzi: due anni tra flop e riforme
Addio all'austerity
Nel 2011 l'austerity sembrava essere l’unica via per ridurre il debito. Nonostante gli annunci (e le misure) prese dal governo tecnico e dai successivi esecutivi, l'andamento del rapporto debito/Pil ha continuato però a peggiorare: 123,3% nel 2012, 129% nel 2013, 132,5% nel 2014 e 132,7% nel 2015, percentuali, queste ultime, pochi giorni fa riviste al ribasso dall’Istat rispettivamente a 131,8% e 132,2%.
E quest'anno? Dovremmo assistere all'inversione di tendenza del debito pubblico che scenderà in rapporto al Pil "per la prima volta dopo otto anni di incrementi". Le parole sono quelle pronunciate a febbraio da Padoan, ministro del governo Renzi che chiede più flessibilità all'Europa.
Ma guardiamo i numeri. Stando alle ultime stime, la crescita del Pil dovrebbe attestarsi sotto l'1%. E il debito? Nei primi sette mesi dell'anno è cresciuto di oltre 80 miliardi di euro. L'incremento riflette il fabbisogno (19,4 miliardi), ma soprattutto l'aumento delle disponibilità liquide del Tesoro (65,3 miliardi): con il crollo dei rendimenti dei titoli di Stato italiani, il Mef ha preferito mettere fieno in cascina, da impiegare magari quando i rendimenti saranno in crescita (ed è meno conveniente emettere obbligazioni) o quando c'è meno liquidità sui mercati. La Tesoreria dello Stato infatti deve garantire molteplici movimenti quotidiani.
A proposito di movimenti: il prossimo anno, ad esempio, dovranno essere rimborsati titoli di Stato per oltre 200 miliardi di euro, cui si aggiungono altri 300 miliardi di euro nei due anni successivi. Soldi, però, che in gran parte finiranno agli italiani stessi. Anzi alle banche: oltre il 60% del nostro debito pubblico (secondo l'Eurostat) è in mano a istituzioni finanziarie italiane, mentre la restante parte a investitori stranieri.