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December 01 2017
Non è chiaro se gli Stati Uniti lo abbiano capito o no, ma l'unico modo per dialogare con la Coreadi Kim Jong-un è quella di riconoscere al leader il merito di aver raggiunto lo status di potenza nucleare.
Sono molti gli esperti convinti che il giovane Kim abbia sempre rifiutato l'ipotesi di un negoziato per paura di essere messo all'angolo da leader di paesi più forti del suo. Oggi, invece, sentendosi più sicuro proprio grazie ai progressi fatti sul fronte del nucleare, potrebbe aver ritrovato la fiducia necessaria anche per riaprire i negoziati in maniera ufficiale.
Kim è orgoglioso di se' e del nuovo peso che la Corea del Nord ha assunto sullo scacchiere globale e può permettersi di cercare il dialogo. Ottimo. Ma se ora può parlare da una posizione di forza, che cosa chiederà ai suoi interlocutori?
La massima priorità per Pyongyang è quella di essere riconosciuta come potenza nucleare. E la ragione per cui l'apertura diplomatica del regime potrebbe continuare ad essere posticipata all'infinito è proprio questa: nessuno, e in particolare gli Stati Uniti, vuole attribuire alla Corea del Nord questo status.
Eppure più la sia analizza più l'unica via d'uscita per questa crisi che va avanti da mesi sembra essere proprio quella di riconoscere come Kim Jong-un sia riuscito a raggiungere il suo obiettivo. Tra l'altro, non andrebbe dimenticato che, subito dopo aver preso in mano le redini della nazione, il giovane Kim ha modificato la Costituzione proprio per inserirvi la dicitura "la Corea del Nord è una potenza nucleare".
Se nel 2012 le velleità nucleari dell'allora giovanissimo dittatore sembravano pura fantascienza, oggi potremmo quasi sostenere che, invece, Kim Jong-un avesse sin dall'inizio idee molto chiare sulla Corea del Nord che avrebbe cercato di costruire. E questo conferma non solo che l'epoca in cui l'America o la Cina avrebbero potuto tentare di convincere Pyongyang a congelare la sperimentazione nucleare si è chiusa definitivamente, ma anche che, per evitare il peggio, è essenziale accordarsi al più presto su una nuova strategia che possa andare bene un po' a tutti.
Per decidere come agire per evitare che, per un errore di calcolo, la crisi degeneri in un conflitto è necessario valutare le diverse priorità. Abbiamo ormai capito che insistere sul nucleare non serve a niente, il che vuol dire che anche l'enfasi posta da Washington sul "disarmo totale ed assoluto" come unica condizione per chiudere il conflitto è controproducente.
Se gli americani decidessero di ammorbidire la linea coreana verrebbero certamente accusati di fare il gioco della Corea. Del resto, Donald Trump pensa proprio questo della Cina e non lo nasconde. Il punto è che ci troviamo di fronte un interlocutore che non è affatto irrazionale, ma determinato a difendere con tutte le sue forze lo status appena acquisito. Sul nucleare ha scommesso il suo onore e quello del suo paese, ecco perché non arretrerà di un millimetro, anche a rischio di affamare di nuovo il paese.
Per quanto la Corea del Nord continui ad essere una nazione poverissima, con Kim Jong-un la qualità della vita è in media migliorata. L'economia del paese negli ultimi anni ha registrato tassi di crescita sempre più alti, che oscillano tra l'1 e il 4 per cento. In generale chi visita la Corea si rende conto che nel paese si vive un po' meglio. Certo, non possiamo aspettarci chissà quali miglioramenti, e le conseguenze delle carestie dei decenni passati continuano a farsi sentire, ma il paese sta andando avanti. La carta dello sviluppo economico con il padre di Kim Jong-un non ha mai funzionato. Kim Jong-il è sempre stato interessato a se' stesso, alle sue amanti, e a soddisfare i capricci dei burocrati che gli stavano incontro. Kim Jong-un no. Vuole essere percepito come "uomo del popolo", quindi potrebbe essere interessato ad un compromesso che metta sul piatto della bilancia un generoso pacchetto di aiuti.
Dal punto di vista della Corea del Nord l'ideale sarebbe: essere ufficialmente riconosciuta come potenza nucleare; negoziare con potenze del calibro di Cina e Stati Uniti alla pari e non da una posizione di inferiorità; vedersi ricambiare la promessa di non attaccare nessuno con un flusso abbondante di aiuti e investimenti di vario tipo.
In questi termini, però, la richiesta nordcoreana risulterebbe inaccettabile. Anzitutto costringerebbe gli Stati Uniti a ingoiarsi una pillola molto amara: quella del repentino cambio di posizione sul nucleare. In secondo luogo, creerebbe un precedente imbarazzante che complicherebbe la gestione delle velleità nucleari di altre potenze, come Iran e Pakistan, tanto per citare gli esempi più controversi.
Che fare, dunque? Alla fine tutto dipenderà da Donald Trump, e dalla sua capacità di mantenere un profilo più basso e una linea più coerente nella penisola coreana. Se ci riuscisse, potrebbe forse convincere Kim Jong-un a non pretendere un riconoscimento ufficiale del nuovo status di potenza nucleare, e allettarlo con accordi di cooperazione commerciali per convincerlo a chiudere l'era degli esperimenti. Del resto, Kim Jong-un è un leader razionale, non vuole suicidarsi con le sue stesse mani, e potrebbe finire con l'accettare.