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August 18 2017
Sparandogli alla schiena, l’attentatore turco che uccideva ad Ankara l’Ambasciatore russo nel dicembre scorso non scelse l’ormai atroce urlo di battaglia Allah Akbar. Urlò un macabro manifesto programmatico: “Noi moriamo ad Aleppo. Voi qui”.
L’Aleppo di oggi è Raqqa, dove lo Stato islamico collassa proprio in queste ore, e Ankara è diventata Barcellona. Anche questa volta l’attacco arriva proditorio alla schiena, ma invece di un solo uomo, sono molti a cadere. E tutta gente comune.
Il copione è quello di Nizza, di Londra, di Berlino. Pure rimane l’interrogativo: perché la Spagna e perché proprio Barcellona?
Tra tutte le celebri strade del mondo, forse solo La Rambla rappresenta la strada globale. Non è la Promenade des Anglais di Nizza, elegante passeggiata che seleziona il suo pubblico di habitué come fosse un salotto all’aperto; La Rambla è la principale strada del turismo spagnolo ed europeo, dove tutte le nazionalità del pianeta sono rappresentate, e non solo all’apice del mese di agosto, ma in ogni periodo dell’anno.
Lo stile di vita occidentale trova quindi nella Rambla una cartolina quasi perfetta: tra i caffè multiculturali, la gioventù proveniente da ogni parte del pianeta, i negozi di souvenir e le grandi catene dei marchi della globalizzazione. In una parola il bersaglio perfetto, perché tutto è racchiuso in un marciapiede. Totalmente indifeso.
Oggi non si è colpito il cuore del sistema economico, come con le Torri Gemelle, né il cuore politico, come con Madrid nel 2004 considerata la responsabile, agli occhi degli jihadisti, della guerra a Saddam. Oggi si è colpito il simbolo della spensieratezza, riversando su persone a passeggio l’angoscia cieca di una guerra fanatica che si svolge altrove, cancellando forse per sempre la distanza geografica ma anche quella delle coscienze.
La Spagna, dopo gli attentati del 2004, aveva messo in atto una serie d’importanti politiche preventive. I risultati fino ad oggi erano stati incoraggianti, nonostante l’elevato numero di mujahiddin che il Califfato ha continuato ad arruolare in questi ultimi anni sul suo territorio.
Per gli attentati del 2004 (192 morti e oltre 2000 feriti) le due exclave di Ceuta e Melilla avevano giocato un ruolo determinante. Da lì venivano o erano transitati i commandos dell’atto terroristico. Dopo anni di collaborazione con il Marocco e il rafforzamento del muro di contenimento dei migranti (e delle infiltrazioni annesse) qualcosa forse non ha funzionato.
Da oggi in avanti sventare simili attacchi, come evitare la guerra di civiltà, sarà possibile solo attuando un’agenda politica chiara. La soluzione del conflitto siriano e della relativa frustrazione sunnita è il primo elemento. Inoltre sarà necessaria la distinzione netta tra flussi di migranti pacifici e infiltrazioni terroristiche al loro interno.
Il Califfato, pure in fase di sgretolamento per come lo abbiamo conosciuto sino ad oggi, dimostra di essere vivo e di poter colpire l’Occidente. La sua strategia non è la riconquista della Spagna cattolica.
Non è una forza che guarda al passato: vuole invece rappresentare una minaccia per il nostro futuro, con un obiettivo preciso e angosciante, l’instaurazione del terrore permanente nell’opinione pubblica. Un’arma psicologica che potrebbe causare danni immensi se la reazione fosse affidata unicamente agli slogan sulla guerra di civiltà.
In Siria, come in Iraq, c’è una guerra di poteri e d’interessi nella quale l’Occidente gioca un ruolo determinante. La soluzione di questo conflitto è il primo passo per togliere all’ISIS la sua forza di offesa, ora che ha dimostrato di poterci colpire anche in assenza di uno stato territoriale e probabilmente dello stesso Califfo. Le comunità islamiche occidentali devono però fare contemporaneamente la loro parte, ormai nessun alibi è più accettabile. Nessuna contiguità col Terrore è più ammissibile.