Economia
November 02 2017
Possibile che le sanzioni economichecontro la Corea del Nord non abbiano portato a niente? Ne è convinto Donald Trump, che da sempre accusa la Cina di essere la principale responsabile di questo clamoroso fallimento.
Eppure, secondo tanti osservatori internazionali le sanzioni contro Pyongyang non hanno bloccato il regime essenzialmente perché sono state pensate per non ottenere risultati.
Secondo Gordon Chang, autore di Nuclear Showdown: North Korea Takes On the World, alla base di tutto vi è lo strapotere che la Famiglia Kim è in grado di esercitare sul paese. Il fatto che qualsiasi informazione debba passare sotto le forche caudine della censura, lasciando mano libera al regime di trasmettere il messaggio che vuole, libera Kim dalla difficoltà di dover giustificare all'opinione pubblica i motivi per cui le sanzioni sono state imposte.
Dursun Peksen, ricercatore dell'Università di Memphis, è convinto che le sanzioni abbiano addirittura permesso a Kim Jong-un di rafforzare il suo potere tra le élites del paese. Se mettiamo insieme militari, leader politici e burocrati non arriviamo a più di 3mila/5mila persone. Garantendo loro soldi e potere Kim se ne è assicurato la massima lealtà. Paradossalmente, le sanzioni avrebbero finito col rafforzare ulteriormente questo legame: se le risorse vengono meno, diventa ancora più necessario mostrare fedeltà assoluta a Kim per continuare a ricevere la quota beni più o meno necessari da lui assegnata. Protestare sarebbe infatti controproducente, oltre che pericoloso.
Quando si parla di Corea del Nord e si punta il dito contro la Cina si sottovalutano i contatti che Pyongyang mantiene con tantissime altre nazioni poverissime che, in mancanza di alternative, a prescindere dalle imposizioni della comunità internazionale, non possono far altro che continuare ad appoggiarsi a Kim Jong-up per ricevere approvvigionamenti di generi alimentari, abbigliamento e carbone. Per un giro d'affari che CNN Money ha stimato in miliardi di dollari all'anno.
Eppure, limitare le risorse che Kim è in grado di ottenere dall'estero resta l'unico modo per fermarlo. Tutto quello che la Corea del Nord guadagna da queste transazioni finanziarie non viene utilizzato per la popolazione, ma per mantenere in piedi il regime. Finanziando il programma missilistico e nucleare, e foraggiando i funzionari per non comprometterne la fedeltà.
Le esigenze del popolo non interessano a nessuno, ma se tutto l'establishment si ritrovasse nettamente impoverito a causa delle conseguenze delle sanzioni imposte per la politica aggressiva di Kim potrebbero, forse, aprirsi i margini per una ribellione.
Che ruolo ha in tutto questo la Cina? Ha ragione Trump a lamentarsi della scarsissima cooperazione di Pechino e ad attribuirle la responsabilità dell'escalation della crisi coreana? Ebbene, nonostante i fortissimi legami con gli altri poverissimi del mondo, è un dato di fatto che il 75 per cento delle esportazioni coreane finisca nella Repubblica popolare. E visto che la maggior parte dei prodotti che arrivano in Cina viene trasportato in maniera illegale, diventa ancora più difficile bloccare questo traffico illecito perché una volta varcato il confine tutti i prodotti vengono commercializzati come cinesi.
Come se non bastasse, anche quando Pechino si è impegnata a congelare definitivamente l'interscambio con Pyongyang dal confine tra Corea del Nord e Cina sono arrivate notizie contraddittorie: in un primo momento è stata confermata l'implementazione delle sanzioni, poi la Repubblica popolare è stata accusata di aver ricominciato ad acquistare generi alimentari e carbone, poi il commercio bilaterale è stato interrotto di nuovo, e capire cosa stia succedendo davvero è impossibile. Solo una cosa è certa: Xi Jinping è fermo nella sua posizione di "non voler approvare nessuna iniziativa che possa portare il regime coreano al collasso". La Cina dice di agire per il bene della popolazione, ma in realtà sa benissimo che per salvare il paese è necessario sostenere una classe dirigente subdola e corrotta.
Se Xi Jinping sta nel frattempo negoziando dietro le quinte lo scopriremo solo nel momento in cui i due paesi renderanno ufficiale il loro eventuale accordo. Tuttavia ci sono almeno due elementi che sembrerebbero dare valore a questa ipotesi. Il primo è il fatto che Kim Jong-un abbia temporaneamente smesso di testare missili e di lanciare provocazioni verbali. Non solo: Kim ha evitato anche di disturbare la Cina durante il 19esimo Congresso del Partito Comunista. Delicatezza che non aveva avuto appena un paio di mesi prima, quando Xi Jinping ha ospitato a Pechino i leader di tutto il mondo nel primo Forum sulla Nuova Via della Seta.
Altro elemento significativo è il fatto che Kim Jong-un abbia deciso, unilateralmente, di ricominciare ad utilizzare gli impianti produttivi che si trovano nel parco industriale di Kaesong, al confine tra le due Coree. Peccato che, per fare questo, Kim debba di fatto utilizzare illegalmente macchinari e stabilimenti produttivi di proprietà sudcoreana. L'unica ragione per cui il giovane dittatore potrebbe aver approvato un'iniziativa di questo tipo è legata a una sempre maggiore difficoltà di assicurarsi le risorse finanziarie necessarie per tenere in piedi il suo regno.