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February 18 2018
Ormai nemmeno gli uomini più vicini a Donald Trump si prendono la briga di negare le interferenze russe nelle elezioni americane del 2016 che portarono Trump alla alla Casa Bianca dopo aver sconfitto Hillary Clinton.
Dopo l'atto di accusa di 37 pagine del Grand Jury che - grazie alle prove raccolte dallo special counsel Robert Mueller - venerdì ha incriminato 13 cittadini russi e tre organizzazioni di aver progettato e attuato azioni per influenzare il processo elettorale a favore del candidato repubblicano, è stato il consigliere per la sicurezza nazionale HR McMaster ad ammettere che ormai l'interferenza russa va considerato un fatto incontrovertibile.
Lo ha detto sabato alla Conferenza sulla Sicurezza a Monaco, rispondendo al ministro degli esteri russo Serghei Lavrov che aveva definito le accuse di Mueller: parole senza nessuna corrispondenza con i fatti.
I repubblicani ora si limitano a sottolineare come l'incriminazione riguardi solo cittadini russi ma nessuna delle persone della campagna elettorale di Trump, che nell'incriminazione vengono invece descritti come strumenti inconsapevoli e involontari delle manovre dei russi. Come è stato osservato da altri: solo degli utili idioti.
Il presidente, dopo una prima reazione di sollievo - nessuno dei miei uomini è stato incriminato - ha passato il finesettimana twittando la sua rabbia isterica: teme che l'inchiesta delegittimi la sua vittoria elettorale.
Lasciamo per ora perdere i possibili sviluppi di coinvolgimento di Trump e dei suoi, tutt'altro che scongiurati, visto quanto avvenuto finora con le indagini su (e la disponibilità a parlare di) Michael Flynn, Paul Manafort, Rick Gates, Georges Papadopoulos. Anzi secondo alcuni osservatori e reporter sarebbero vicine incriminazioni anche per cittadini americani.
Rod Rosenstein, il vice attorney general, l'uomo del Dipartimento di giustizia che deve supervisionare il lavoro di Robert Mueller, ha spiegato che l'atto di accusa non dice che ci fossero americani a conoscenza dell'attività di interferenza; ha inoltre aggiunto che le accuse non implicano che l'attività dei russi abbiano avuto un effetto sul risultato delle elezioni.
Il documento con la formalizzazione delle accuse ai russi sostiene che i russi incriminati hanno condotto, a partire dal 2014, una campagna di disinformazione - Project Lakhta - attraverso Internet, in particolare con i social network, ma anche organizzando eventi e manifestazioni sul suolo americano per generare conflitti e odio politico e razziale, concentrandosi in particolare su temi caldi come l'immigrazione.
Fra le attività più significative, la diffusione di informazioni false e denigratorie su Hillary Clinton e, prima della nomination di Trump, sui suoi avversari repubblicani, Ted Cruz e Marco Rubio. Il documento indica anche il lavoro per sostenere Bernie Sanders, avversario di Clinton per la nomination democratica e il candidato verde alla presidenza, Jill Stein. L'azione dei russi si esprimeva sui social network attraverso il furto di identità ma soprattutto con centinania di account falsi che avevano raccolto centinaia di migliaia di utenti. Sono state comprate anche pubblicità diffamatorie.
I cittadini rusis incriminati sono: Mikhail Ivanovich Bystrov, Mikhail Leonidovich Burchik, Aleksandra Yuryevna Krylova, Anna Vladislavovna Bogacheva, Sergey Pavlovich Polozov, Maria Anatolyevna Bovda, Robert Sergeyevich Bovda, Dzheykhun Nasimi Ogly Aslanov, Vadim Vladimirovich Podkopaev, Gleb Igorevitch Vasilchenko, Irina Viktorovna Kaverzina, Yevgeny Viktorovich Prigozhin e Vladimir Venkov.
In particolare, l'attenzione si è concentrata su Prigozhin. Noto come lo chef di Putin perché dirigeva il ristorante preferito del presidente russo a San Pietroburgo, ha ottenuto un contratto statale di tre miliardi euro per forniture di catering.
Controlla alcuni siti web ultranazionalisti e attività di reclutamento di truppe mercenarie. Controlla anche la Concord Management and Consulting, la Concord Catering e la Internet Research Agency. Quest'ultima - una vera fabbrica di troll con sede a San Pietroburgo, centinaia di dipendenti e budget da oltre un milione di dollari al mese - ha un unico obiettivo: condurre guerre della disinformazione mirate nei paesi da destabilizzare. Secondo il New York Times, la Internet Research Agency ha postato su Facebook 80mila contenuti che hanno raggiunto 126 milioni di americani.
Ora difficilmente Trump si azzarderà a licenziare Mueller, come più volte ha detto di voler fare. Mueller ha portato prove della attività russa per interferire con il processo democratico americano.
La linea di difesa di Trump - tutta la faccenda dell'intrusione russa è una bufala - ormai è insostenibile. Ora Mueller e l'Fbi sono più forti di prima nell'azione sul Russiagate. E Rosenstein è determinato a garantire che dalla Casa Bianca non siano posti ostacoli sulla strada di Mueller. Mueller intanto continua a indagare sulle attività e il ruolo degli esponenti della campagna di Trump.
Sullo sfondo c'è il ruolo diretto di Trump in azioni che potrebbero configurarsi come ostruzione della giustizia, per esempio il licenziamento del capo dell'Fbi James Comey. Staremo a vedere.