Economia
August 08 2016
A dispetto del loro nome, i paradisi fiscali sono un inferno politico ed economico. Lo racconta The Atlantic, partendo dalla teoria economica sviluppata all’inizio degli anni Novanta e chiamata “La maledizione delle risorse”. Secondo questa teoria, i paesi ricchi di risorse naturali sono in realtà i più poveri proprio per la cattiva amministrazione delle ricchezze. Lo stesso paradosso si applica anche ai paradisi fiscali dove la ricchezza, invece di migliorare lo standard di vita per i cittadini, si traduce in un incremento dell’ineguaglianza, della corruzione e della violenza.
Nel caso dei paradisi fiscali, le risorse non sono naturali, ma è l'esistenza di un capitale umano sufficientemente preparato per fornire servizi finanziari agli investitori stranieri a cui si associano investimenti infrastrutturali, come le connessioni digitali. Se diventare un paradiso fiscale, dunque, ha dei costi tutto sommato limitati, gli effetti sul piano politico, economico e sociale sono molto onerosi. Quindi, mentre i sistemi democratico, economico e culturale restano formalmente intatti, sono progressivamente orientati dalle élite internazionali. Poco alla volta, insomma, questi paesi sono riorganizzati attorno agli interessi di persone che non li abitano ai danni dei cittadini. Infatti, mentre i servizi prodotti da questi paesi contribuiscono a favorire la ricchezza globale, la ricchezza non premia i cittadini. I risultati si vedono nella fragilità economica dei paradisi fiscali, nella corruzione politica e nel declino sociale che si manifesta come un incremento di crimine e violenza.
Tutto ciò non si applica solamente ai paesi meno sviluppati: realtà come le Channel Islands e il Lussemburgo sono vittime del medesimo paradosso. Il Lussemburgo, in particolare, ospita oltre 150 banche e depositi per oltre 3,5 triliardi di dollari. Inoltre, i servizi finanziari rappresentano il 27% del Pil del Paese che vanta il più alto reddito pro-capite in Europa. Ma il costo dei benefici assicurati agli investitori è tutto a carico dei cittadini: oltre il 60% dei lavoratori sono stranieri e questo ha portato a una frattura con i cittadini lussemburghesi in termini economici e politici. Dagli anni Ottanta, il tasso di povertà è raddoppiato, mentre gli stipendi sono rimasti sostanzialmente stabili, cosa che, invece, non si applica ai redditi degli expat che sono cresciuti esponenzialmente e, come conseguenza, i prezzi delle case sono triplicati. Il fatto di essere un paradiso fiscale, inoltre, riguarda anche il sistema fiscale nazionale che raccoglie meno risorse da destinare ai servizi. Secondo l’economista Gabriel Zucman, che ha studiato il caso del Lussemburgo, la sovranità del paese è subordinata agli interessi multinazionali anche in un’area politica come il Parlamento Europeo.
LEGGI ANCHE: Paradisi fiscali, la guida completa
Il caso Panama
Una situazione analoga riguarda Panama che, complici il 7% del Pil derivante dai servizi finanziari e i miliardi di dollari legati al commercio attraverso il Canale, dovrebbe essere ben avviata alla prosperità. Invece, è uno fra gli stati dove le disuguaglianze sono più forti, tanto che è considerato un paese del “quarto mondo”, sinonimo di un alto grado di deprivazione economica. Oltre un terzo della popolazione vive in povertà, il 25% dei cittadini (secondo le stime della Banca Mondiale) è privo di servizi sanitari essenziali e l’11% soffre di malnutrizione. Gli omicidi, inoltre, sono raddoppiati fra il 2006 e il 2012 e il 22% della popolazione dichiara di essere stato vittima del crimine nei quattro mesi precedenti.
Infine, c’è l’aspetto politico del problema, come dimostra il caso del finanziere americano R. Allen Stanford che, praticamente, ha “comprato” Antigua, grazie ad accordi politici. La sua fortuna da 2,2 miliardi di dollari era il doppio del Pil dell’isola di cui era diventato il principale datore di lavoro, nonché proprietario del quotidiano più importante del paese, cosa che gli permetteva di controllare e influenzare le vite e il discorso politico del paese. Quando Stanford è stato condannato a 110 anni di prigione per frode, il suo schema di investimento da sette miliardi di dollari è crollato, trascinando con sé l’intero paese: nel giro di una notte, Antigua ha perso il 10% del proprio Pil e il 25% del turismo.