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April 03 2018
Leader, all’orizzonte, non se ne vedono. Dopo il 4 marzo, il Pd non solo ha perso le elezioni, ma è alla ricerca disperata di un leader dopo le dimissioni di Matteo Renzi. D’altronde all’interno del partito, da tempo, erano in molti a chiedere la sua testa, ma nel frattempo non si è riusciti ad individuare una leadership alternativa. Nessuno sembra all’altezza del ruolo. Orlando ha testa ma non scalda gli animi, stessa cosa per Gianni Cuperlo, per non parlare del reggente Maurizio Martina.
Così se si pensa al leader del Pd si continua a pensare a lui, anche adesso che ha promesso che si ritirerà in silenzio in un angolo del Senato per i prossimi due anni. Ma il congresso potrebbe essere alle porte e comunque l’assemblea nazionale del PD avrà a breve l’incarico di indicare il nuovo segretario. Qualcuno vorrebbe che fosse ancora Martina a gestire questa fase, anche se tra i più aleggia il sospetto è che dietro il vice ci sia la longa manus di Matteo Renzi, che da dietro le quinte continui a dettare le battute.
Negli ultimi giorni soprattutto dalle fila renziane stanno emergendo dei nomi come Debora Serracchiani, Matteo Richetti, Graziano Delrio che potrebbero assumere la guida dei dem. Mentre dal fronte anti-renziano sembra proprio che non si riesca a trovare un nome all’altezza della sfida di “rifondare” la sinistra: o troppo vecchi, o troppo mosci.
È un po’ come la storia cantata da De Gregori: “un giocatore lo vedi dal coraggio, l’altruismo e la fantasia”, per poi proseguire “chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori tristi che non hanno vinto mai”.
Il Pd del 2018 sembra proprio questo, una squadra di calcio senza fantasisti. Rinchiusa negli spogliatoi dopo una sconfitta, rimane in attesa del nuovo fuoriclasse in grado di riportare il partito in campo per riconquistarsi quel 40 per cento delle europee (e forse anche del referendum) e tornare a contare qualcosa nel campionato.
Eppure, oggi, non c’è nome, tra quelli in campo, che lascia sperare in un simile scenario.
Il silenzio di Renzi, la sua indicazione di lasciar fare agli altri e relegare il partito all’opposizione, prefigura un ritorno in campo dell’ex primo ministro che di fronte all’incapacità generale delle altre forze politiche di formare un governo e persino di eleggere un segretario a casa propria, potrebbe godersi la rivincita su chi voleva vederlo morto (politicamente, s’intende) spazzando via tutte le opposizioni alla sua leadership, dentro e fuori al partito.
In effetti, continua a essere l’unico leader potenziale nello scenario politico attuale (neanche Di Maio gode della stessa aurea in un simil partito eterodiretto da Milano) non eletto mai da nessuno e con il vincolo di due mandati.
È solo questione di tempo; intanto dal suo scranno in Senato, si gode lo spettacolo e attende il ritorno del suo momento.