Economia
January 19 2017
Addio. No non è un arrivederci. Stiamo parlando di "a mai più, leb wohl, adieu, goodbye". Lo dico in tutte le lingue del mondo, entusiasta come mai prima: la dipartita di Barack Obama, dalla Casa Bianca, riflette una nuove luce di speranza nel futuro dell'umanità.
Trump eredita la Turchia trasformata in dittatura, la guerra in Siria che si conclude a misura di Russia, Iran e Turchia con l'America completamente esclusa, la Libia terra di nessuno, l'Egitto nel caos, i focolai di battaglie in Iraq e in Afghanistan, la Nato con i missili balistici nei Paesi baltici e in Romania; eredita una nuova corsa al nucleare, perché dell'Iran non si fida nessuno, un dittatore in Corea del Nord con il suo arsenale, l'India che ha appena testato un missile che può trasportare testate nucleari, Cina e Pakistan che si misurano sempre più aggressivamente.
"Il caos regna" asserisce Nietzsche, il disordine voluto, chiesto, lanciato in aria ed esploso fino ad infettare ogni altra cosa, compreso lo stivale italico. Ci troviamo invischiati in una guerra che non abbiamo voluto, in questioni altrui, in situazioni equivoche capaci di invertire l'asse del pianeta. Ma ora il sole può tornare a splendere.
Il "biondo ciuffo newyorchese" guarda dritto verso il 20 gennaio, come me del resto, puntando a rimettere la politica al centro del villaggio. Non è più tempo per missioni di pace con la pistola nascosta nei pantaloni. Non è più tempo di Ivan Drago contro Rocky Balboa. Non siamo in un film.
La realtà vede Russia e Stati Uniti d'America viaggiare su binari paralleli. Ovviamente le rotaie non si toccano, ma l'avvicinamento è inevitabile, con buona pace del politicamente corretto. Per farvi capire di cosa sto parlando basta visitare la mia pagina pubblica su Facebook. Donald J.Trump e Vladimir Putin sono fatti della stessa materia. Vogliono rilanciare le proprie economie. Vogliono combattere l'ISIS. Vogliono la pace perpetua.
Sfidano l'avvenire per avere ragione. L'avranno. Per ora mi tocca fare il tifo, ma la strada intrapresa dagli ormai ex contendenti per il titolo della Guerra Fredda parla di una marcia unita verso la vittoria. Obama lo sconfitto giorno dopo giorno si rende sempre più conto di questo e da gli ultimi colpi di coda: ha espulso 35 diplomatici russi e pochi giorni prima ha consentito che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite condannasse gli insediamenti di Israele. Due scelte dettate dalla rabbia della sconfitta. Scelte infantili fatte da un uomo che si comporta come un bambino a cui hanno appena rubato il leccalecca.
Ma per fortuna il nuovo sta giungendo.
Il Corriere della Sera: "Via le sanzioni, se la Russia si mostrerà collaborativa". In un'intervista al Wall Street Journal, Donald Trump conferma la sua apertura a Vladimir Putin e, nello stesso tempo, la diffidenza nei confronti del "gruppo dirigente cinese". Uomini che amano i propri, sacri, confini pronti a tendersi la mano. Nella globalizzazione che stritola il mondo, che schiaccia l'Italia rendendola pantofola della finanza speculativa, l'avvenire ci sorride.
Lo fa parlandoci di un asse pronto a guardare negli occhi il male di questi tempi. Putin ha sfidato l'orrifico volto dell'ISIS in Siria, appoggiando Bashar al-Assad, il leader mediorientale capace di rimanere in piedi tra le macerie volute dal "vizio oscuro dell'Occidente" come titola un volume chiarificatore sulle nostre sorti firmato da Massimo Fini. Trump lo ha seguito. E ha dichiarato: "L'ISIS è una creazione di Obama".
Vogliamo leader in grado di proiettarci fuori dalla crisi, siamo stanchi di essere una succursale. Siamo stanchi di vedere le nostre aziende delocalizzare, per poi trovarsi invischiate in situazioni che ledono la dignità del nostro Paese. Per questo invoco presidenti di questo calibro. Per questo vi invito a non scoraggiarvi.
Oltre a tutelare i lavorati, le industrie, le imprese ed in generale il lavoro, il primo ministro russo ha puntato lo sguardo, dopo la Siria, sulla Libia. Il disordine sulle coste libiche che si affacciano sul Mediterraneo, il vero Mare Nostrum, interessano sopratutto noi come nazione. Abbiamo deciso di accodarci al carrozzone, capitanato da Bernard-Henri Lévy, per destituire Gheddafi ed imporre la confusione. Rimettendoci anche in termini economici, con miliardi di euro di commesse fucilate in una notte. "Mentre in Libia regna sempre più il caos politico, dopo il tentato golpe e lo scontro evidente tra il premier Fayez Al Sarraj e il suo predecessore Khalifa Ghwell, nell'area si fa sempre più insistente il sospetto che Vladimir Putin aumenti il suo potere di influenza. A fare da testa da ariete del Cremlino sarebbe il generale Haftar, ritenuto dalla maggior parte degli analisti internazionali, molto vicino al presidente russo". Un estratto dal sito del quotidiano Libero per dirci che la resa dei conti è dietro l'angolo. Io ho scelto l'asse Washington-Mosca. E voi?