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September 19 2014
Quello scarto di circa 400.000 No pesa come un macigno sulle spalle di Alex Salmond. Il primo ministro scozzese ha ammesso la sconfitta al referendum per l'indipendenza, ma ha anche chiesto che le promesse di Londra sulla devolution ora vengano onorate al più presto. Dall'altra parte, a Downing Street, il premier David Cameron ha risposto in modo positivo, allargando la proposta di maggiore autonomia a tutti gli altri Paesi del Regno, il Galles e l'Irlanda del Nord. Insomma, nonostante i Sì si siano fermati al 44.7% in qualche modo Salmond ha già vinto e le spinte indipendentiste per ora sono state solo messe nel cassetto, pronte a rispuntare fuori alla prima occasione buona.
La vittoria dei No ha un significato profondo. Gli anti-indipendentisti hanno giocato sul fattore "paura" per le questioni economiche. E non è un caso che oggi le Borse di tutto il mondo festeggino, con una sterlina mai così forte nei confronti dell'euro. Il voto contro l'indipendenza della Scozia significa che il Regno Unito resterà nel G7 come indiscussa potenza economica e che manterrà anche il suo seggio nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Non sono dettagli da poco.
Alla fine gli indecisi, che alla vigilia del voto erano circa 500.000, hanno deciso dove dovesse pendere l'ago della bilancia e si sono rifugiati nel No all'indipendenza, che da una parte promette un sostanziale cambiamento in Scozia, ma che rappresenta il fattore certezza di fronte all'incertezza di una crisi economica che continua a mordere.
Molti scozzesi intervistati all'uscita dei seggi hanno dichiarato di aver votato No pur essendo sostanzialmente in favore dell'indipendenza, e di averlo fatto perché Alex Salmond ha condotto una campagna basata solo su promesse positive, ma senza valutare l'altra parte della medaglia, quella più pesante: gli effetti economici del divorzio da Londra.
Gli uomini d'affari oggi festeggiano il "business as usual" in Scozia e il loro peso nellla vittoria dei No è stato determinante. Circa il 15% dei votanti risiede in Scozia ma non è scozzese. Sono i finanzieri, gli imprenditori che a Edimburgo godono di un regime fiscale più morbido rispetto al resto d'Europa, e che per nulla al mondo metterebbero in gioco lo status quo. Insomma, ha prevalso la testa rispetto al cuore, ma in ogni caso il cuore ha dimostato di esserci e di battere un colpo. Molti analisti sostengono che con questi risultati Salmond ha perso una battaglia, ma non la guerra per l'indipendenza, che è un tema che si riproporrà anche negli anni a venire.
Intanto, esce dall'incubo anche la Spagna, che adesso potrà maneggiare in modo più sicuro le richieste degli indipendentisti catalani. E tira un sospiro di sollievo l'Europa tutta, che regge "unita" nonostante i mal di pancia nei Paesi membri. E poi si apre il capitolo politico sulla tenuta del Labour. Dai risultati del referendum appare evidente che la vittoria dei No assume le sembianze di un voto di classe: la Scozia ricca ha scelto di restare nel Regno Unito, mentre la Scozia povera, quella che vota laburista, quella di Glasgow, Dundee e il Nord Lanarkshire, è scivolata nel campo dell'indipendentismo.
E' vero che l'impegno dell'ex premier Gordon Brown ha evitato il tracollo, ma ora nel Labour britannico si apre una profonda discussione politica sulla salute del partito e sul suo radicamento in aree che finora hanno rappresentato per la sinistra un importante bacino di voti.
Infine, Londra deve un ringraziamento particolare alle donne scozzesi. Secondo i sondaggi, i sostenitori del Sì sono soprattutto uomini, che vogliono rompere con lo status quo e andare su nuove strade. Al contrario, le donne di Scozia hanno espresso un voto molto più cauto. L'istinto delle mamme, preoccupate per la sicurezza economica dei figli, ha prevalso sulle pulsioni da Braveheart dei papà. Un No di testa, appunto, e non di cuore.