PAOLO GARGINI / Imagoeconomica
Economia

Perché la Ue ha bocciato l'Italia sui ritardi dei pagamenti

L'Italia è stata bocciata dalla Commissione europea per i debiti della Pubblica Amministrazione. E non è una sorpresa. La notizia l'ha data Antonio Tajani, vice presidente dell'istituzione Ue. Sono troppi i ritardi nel pagamento delle fatture della PA. Apriti cielo. La pioggia di critiche che ha coinvolto Tajani, il cui mandato scade a fine mese, non accenna a stopparsi. Tuttavia, nonostante il clamore mediatico suscitato dalle parole di Tajani, Palazzo Chigi e il Tesoro erano a conoscenza da tempo della situazione in cui si trovava il Paese. Lo testimoniano sia la Commissione sia la Banca d'Italia.

I numeri di Banca d'Italia

Per capire cosa è successo bisogna fare un passo indietro di circa un mese. A metà maggio, Antonio Tajani, intervenendo a un convegno dell'ANCE, aveva messo in guardia il Paese per la quinta volta in due anni. "L'apertura della procedura d'infrazione sui ritardi nei pagamenti della PA è inevitabile e sarà fatta dopo le elezioni europee", disse il commissario Ue. Detto, fatto. Colpa, spiega Tajani, della metodologia di pagamenti dei debiti. La direttiva 2011/7/UE in questione, introdotta su spinta del governo di Mario Monti il primo gennaio 2013, prevede che lo Stato onori i suoi debiti con il settore privato in un tempo massimo di 30 giorni, o 60 in casi specifici come il settore sanitario. Inoltre, in caso di ritardo nel pagamento, è previsto il pagamento di una mora, almeno, dell'8% superiore al tasso d'interesse principale della Banca centrale europea. Tuttavia, stando agli ultimi dati della Commissione Ue, l'Italia paga le proprie fatture con una tempistica media di 180 giorni. Nel settore dei lavori pubblici, il ritardo arriva fino a 210 giorni. Ma c'è di più, dato che in numerosi casi l'interesse di mora corrisposto è inferiore a quello stabilito dalla direttiva. Numeri analoghi sono stati diramati anche dalla Banca d'Italia durante l'ultima relazione annuale. Il governatore Ignazio Visco, nel corso del suo mandato, ha più volte esortato il governo a procedere in modo netto e deciso alla riduzione dei ritardi nei pagamenti, molto spesso senza trovare risposta.

Secca, di contro, è stata la replica del Tesoro. Il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan ha parlato di decisione "francamente incomprensibile". Eppure, come spiegano dal gabinetto di Tajani, gli incontri fra Commissione e Italia sono stati numerosi e quasi tutti senza conclusioni positive. Uno degli ultimi in ordine temporale è stato quello del 5 maggio scorso, ritenuto insoddisfacente dallo staff del commissario Ue. "Non si poteva non agire, dato che le risposte arrivate dal governo non sono state adeguate", fa notare un funzionario della Commissione europea. Molto è stato fatto, continua, ma ancora tanto resta da fare. Se è riconosciuto lo slancio del governo, che è intervenuto d'urgenza sul tema e ha lanciato il decreto legge 66 per far fronte a questa emergenza, è altrettanto vero che non basta.

Fino a oggi sono stati pagati circa 25 miliardi di euro su un monte totale compreso fra 75 e 110 miliardi, dato che la cifra finale non è definita. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio ha ricordato che ogni debito della PA viene pagato a mano a mano che viene certificato. La Commissione non è però dello stesso avviso. Nel complesso, nel biennio 2013-2014 sono stati messi a disposizione 47,2 miliardi di euro, ma secondo Bruxelles le procedure di pagamento sono troppo lente. Al punto da far scattare la procedura d'infrazione come previsto dai trattati. Ai sensi dell'articolo 258 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, l'Italia ha quindi tempo due mesi per rispondere in modo adeguato e, se la risposta non sarà considerata motivata, la Commissione potrà deferire il Paese alla Corte di giustizia. Tradotto: se la Corte accetterà la posizione della Commissione, l'Italia dovrà corrispondere un'ammenda.

L'Italia ora rischia di perdere credibilità proprio alla vigilia del semestre di presidenza dell'Ue. In primis perché la decisione di aprire la procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia per i debiti della PA è stata presa in modo unanime da Bruxelles. Dati alla mano, nessuno ha esitato. Un aspetto da non sottovalutare. Inoltre, dato che si sta aprendo la finestra di presidenza italiana in ambito comunitario, i margini operativi per negoziare una maggiore flessibilità dell'architettura fiscale europea si riducono drasticamente. Come hanno ricordato più fonti diplomatiche estere, soprattutto olandesi e tedesche, la posizione italiana non è la migliore per combattere una battaglia contro l'attuale assetto del Fiscal Compact.

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