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Perseguitati perché hanno fede

La «caccia all’ebreo» di Amsterdam dell’8 novembre scorso ha cancellato i dubbi: anche se non è stata una nuova Notte dei cristalli, le assomigliava molto. Un’ondata di antisemitismo - amplificata dagli avvenimenti in Medio Oriente - sta dunque attraversando l’Europa, anche se sono gli Stati Uniti il Paese che registra il maggior numero di episodi di intolleranza seguito da Israele, Germania, Svezia, Francia e Canada. L’Italia si colloca negli ultimi posti di questa classifica: per la precisione, nel periodo preso in considerazione sono 266 gli articoli che trattano questo tema da cui si evince che il 71 per cento degli episodi riguardano violenza verbale e psicologica e un altro 20 per cento episodi di violenza fisica (aggressioni o, peggio, omicidi), mentre solo il 10 per cento degli articoli riguarda episodi di terrorismo.In più: sono 385 milioni i cristiani perseguitati nel mondo. Di questi giorni è l’episodio dei miliziani di Hayat Tahir al Sham che, in Siria, nell’offensiva Aleppo hanno preso di mira il collegio francescano Terra Sancta.

Solo nel 2023 sono stati uccisi cinquemila cristiani (la maggior parte in Nigeria), mentre le chiese e gli edifici sacri attaccati sono stati 15 mila, di cui diecimila solo in Cina. In compenso l’India detiene il triste record di cristiani arrestati: 2.300 su quattromila totali.Era il 4 luglio 1776 quando Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti d’America, fece approvare al Congresso la dichiarazione di indipendenza, con una premessa fondamentale «Tutti gli uomini sono creati eguali». Parole. La realtà è tristemente assai diversa, come si evince anche dalla ricerca effettuata dal Volocom Institute of Strategic Studies (Viss) e pubblicata da Mimesis Edizioni. Perché la lettura dei media mondiali ci restituisce uno spaccato drammatico della vita che tantissimi fedeli, di religioni diverse, sono costretti a vivere solo perché sono nati nel posto sbagliato.

La ricerca del centro studi Volocom - azienda informatica specializzata in Media monitoring (e punto di riferimento per chi deve selezionare e organizzare le proprie necessità informative: con quattro milioni di notizie al giorno provenienti da 200 mila fonti di tutto il mondo, è una vetrina sul mondo assolutamente unica - si incentra proprio sull’intolleranza religiosa, che tracima nel terrorismo, nell’omicidio, nella persecuzione, ma che fallisce il suo compito perché non riesce a ridurre totalmente a propaganda le ragioni della fede, che non ammettono confini e parlano all’uomo, alla sua dimensione più profonda. Le persecuzioni non sono il risultato di divergenze teologiche o dottrinali, ma sono alimentate da interessi politici e dalla strumentalizzazione delle fedi. Le religioni, se liberate dai fardelli del fanatismo e del loro uso politico, possono diventare potenti veicoli di pace e riconciliazione. Allo stesso modo, chi non aderisce a un credo deve poter vedere il valore della cooperazione e della solidarietà come base di una società giusta e pacifica. Il messaggio finale, quindi, è di speranza: il cambiamento parte da ognuno di noi, da come scegliamo di vedere l’altro, da come decidiamo di ascoltare e comprendere prima di giudicare. Un mondo migliore non è solo possibile, ma è nelle nostre mani. E Dio, ovviamente, non ha bisogno di alcun esercito.

Lo studio è arricchito da interventi e riflessioni: Fulvio Palmieri, sociologo e politologo, Stefano Davide Bettera, filosofo e presidente dell’Unione buddhista europea, l’imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini, monsignor Pier Francesco Fumagalli, Ugo Volli e Giovanni Leghissa. Dice Palmieri: «L’intolleranza è un abito mentale, che per chi lo indossa diventa prodromico per le diverse tipologie di violenza. Se, ovviamente, spicca quella fisica, quella subito a ridosso è quella verbale e psicologica, tanto che potremmo ribaltare il dato: quanto l’atto manifestamente violento è preparato da un clima verbale e psicologico? Sappiamo tutti che dalle parole si passa ai fatti, ma sappiamo anche che se non c’è un argine, il passaggio è ancora più diretto. Che cosa è successo affinché l’argine non reggesse? Deficit culturale? Deficit dell’istruzione? Deficit politico (imbarbarimento dei contenuti)? Deficit sociale?». Gli fa eco Bettera: «La modernità pone la società europea difronte a sfide che ci rendono fragili: le guerre, il cambiamento climatico legato al tema del rispetto della nostra terra, la povertà e il disagio sociale, l’educazione e il futuro dei giovani. Non ultime le discriminazioni religiose. Solo attraverso una riflessione onesta e coraggiosa possiamo immaginare un modello di comunità in cui le varie componenti si incontrino e dialoghino nel rispetto di un contesto comune di appartenenza».

Certo, come ci ricorda l’imam Pallavicini, «chiedere ai leader religiosi come contribuire insieme alla diffusa instabilità prevede la necessità di ascoltare la consapevole testimonianza di una preoccupante crescita dell’instabilità razionale ed emotiva, nella salute dell’anima e della mente dei credenti e dei cittadini europei che si riflette in comportamenti e situazioni di grande disordine interiore e spirituale», ma «anche le scienze, le ideologie e le religioni, come già in passato, possono purtroppo prestarsi a strumentalizzazioni violente e fanatiche, radici di intolleranza. Cercando, in positivo, di giungere al cuore della tolleranza, potremo scoprirne l’essenza nella fraternità», come scrive monsignor Fumagalli. La domanda centrale è quella espressa da Ugo Volli: «Come fa la religione a produrre violenza? È possibile discriminare, insultare, imprigionare, molestare, minacciare persino uccidere, portare guerra e compiere stragi, addirittura genocidi “in nome del Cielo”? Questa domanda interpella fortemente la coscienza contemporanea, almeno in Occidente, in particolare quella di chi si considera egli stesso in qualche modo religioso e non si riconosce nei crimini compiuti da chiunque nel nome della fede, anzi li considera assurdi e scandalosi». Anche perché, ci ammonisce il ricercatore Giovanni Leghissa, «fascismo, nazionalsocialismo e stalinismo sono religioni che mettono in crisi la laicità dello Stato, perché dicono: “Adesso c’è un’unica religione, la mia, in base alla quale si ordineranno tutte le altre credenze”. Il fascismo è stato questo, il nazionalsocialismo è stato questo, lo stalinismo è stato questo. Non a caso, sono stati totalmente intolleranti verso tutte le altre espressioni di credenza religiosa».

La ricerca del Volocom Institute of Strategic Studies ha evidenziato alcuni punti importanti: il contesto globale della cronaca giornalistica relativa agli atti di violenza contro gruppi religiosi mostra una prevalenza di episodi contro ebrei e musulmani. Stati Uniti, Israele, Germania e Svezia sono tra i Paesi su cui viene scritto il maggior numero di articoli: un dato che potrebbe riflettere l’alta frequenza di episodi di antisemitismo e islamofobia in queste nazioni. L’analisi delle fonti degli articoli mostra una forte presenza di notizie provenienti dagli Stati Uniti, Israele, Germania e Svezia, mentre Paesi come Pakistan, Regno Unito e India contribuiscono in misura minore ma comunque significativa. L’Italia si colloca negli ultimi posti di questa classifica: per la precisione, nel periodo preso in considerazione sono 266 gli articoli che trattano questo tema da cui si evince che il 71 per cento degli episodi riguardano violenza verbale e psicologica e un altro 20 per cento episodi di autentica violenza fisica (aggressioni o, peggio, omicidi), mentre solo il 10 per cento degli articoli riguarda episodi di terrorismo. Nel nostro Paese, la religione più perseguitata è senza dubbio l’ebraismo. Un dato che, soprattutto oggi, fa riflettere.

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