peste suina
(Ansa)
Salute

La peste suina è più un problema economico che sanitario

«Le epidemie degli animali sono sempre state usate nelle guerre commerciali. La presenza della peste suina africana, oltre a provocare un danno diretto per la morte degli animali, indirettamente si ripercuote sull’economia. In passato gli Stati Uniti ne hanno approfittato per bloccare l’esportazione di prodotti italiani totalmente sicuri». La storia quindi ci racconta come quanto sta accadendo oggi, soprattutto a Roma, non sia una novità scientifica, anzi, come spiega a Panorama Nicola Decaro professore ordinario di malattie infettive degli animali e direttore del dipartimento Di Medicina Veterinaria dell’Università di Bari.

Sono saliti a circa 120 i casi di peste suina sul territorio nazionale. Gli ultimi 6 sono stati registrati nella Regione Lazio dove l’alta concentrazione di rifiuti nelle periferie ha attirato molti esemplari che rischiano di essere abbattuti per evitare la diffusione dell’infezione. Una notizia che ha scosso le associazioni animaliste che faranno di tutto per impedire che i cinghiali vengano uccisi. Ma non solo a Roma l’emergenza rifiuti ha attirato migliaia di cinghiali di conseguenza la peste suina potrebbe essere una scusa inattaccabile per giustificarne l’abbattimento.

La peste suina è pericolosa?

«La peste suina africana per il maiale ed il cinghiale è molto grave perché è letale. All’uomo non fa nulla perché noi mangiamo ogni giorno migliaia di virus contenuti nelle carni ed in altri alimenti ma l’organismo umano è quasi sempre resistente ai virus di altri animali, compreso quello della peste suina africana. C’è però da dire che l’uomo può funzionare da vettore e trasportare passivamente il virus».

Com’è arrivata in Italia?

«Il virus che causa questa malattia non è autoctono ma si è diffuso tra i suini in Africa probabilmente nel XIX. In Europa è arrivato negli 50’ attraverso prodotti di carne suina contaminata ma parliamo del genotipo 1. Mentre nel 2007 un nuovo genotipo (il 2) giunto dall’Africa è arrivato in Giorgia (Russia) sempre attraverso prodotti di carne suina. Dal Caucaso ha proseguito verso est in Cina e ha fatto alzare il prezzo della carne del 30% perché sono stati abbattuti milioni di maiali cinesi. In Italia tra Piemonte, Liguria e Lazio oggi siamo gli oltre 120 casi e l’infezione è avvenuta molto probabilmente attraverso la stesse modalità, ossia la contaminazione dei cibi abbandonati che vengono mangiati dai cinghiali».

Quali sono le ripercussioni economiche?

«Le epidemie degli animali sono sempre usate nelle guerre commerciali. La presenza della peste suina africana, oltre a provocare un danno diretto per la morte degli animali colpiti con l’abbattimento di quelli sani indirettamente si ripercuote sull’economia causando il blocco delle esportazioni dei prodotti della filiera suinicola. Infatti in passato gli Stati Uniti hanno approfittato della peste suina in Italia per bloccare l’esportazione di prodotti totalmente sicuri come il prosciutto crudo e la mortadella che è un insaccato cotto. Il virus non sopravvive alla cottura e ne potrà alla stagionatura dei prosciutti. Un pretesto quindi per bloccare le esportazioni nonostante fossero prodotti sicuri in modo da vendere meglio i loro prodotti di più scarsa qualità rispetto alle produzioni tipiche del nostro paese».



Cosa ne pensa dell’abbattimento previsto dei cinghiali?
«I problemi economici sono rilevanti e la popolazione sottovaluta la questione. Capisco che i movimenti animalisti siano in prima linea per la difesa dei cinghiali ma la pesta suina, oltre ad essere mortale per gli animali colpiti, causa indirettamente la morte dei suini di allevamento quando arriva in un territorio. Infatti anche se il virus infetta pochi esemplari si deve provvedere comunque all’abbattimento immediato di tutto l’allevamento interessato. Inoltre c’è da aggiungere che se il virus dovesse essere confinato ai cinghiali, nella zona infetta è necessario comunque procedere con la macellazione programmata dei suini domestici. Lo impone la normativa nazionale ed europea».
Perché è necessario e come avviene il depopopolamento dei cinghiali ?
«La riduzione della popolazione di cinghiali è fondamentale per ridurre il numero di ospiti ricettivi che il virus della peste suina troverebbe e quindi serve a facilitare la successiva eradicazione della malattia per prevenire la diffusione agli allevamenti suini. Ci sono diversi modi per ridurre la popolazione di cinghiali. Attraverso il selecontrollo (abbattimento selettivo) con persone addestrate ad abbattere i cinghiali. Se quelli abbattuti non vengono portati via dal cacciatore devono essere inceneriti il che significa un costo molto elevato. Oppure si potrebbe optare per la cattura e la successiva macellazione ma le regioni sono in crisi perché servono impianti particolari di trasformazione che molte non hanno. È chiaro che nessuno vorrebbe che i cinghiali fossero abbattuti ma al momento è una misura indispensabile per contenere l’epidemia. Ce poi da dire che i cinghiali reintrodotti in Italia con il piano di ripopolamento sono particolarmente prolifici e tendono a concentrarsi nei luoghi in cui c’è abbondanza di cibo; mangiano anche i rifiuti, quindi vanno nei posti dove c’è tanta immondizia per strada come le periferie di Roma e di tanti comuni italiani».

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