Dal Mondo
March 16 2025
Di Elena Frigenti - da New York
La democrazia? Qualcosa di non compatibile con la libertà. Le elezioni? Niente che possa migliorare lo stato delle cose. La fede cristiana? Storicamente la più importante dell’Occidente, ma indebolita dall’ideologia woke che l’ha resa troppo attenta a poveri, deboli e bisognosi con quel suo essere «sempre dalla parte della vittima». Il Verbo di Peter Thiel, l’imprenditore-filosofo più potente della Silicon Valley e l’entità dietro all’ascesa politica del vice presidente degli Stati Uniti J.D. Vance, è un misto di libertarianesimo, ortodossia cristiana con venature millenaristiche sui futuri destini del pianeta e fiducia assoluta nella tecnologia. Co-fondatore di PayPal insieme a Elon Musk, primo investitore esterno di Facebook, tra i «padri» di Palantir Technologies, società specializzata in piattaforme digitali per la raccolta e l’analisi dei dati, Thiel non è soltanto una delle cento persone più ricche al mondo, l’uomo da oltre 20 miliardi di dollari (quasi 21 miliardi e mezzo di euro) per la rivista Forbes. La sua visione della società, e del ruolo della digitalizzazione, sta plasmando le strategie imprenditoriali di Silicon Valley, ed è arrivata fino a Washington, influenzando il pensiero e l’agenda politica dell’America contemporanea, che secondo gli osservatori più allarmati si sta consegnando ai tecnocrati.
Thiel attira giudizi insieme positivi e spietati: per Musk è una «mente strategica negli investimenti, fondamentale nel successo di PayPal». Adesso i due sono in sintonia sulla visione di uno Stato libero da controlli e limiti burocratici, accomunati dall’idea che dev’essere l’agenda di Big Tech a dettare la politica interna e internazionale degli Stati Uniti. Ma il loro rapporto non è sempre stato facile: nel Duemila, a pochi mesi dall’entrata di Musk in PayPal, fu lo stesso Thiel a farlo fuori dal board mentre il futuro tycoon di Tesla era in viaggio di nozze con la prima moglie Justine. «All’inizio ero furioso» ha confessato Musk anni dopo. «Ho avuto anche pensieri omicidi. Ma poi ho pensato che sia stata la mia fortuna: altrimenti chissà per quanto ancora avrei fatto lo schiavo dentro PayPal. Naturalmente, se fossi rimasto, sarebbe diventata una compagnia da trilioni di dollari». Un altro signore della Silicon Valley, Mark Zuckerberg, ammira Thiel e lo considera il suo mentore. «La lezione più preziosa? Capire che, in un mondo che cambia in fretta, il peggior rischio è non correre nessun rischio». Thiel e Zuckerberg pensano anche che sia arrivato il momento di chi è nato tra il 1981 e 2012, Millennial e Generazione Z: «Scommetto che avremo un presidente Millennial entro il 2032», prevede il ceo di Meta.
Ma non mancano le voci critiche. Reid Hoffman, co-fondatore di Linkedin, fin dal primo sostegno a Donald Trump, ha bollato Thiel come un «problema per Silicon Valley». Per Gawker Media, portata in tribunale da Thiel per una causa legale che ha decretato la bancarotta del sito, è un «miliardario vendicativo». E il giornalista Franklin Foer, nel suo libro World Without Mind lo ha descritto una «figura che incarna il lato oscuro del potere delle Big Tech», e la sua idea libertaria estrema «pericolosa per la democrazia». Al di là delle interpretazioni e andando alla fonte, la pietra angolare del Thiel-pensiero è questa: viviamo ai tempi dell’Anticristo. La società è in un continuo processo apocalittico, succube di una tendenza innata alla violenza e al caos. «Basta pensare alle tragedie di Hiroshima e Nagasaki» ricorda. La minaccia nucleare, o di un nuovo attacco terroristico su larga scala analogo a quello dell’11 settembre, «sono incombenti e reali». Come prevenirli? Lasciando che la tecnologia assuma il controllo. «L’assenza di una simile soluzione ai problemi della società» aveva detto a un seminario alla Kennedy School of Government di Harvard, «ci fa affrontare le crisi nella maniera più aggressiva». Secondo l’imprenditore, «l’11 settembre si poteva evitare se la tecnologia avesse avuto il controllo delle informazioni. Invece, dopo gli attentati l’unica risposta è stata attaccare l’Afghanistan».Ma dal 2001 molte cose sono cambiate, e la visione di Thiel di un governo decisionista, liberato dai vincoli della macchina burocratica sembra avverarsi. Stando a stime non ufficiali, Musk e il suo Doge, il nuovo dipartimento per l’efficienza governativa, avrebbero già tagliato oltre 100 mila dipendenti pubblici.T hiel nasce nel 1967 a Francoforte, figlio di un ingegnere che per motivi di lavoro doveva muoversi spesso: Stati Uniti, Africa, di nuovo in America, nel 1977 i Thiel si stabiliscono intorno a San Francisco quando Peter ha già frequentato sette scuole elementari diverse. Giovane prodigio negli scacchi e in matematica, da liceale ammira il presidente repubblicano Ronald Reagan per la capacità di «dare le risposte giuste a tutte le domande».
Iscritto a Filosofia a Stanford, critica le perplessità dell’ateneo, secondo lui troppo «politically correct», sull’aprire una biblioteca dedicata a Reagan. Così nell’87 fonda la Stanford Review, rivista studentesca conservatrice e libertariana di cui è stato il primo direttore. Una volta laureato, frequenta la Stanford Law School e poi lavora in uno studio legale di grido a New York, il Sullivan & Crowell. «I sette mesi e tre giorni più tristi della mia vita», confesserà in seguito. «Ero troppo competitivo per quel tipo di lavoro».Nel 2003 la svolta, personale e professionale. Con Stephen Cohen, John Lonsdale e Alex Karp fonda la Palantir Technologies (se ve lo state chiedendo: sì, il nome viene dalle sfere di cristallo del Signore degli Anelli che danno la chiaroveggenza) e fa coming out. La notizia della sua omosessualità, condivisa con pochi amici e colleghi, fa il giro in fretta, lasciandogli una punta di amarezza. «Incredibile quanta importanza si dia ancora a questi dettagli sulla vita delle persone».Fuori dal coro, Thiel ha sempre avuto l’aura del predestinato. Da Stanford alla Silicon Valley, alla dominante visione liberal preferisce l’idea di un mondo dove sopravvive il più forte, e avere concorrenti è da deboli. La devozione all’intelligenza delle macchine gli apre le stanze della politica, creandogli connessioni utili per far passare il suo credo: non si può e non si deve regolamentare la tecnologia se si vuole che operi per il bene comune. Nel 2012 appoggia Ted Cruz, aiutando l’avvocato texano ultraconservatore a diventare senatore, carica che ricopre tuttora. Due anni dopo l’idea di una politica opposta alla burocrazia federale prende forma, e Thiel ne è il motore.
In totale disaccordo con l’allora presidente Barack Obama, considerato un pericoloso comunista nonostante Palantir abbia firmato accordi molto vantaggiosi con il governo americano per il controllo e l’analisi dei dati sensibili, Thiel vuole assicurarsi che la classe politica sia allineata alla sua visione di ordine mondiale. Nel 2016 appoggia pubblicamente la candidatura di Trump, fino ad allora tiepido verso l’hi-tech, considerato troppo liberal. Ma il nuovo presidente capisce che l’alleanza con Thiel va cementata, e gli lascia carta bianca. Così l’ultradestra americana si rafforza e si struttura: fioriscono le pubblicazioni che diffondono il Thiel-pensiero, salgono alla ribalta nuovi teorici e nuovi politici, tra cui J.D. Vance. Come spiega James Pogue, autore e inviato della rivista Vanity Fair, «la nuova destra si era popolata in fretta di giovani laureati, scrittori emergenti, podcaster e gente che postava anonimamente su Twitter». In questa nuovo humus, che promette la riapertura delle fabbriche chiuse dalla delocalizzazione, si batte per la libertà di espressione e vuole il muro al confine con il Messico, si forma Vance, appoggiato da Thiel nel 2023 alla sua corsa per senatore. Un patto che garantisce poi a Vance di essere scelto come vicepresidente, e a Thiel di avere l’appoggio incondizionato di Trump sulla deregolamentazione del settore Tech.Il cerchio si è chiuso. Come nota un altro giornalista, Dave Weigel, «è il partito di Peter Thiel adesso». I fatti sembrano dare ragione a questa tesi