Green
June 08 2023
Non hanno un sistema nervoso come quello umano, eppure le piante possono sentire quando le tocchiamo e quando smettiamo di toccarle. Lo hanno dimostrato ricercatori del Washington State University con un sofisticato insieme di esperimenti che hanno rivelato particolari finora sconosciuti della reazione delle piante al tocco. Per esempio, è risultato che le cellule delle piante mandano segnali differenti a seconda che qualcosa le sfiora o smette di sfiorarle.
Negli 84 differenti esperimenti che coinvolgevano 12 piante di arabetta comune (Arabidopsis thaliana) e di tabacco veniva usata una nuova tecnologia basata su sensori di ioni di calcio. Al tocco delle foglie con un bastoncino di vetro le piante rispondevano con onde di segnali di ioni di calcio e quando la pressione veniva rilasciata le onde aumentavano la frequenza. Sulle pagine di Nature Plants i ricercatori hanno commentato questo risultato affermando che è sorprendente scoprire questa grande sensibilità delle cellule delle piante, tale da permetterle di discriminare tra un leggero tocco e il successivo rilascio. Tanto più sorprendente perché le piante hanno questa sensibilità molto fine pur senza possedere un sistema nervoso come quello degli animali.
Le onde registrate nelle piante sono dovute agli ioni di calcio che viaggiano da una cellula all’altra per un periodo di tempo che dura dai tre ai cinque minuti con un tocco di trenta secondi. La rimozione del tocco invece provoca onde più rapide che in un minuto vanno a zero. Un’ipotesi è che queste onde di ioni di calcio siano provocate dalla pressione all’interno della cellula. Sembrerebbe che le cellule vegetali abbiano pareti molto forti e rigide così che un leggero tocco fa repentinamente crescere la pressione.
Questo studio è i l’ultimo di una serie recente che ci fa dire che le piante percepiscono, comunicano, ricordano, imparano, conoscono e prendono decisioni. Il fatto che a tutti questi verbi occorrerebbe mettere le virgolette, per sottolineare che i vegetali fanno tutte queste cose a loro modo, non toglie nulla all’importanza di questa scoperta: ancora una volta, dobbiamo prendere atto che l’essere umano non è poi un essere così speciale tra i viventi. Per esempio, si sapeva già che alcune specie sono capaci di risposte innate a stimoli precisi che si sono evolute per scopi di sopravvivenza.
Un caso è quello della cosiddetta Mimosa pudica che, come il nome suggerisce, se toccata richiude tutte le foglie su se stesse. Anche la reazione alle punture degli insetti era nota. Quando un bruco punge una foglia scatena risposte di difesa quali il rilascio di sostanze chimiche che rendono la foglia tossica. E sembrerebbe che le onde di calcio possono attivare diversi geni. Le piante possono sentire e reagire a molti più cambiamenti esterni di noi: capiscono quale tipo di insetto le sta attaccando dal modo nel quale le loro cellule vengono danneggiate, da quali composti rilasciano o dalle caratteristiche della loro saliva. Queste sono a tutti gli effetti forme di percezione molto sofisticate.
Siccome gli insetti che la attaccano cambiano nel corso dell’anno, questa specie si prepara alla difesa in anticipo. Potremmo dire che la senape nera impara qual è la sequenza temporale con cui le diverse specie di insetti sono attive nell’ambiente intorno a loro e si fa trovare pronta a reagire.
Dunwue le ricerche attuali dicono che le piante non sono solo capaci di riflessi condizionati ma sono anche flessibili alle modificazioni ambientali, possono predire i cambiamenti intorno a loro e prepararsi di conseguenza e possono anche mettere in atto azioni per modificare se stesse o l’ambiente circostante. Altri esperimenti con la tecnica fotografica del time-lapse effettuate sulle piante di fagioli da Paco Calvo, dell’Università di Murcia, in Spagna, mostrano una capacità di prendere decisioni. Mentre crescono, le loro propaggini esplorano il terreno percorrendolo in senso circolare alla ricerca di un sostegno dove arrampicarsi. Appena lo individuano accelerano la crescita e di protendono con uno slancio improvviso. Questo comportamento non è il frutto di una capacità innata, come se la pianta fosse programmata per la ricerca di un sostegno qualunque. Al contrario, è come se la pianta di fagiolo prima acquisisse la conoscenza che c’è un sostegno in un certo punto preciso, poi valutasse quella scelta e poi agisse conseguentemente. Che le piante valutino se o meno arrampicarsi su un sostegno lo si vede dalle diverse prove che effettuano sfiorandolo in diversi periodi della giornata. Solo dopo decidono di arrampicarsi, come si vede in video girati con la tecnica del time-lapse. Inoltre, le misure con elettrodi applicati alle piante di fagiolo mostravano un drastico aumento dell’ampiezza delle onde di potenziale elettrico tra un tessuto a un altro proprio in quelle fasi in cui avveniva la decisione. E vari anestetici come l’etere dietilico o la lidocaina somministrati alle radici della Mimosa pudica o a quelle della pianta carnivora Dionaea muscipula (la cosiddetta “Venere acchiappamosche”) hanno l’effetto di sopprimere la loro capacità di reazione e parallelamente di reprimere le onde elettriche. Insomma, in una prospettiva “umana” potremmo dire che le percezioni nelle piante si basano sulla propagazione di onde di potenziale elettrico, come avviene nel nostro sistema nervoso, e possono essere represse con un anestetico.
Un altro esperimento epocale effettuato al Southern Cross University of Australia ha rivelato che nelle piante si può indurre un riflesso condizionato, cioè fare qualcosa di simile a quello che il celebre neurologo russo Ivan Pavlov fece con i suoi cani. Questi salivavano al suono di una campanella (anche in assenza di cibo) dopo che per ripetute volte a quel suono veniva contemporaneamente offerto loro un pasto. Allo stesso modo piante di pisello sono state addestrate a crescere controvento, cosa che non fanno mai in natura, associando ripetutamente una fonte di luce a una brezza artificiale. Tra le altri mirabolanti capacità scoperte di recente nelle piante ci sono: quella di «sentire» a decine di metri la presenza di acqua; di penetrare in suoli durissimi; di scambiare sostanze nutritive con altre piante; di interagire con i funghi di un bosco; di variare la rigidità del proprio corpo; di comunicare con un’altra pianta attraverso sostanze chimiche per difendersi da un erbivoro. Tutte cose possibili grazie a processi complessi che ancora non conosciamo bene. Ma è certo è che ormai possiamo ogni ragione di parlare di un’intelligenza delle piante. Non è concentrata in una zona particolare, quello che chiameremmo un cervello. È un’intelligenza cosiddetta “emergente”, che si origina a partire da interazioni fra tutte le parti che compongono una pianta.