Ada Masella
October 18 2017
Una singolare squadra di quattro piccoli adulti e un ex samurai è salita sul palco del Teatro San Babila per l'incontro "Piccoli, grandi talenti" organizzato durante la rassegna di appuntamenti di Panorama d'Italia a Milano: i pianisti Edoardo Riganti Fulginei e Matteo Pomposelli, rispettivamente di 13 e 12 anni; e i violinisti Luca Kaufman, 12 anni, e Silvia Borghese, 12. i quattro piccoli adulti insieme fanno 49 anni.
Apre Edoardo Riganti Fulginei, di Assisi, impettito, con i papillon e il passo marziale, che suona Chopin, Debussy, Prokofiev e Brahms. Segue Luca Kaufman, milanese, con il Capriccio basco di Pablo de Sarasate. Tiene, come tutti i ragazzini, la camicia fuori dai pantaloni. Ma, come i grandi, considera il violino “un lavoro”.
Matteo Pomposelli, romano, ha più premi che anni, 13: suona Chopin, Ginastera, Rachmaninov. Porta i capelli come un elmetto dorato che gli copre gli occhi: sembra che i tasti li trovi per accidente, come le persone normali sanno trovarsi il naso.
Infine, Silvia Borghese, milanese, chiude con il Preludio e l'Allegro di Fritz Kreisler.
Subito dopo tocca all’ex samurai, Giovanni Allevi
Il compositore e pianista marchigiano, classe '69, arrivato al suo decimo album, Equilibrium (nei negozi dal 20 ottobre e di cui regala un'anteprima al pubblico di Panorama d'Italia), abbigliamento sempre uguale (maglietta nera, jeans, Converse nere) gesticola frenetico, ridacchia fra una parola e l’altra. È presente in quanto "padrino" dei quattro talenti. "Ti sono piaciuti questi "mostri"?" gli domanda il direttore di Panorama Giorgio Mulè. "Ma quali mostri? Non hai sentito che tocco, che sentimento, che fraseggio?" risponde.
Uno che compone la sua musica al supermercato sotto casa, davanti agli yogurt e i pomodori, e che dice di essere stato un samurai in una vita precedente, conviene prenderlo sul serio.
Panorama gli dedica una copertina, "Ho perso l'equilibrio (ma poi l'ho ritrovato, poi l'ho riperso, e adesso...)" che in effetti sintetizza la vita del compositore. Ragazzino disadattato, bullizzato a scuola ("Mi rubarono la bici. E mi ricordo ancora di quello che mi tirò il vocabolario di latino in testa"), cresciuto tra attacchi di panico e crisi depressive, infine si accorge "di aver perso l'equilibrio: non riuscivo a star fermo su una gamba". Per questo si è rifugiato su un'isola praticamente disabitata dell’Atlantico, a fare esercizi per recuperarlo, l'equilibrio. "Ho scoperto che siamo tutti asimmetrici, ed è questo che mi piace delle persone: la disorganizzazione interiore, il buio in fondo all'anima, mi fanno innamorare".
"Uto Ughi definì te un modestissimo musicista, e risibili le tue composizioni", gli ricorda Mulè. Allevi ridacchia: "Durante gli anni di composizione al conservatorio di Milano, studiavo molto in biblioteca. Alle pareti erano appesi i ritratti dei grandi del passato: Schubert, Mozart, Chopin. Pensavo: loro sono depositari di una tradizione straordinaria, ma tra tutte le forme d'arte mi sembra che la musica classica abbia avuto più difficoltà a rinnovarsi. Nessuno incolperebbe uno scrittore contemporaneo di non scrivere come Manzoni. Insomma, in conservatorio ti dicono "Io ti insegno a comporre nuova musica, ma non devi permetterti di scrivere nuova musica". Con la mia musica speravo di dar vita a un dibattito tra tradizionalisti e innovatori e invece mi sono ritrovato da solo".
Da solo, ma in equilibrio, in quello che Allevi precisa essere "un equilibro instabile", ossimoro della contemporaneità: stare incessantemente in bilico ma, per lo meno, stare.