Televisione
January 31 2019
Un Piero Chiambretti così in «stato di grazia» non lo si vedeva da anni. Archiviate le seconde serate per nottambuli e le scelte subite più che volute, quello che sembrava un azzardo – il trasloco in prime time sulla nuova Rete 4 – si è rivelata invece una mossa vincente. #CR4-La repubblica delle donne è un piccolo gioiellino premiato dagli ascolti, che Chiambretti si è cucito addosso (complici i sodali autori Ghergo e Fusco), ritrovando la voglia di graffiare e divertirsi, mischiando l’alto e il basso – l’arte raccontata da Francesco Bonami e la scrittrice smutandata o il chirurgo sfigurato - e creando un circo Barnum ultra camp di ospiti, opinioniste ferocissime e freak diventati culto sui social.
Piero, partiamo con una bella notizia: La repubblica delle donne si allunga di una puntata.
Esatto. Nella settimana del Festival di Sanremo va in onda un best of che abbiamo ribattezzato "I migliori mesi della mia vita". Poi il 13 febbraio ce ne sarà una tutta nuova.
Considerando i buoni numeri, sempre intorno al 4% di share, ci sarà un altro ciclo di puntate di #CR4 già nei prossimi mesi?
Non lo posso assicurare, ma l'obiettivo è di tenere acceso il programma. Una volta si ragionava sui palinsesti di sei mesi in sei mesi, poi si è passati a tre e ora a una settimana. Al netto dell’ironia, l’intenzione da parte di Pier Silvio Berlusconi c’è: poi si devono fare i conti con gli altri programmi, con gli spazi già occupati e soprattutto con l’annoso problema dei budget. Di certo abbiamo fatto un passo in avanti.
Ovvero?
Abbiamo fatto 15 puntate consecutive. Ricordo anni in cui facevo sette puntate e sparivo per cinque mesi. Guardi che nella tv di oggi il fatto di esserci è un punto di forza: vince chi c’è, non chi sparisce. E l’esempio di Celentano dice tutto.
Come se l’è spiegato il successo di #CR4?
Col fatto di essere riuscito a fare ciò che mi piace, senza tenere conto delle regole della grammatica televisiva, della controprogrammazione e degli imprevisti. Il vero uomo di successo è un uomo libero ed io mi considero tale. Per questo vivo #CR4 come un successo personale: ho tenuto conto di ciò che mi piaceva, poi ho cucinato di settimana in settimana con gli ingredienti che avevo a disposizione.
Quanto contano gli ospiti giusti?
C’è gente disposta a ospitare le ceneri di Liz Taylor pur di fare clamore. Ma noi non strutturiamo il programma così: non faccio quello che cerca l’ospite di grido per vivere di luce rifletta, al massimo cerco di portare luce agli altri. Se nota, di alcuni programmi si parla solo per di chi ci va. Da me non sono gli ospiti che fanno il programma, ma è il racconto che costruiamo mettendo dentro gli ospiti giusti: è una variazione sottile per riuscire a fare qualcosa di diverso dal solito talk.
Pensa di esserci riuscito?
Sì. Alfonso Signorini mi ha fatto il miglior complimento che potessi ricevere: «Gli ospiti che vengono da te, hanno una luce diversa».
Di certo un Chiambretti così «in stato di grazia» non si vedeva da qualche anno. Cosa le è accaduto?
È uscito Saturno dal mio segno, che stava sulla mia testa da 15 anni: le assicuro che è peggio di avere contro ogni settimana Chi l’ha visto?, che è una vera corazzata. Sicuramente sono venute meno delle circostanze che mi costringevano ad avere il freno a mano tirato. Mi ha dato una grinta in più anche l’aver azzeccato una serie di racconti e averli saputi sviluppare con una cifra che mi appartiene. Mi dispiace e al tempo stesso mi piace che questo stile venga imitato, male, da tanti.
Aldo Grasso però l’ha stroncata: ha scritto che lei punta sulle «stupefazioni baracconesche».
Distruggendo la prima puntata, si è rivelato un grande portafortuna: faccio parte da anni del gruppo dei suoi bersagli fissi. La sua è un’ossessione.
"La tv di Chiambretti affonda le sue origini nel circo equestre", ha aggiunto. C’è rimasto male?
Sa cosa diceva Bernardo Bertolucci? Che «i critici sono alpini di pianura». La critica costruttiva mi piace, ma non è utile quando diventa un epitaffio su una carriera di trent’anni. Grasso diceva che non era adatto a Rete 4, invece il mio programma è diventato uno delle immagini più forti nella nuova rete.
Lo inviti a pranzo in uno dei suoi ristoranti a Torino, così fate pace.
Guardi che ci siamo andati assieme, in passato. Poi si è rotto qualcosa da parte sua. Lo apprezzo come intellettuale, ma non lo condivido quando utilizza due pesi e due misure. Mi auguro che continui a scrivere malissimo di me perché porta bene.
Tornando a #CR4. A parte la Meloni e la Mussolini, ha avuto pochi politici ospiti: perché?
Pensa che non abbia invitato Salvini, Di Maio, la Boschi o la Raggi? Da me non vengono.
In compenso vanno da Fazio.
Vadano dove vogliono. Forse considerano tutti i programmi migliori del mio? Di certo da me verrebbero a fare una cosa diversa: non m’interessano né i processi né i massacri, non cerco la verità ma cerco di far divertire. Sa cosa le dico? Faccio bene anche senza i politici.
Dice così ma mi sembra risentito.
No affatto, ma quando sento cose come «ma sa, lei è Piero il birichino» mi viene da sbadigliare. Non sono né Pierino né birichino, ho 60 anni! E poi mi dica: perché Enrico Mentana – uomo intelligente e di successo – ha accettato l’invito e mi ha pure ringraziato? Faccio spettacolo e la politica è spettacolo: se venissero da me, in un territorio diverso e senza "zerbinismi", magari trarrebbero vantaggio da una comunicazione inedita.
Torniamo ai freddi numeri: la sovrapposizione con lo show di Al Bano l’ha danneggiata.
La controprogrammazione è sempre stata forte. Abbiamo retto contro Chi l’ha visto?, contro la Juve e il Real Madrid. Contro Al Bano abbiamo sofferto di più perché ha fatto un programma popolare, da Rete 4: dovrei sommare i suoi ascolti con i miei.
Carlo Freccero ha detto a Panorama: «Voglio incontrare Chiambretti». Vi siete visti?
No, ma mi ha chiamato dopo aver parlato con la comune amica Irene Ghergo. Dobbiamo vederci: lui in questo momento ha dei grilli per la testa, diciamo così, ed io devo capire come prosegue il dialogo con Mediaset, azienda dove sto da dieci anni e che mi dispiacerebbe lasciare perché è una parte della mia storia professionale.
Insomma, se ne vuole andare?
No, affatto, anche perché i rapporti sono ottimi con tutti, a cominciare da Pier Silvio e dalla Direzione Generale Informazione. Chiedo solo delle garanzie per lavorare con continuità nei prossimi tre o quattro anni.
Questione di soldi?
Non è una sfida o una questione economica. Voglio solo poter lavorare, sennò mi guardo attorno e mi diverto a fare altro, a cominciare dal crescere mia figlia. Vediamo cosa capita.
A Freccero cosa la lega?
Lo conobbi quando stava in Francia. Devo a lui la nascita del secondo Chiambretti, molto diverso dal primo. All’inizio portavo in tv ciò che in tv non si vedeva – ma avevo 30 anni e c’erano solo sei canali – poi ho imparato a raccontare anche ciò che si vede ma provando a farlo meglio degli altri.
Il grande salto fu l’incontro con Gianni Boncompagni.
Me lo presentò Freccero, appunto, e nacque Chiambretti c’è. Ho avuto pochi maestri nella mia vita, tra cui Angelo Guglielmi e Boncompagni: lui mi ha aperto la mente, insegnandomi molte cose.
Ad esempio?
L’uso della luce. Gianni era fotografo e architetto e guardandolo lavorare capii l’importanza della luce in uno studio: messa in un certo modo, può dare forma al programma e la forma è essenziale per dare forza al contenuto. E poi mi fece capire il ruolo centrale delle donne in uno show: fino a quel momento non ne coglievo l’importanza, rischiando persino di sembrare misogino, ma con lui cambiò tutto. Non a caso sono arrivato a fare La repubblica delle donne. Con Gianni sono stati anni meravigliosi: non dimenticherò mai quel periodo, anche perché mi ospitò nella sua mansarda e mi presi i pidocchi.
Ultima domanda. Nel 2008 condusse Sanremo, con Pippo Baudo. Che idea si è fatto delle polemiche pre-festivaliere su Baglioni e la questione migranti?
Tutto fa brodo, come dicevo in un mio programma, in tv ma anche sui giornali. È stata una cassa di risonanza che ha fatto gioco a tutti, a Baglioni, alla Rai e ai giornalisti che devono vendere copie. Di certo c’è che la «questione migranti» è problema serio e se ne può parlare anche a Sanremo: il Festival è anche una sorta di altoparlante dell’attualità e chi non lo capisce, sbaglia.