Calcio
October 29 2020
Inutile girarci intorno: la Juventus di Andrea Pirlo ha iniziato la stagione con il freno a mano tirato e la sensazione di essere un cantiere aperto al di là di ogni pessimistica previsione. Non è solo un problema di risultati, che deludono anche se lasciano spazi di recupero. No. A non convincere gli osservatori esterni è quello che la Juventus sta (non) facendo vedere in campo tra esperimenti, giocatori cui trovare una collocazione tattica e una trama di gioco ancora molto indefinita. Non è una sorpresa in assoluto, visto che Pirlo è stato paracadutato sulla panchina più prestigiosa del calcio italiano direttamente dal divano di casa, senza passare dalla gavetta. La sorpresa, semmai, è la scoperta che anche la Juventus possa aver messo in conto di vivere una stagione di vera transizione, in cui vincere non sia l'unica cosa che conta ma semplicemente uno degli scenari possibili a giugno.
Non siamo ancora al tema del Pirlo inadeguato, ma non siamo più neanche alla fase della luna di miele e di Pirlolandia che ha accompagnato per parte della critica l'annuncio e i primi passi dell'ex fuoriclasse del centrocampo. Erano esagerati quei toni, sarebbe prematuro adesso un processo. Però una certa crisi del modello del predestinato è evidente e Pirlo non è nemmeno il primo a rimanerne vittima. Non si tratta di mitizzare la gavetta come unica porta d'accesso al calcio di alto livello, visto che c'è chi ce l'ha fatta anche saltando le tappe e ha ottenuto successi e riconoscimenti. Semmai è da mettere in discussione l'idea che ha accompagnato la sua discesa in campo e, quando sarà il momento di tracciare i bilanci, anche il ruolo di chi lo ha scelto per riparare al fallimento della gestione Sarri. Fallimento più relazionale che tecnico, avendo il toscano comunque chiuso con uno scudetto e avendo ammesso lo stesso presidente Agnelli che a mancare è stata prima di tutto l'empatia con l'ambiente juventino.
Se Sarri rappresentava un salto avanti per le abitudini Juventus, Pirlo è stato un balzo nel vuoto. Anche perché non tutti gli allenatori sono Guardiola e non tutte le squadre sono come il Barcellona del primo ciclo di Messi, Iniesta e soci e cioè un gruppo già forgiato dalla sua guida e pronto a tentare il salto di qualità. Nel caso di Pirlo, l'inesperienza del tecnico si sta saldando alle difficoltà di un mercato in cui Paratici (alla pari di tanti altri dirigenti) ha potuto operare con le mani legate dovendo far convivere le necessità del campo con quelle, se possibile ancora più importanti, dei conti economici e dei bilanci. Se Pirlo non era un predestinato, certamente questa non è la migliore delle Juventus possibili da affidargli e dalla quale chiedergli di spremere in fretta risultati e segnali di crescita.
Uno schema in parte vissuto anche un anno fa con Sarri. Con una domanda: se a partire così fosse stato il tecnico toscano, quale trattamento gli avrebbe riservato la critica interna ed esterna?