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April 27 2017
Fa invaghire D’Alema ma amoreggia con Renzi.
E se fosse per Giuliano Pisapia, nella sua sinistra, ci sarebbe spazio per il desaparecido Pippo Civati, per il mangiafuoco azzoppato Michele Emiliano, per la penna di Laura Boldrini che lotta sia contro la grammatica sia contro gli sputatori di professione. E un posto d’onore lo avrebbe di sicuro Romano Prodi, emerito per natura, che di lui dice: “Ho una stima personale per Giuliano”.
Cosa vuole fare
Pisapia non vuole rifare la sinistra ma allestire un’arca, non si tinge di rosso ma vuole spremerne il succo: è infatti l’arancione il suo colore. Per l’ex sindaco di Milano, la separazione è dunque il cataclisma (“uniamo la sinistra o è la fine”), mentre la coalizione è il sole che spintona le nuvole (“perché bisogna ascoltare la domanda di unità. Ci vuole un’alleanza larga di centrosinistra”).
Insomma, è da quando ha scelto di non candidarsi nuovamente a sindaco di Milano che Pisapia scrive articoli socratici, spedisce lettere alla Tiziano Terzani, rilascia interviste che tutti i quotidiani titolano come ultimatum, (“È il momento della verità”), ma che in realtà sono inviti a tavola, mani tese per evitare la diaspora a sinistra che ormai si è consumata.
Ebbene, proprio come i pastori d’anime, Pisapia più che al solito uomo nuovo assomiglia ai vecchi patriarchi dalla pelle dura.
Per il suo nuovo partito ha appunto scelto il nome Campo progressistache è un’indicazione di tempo e spazio, ma anche il campus che i latini facevano derivare da capere che significa “atto a contenere”.
È stato per radunare tutti gli spiriti di sinistra che, in un’intervista a Repubblica di due giorni fa, Pisapia ha invitato a dialogare Renzi, (“costruiamo la coalizione o la sconfitta sarà epocale”), ha messo in attesa Pierluigi Bersani e tutti i transumanti di Articolo 1 che lo incoronano leader e che lo definiscono il nuovo Prodi, così come Gad Lerner, un altro che insegue il Professore e che non fa altro che ripetere “è Giuliano il nuovo Prodi”.
Non chiamatelo "nuovo Prodi"
Ecco, se proprio si volesse aiutare Pisapia, il miglior modo sarebbe quello di non farne il nuovo Prodi che è vero è riuscito nel miracolo di unire l’indicibile, ma che di natura è collerico, altezzoso e dunque impenetrabile come ha rivelato quando, nelle scorse settimane, si è lasciato scappare questa frase: “Non sono in campo, ma sono capace di tutto”.
Pisapia è invece in campo ma, al contrario, ha dimostrato di sapere rinunciare a tutto, (la ricandidatura a Milano, il ministero della Giustizia che gli offrirono ben due volte, un posto al Csm…) è di natura mite, è refrattario al Twitter che pure possiede ma che come premette è gestito dallo “staff web”.
Pisapia è stato Macron prima di Macron, una seducente sorpresa italiana, e non solo perché “sono stato eletto sindaco per caso”, ma perché ha riportato i capelli pettinati e la spazzola, vale a dire rigore formale e pulizia linguistica che di sicuro provengono dalla sua bella famiglia, sette fratelli, e da quel padre Gian Domenico che non è stato solamente un erudito del diritto ma un conforto per i giornalisti che ha infaticabilmente difeso da avvocato.
È vero che Pisapia ha militato a sinistra, Rifondazione Comunista e poi Sel con Nichi Vendola, ma lo ha fatto più come il raffinato ed esperto di vini Friedrich Engels che come il disordinato e disperato Karl Marx.
Cosa ha capito Pisapia
Pisapia è il primo a riconoscere che la sinistra immaginata dai fuoriusciti del Pd rischia di essere ghetto ideologico, risentimento storico, contrada del malumore, “ed io non sono sceso in campo per fondare partitini del 3 per cento”; “la mia sinistra è responsabile e pragmatica”.
Prima ancora che il Pd si scollasse, Pisapia era già stato nominato l’anti Renzi, una nuova figura nazionale, una maschera che è stata fatta indossare nell’ordine a Roberto Saviano, Ezio Mauro, Enrico Letta e per ultimo al ministro Carlo Calenda. Pisapia non può essere l’anti Renzi perché per essere “anti” bisogna possedere la brama di precedere e non quella di abbracciare, bisogna essere “l’uomo” e non solo “un uomo”, come si sente Pisapia, bisogna strappare e non cucire.
Pisapia non è l’uomo del destino che deve far cadere da cavallo Renzi, ma può essere il fabbro che riferra gli zoccoli della sinistra. Riluttante al comando, Pisapia appartiene alla lunga lista di chi preferirebbe dire di no e che solo per necessità dice sì.
Per questo lancia una fune a Renzi, accarezza Roberto Speranza, conversa con il presidente del Senato, Pietro Grasso, non dimentica i compagni di lettura come Stefano Fassina e Nicola Fratoianni.
La verità è che Pisapia è un costruttore di ponti che per dirla come il filosofo Heidegger, “è pronto per ogni umore del cielo e per i suoi vari mutamenti; un uomo sempre saldo al di sopra delle acque”.