Economia
October 18 2021
Come sono cambiate le Pmi italiane con la pandemia? L'emergenza sanitaria ha messo a dura prova le aziende di taglia media e piccola, che però in molti casi hanno mostrato una grande capacità di reagire allo shock, innovando i processi di produzione e i rapporti con le banche e la pubblica amministrazione, e facendo progressi anche sul fronte della sostenibilità. Sono alcune delle evidenze emerse da MarketWatch Pmi, l'osservatorio di Banca Ifis che analizza l'ecosistema delle piccole e medie imprese italiane e le filiere del made in Italy.
Il covid non ha fatto desistere le Pmi italiane dall'innovare e dall'investire sulle tecnologie digitali: nel biennio 2020-21 un'azienda su due (52%) ha introdotto almeno una nuova tecnologia, che ha apportato un'innovazione di prodotto, di processo oppure organizzativa. I settori più attivi da questo punto di vista sono stati la chimica-farmaceutica e il sistema casa, nei quali rispettivamente il 76% e il 63% delle imprese hanno introdotto un'innovazione; segue la tecnologia a quota 60%. In cosa sono state impiegate effettivamente le innovazioni? Nel 54% dei casi si è trattato di dotazioni di nuovi macchinari, seguite dalla formazione per aumentare le competenze del personale (38%) e dall'infrastruttura digitale (26%). E le previsioni sono di una crescita ulteriore: la stima dell'osservatorio è di un aumento del 6% delle Pmi che investiranno entro il 2023, soprattutto in aree come la digitalizzazione dei processi (34%) e la sostenibilità (32%), seguite dalla gestione della relazione con i clienti e dalla ricerca e sviluppo (21% in entrambi i casi) e dal reshoring delle filiere di fornitura (12%). Per reperire le risorse necessarie più della metà (56%) delle Pmi oggetto dell'indagine ha fatto ricorso all'autofinanziamento, mentre il 35% a finanziamenti bancari, e solo il 7% ha impiegato sostegni pubblici.
Ad aumentare la propensione delle piccole e medie imprese a investire in tecnologia contribuisce anche il processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione, che secondo l'osservatorio ha spinto ben il 74% delle Pmi ad accelerare sul fronte degli investimenti tecnologici, per arricchire e allineare i propri processi. Nello specifico, gli investimenti delle aziende si sono concentrati su diversi aspetti: firma digitale (48%), Spid (41%) e Pec (32%). Il 17% delle Pmi ha digitalizzato i pagamenti, il 16% ha iniziato a usare il cloud per la gestione documentale, e la stessa percentuale ha acquisito software per la finanza e la contabilità, mentre l'11% ha digitalizzato la modulistica. Un'impresa su due – il 51%, senza forti differenze tra piccoli Comuni e grandi centri - riconosce oggi la digitalizzazione della PA come un fattore facilitante nella relazione, mentre il 42% pensa che l'evoluzione tecnologica sarà un vantaggio nel prossimo futuro. In generale, pesa per il 43% la quota parte delle attività già digitalizzate che le Pmi svolgono con la pubblica amministrazione.
Una spinta all'utilizzo sempre maggiore delle tecnologie digitali è arrivata anche dall'adozione del lavoro agile, che prima del lockdown era praticato in appena il 4,6% delle aziende con meno di 250 dipendenti, mentre durante l'emergenza sanitaria la percentuale è salita fino a sfiorare il 37%. Spostare le attività in remoto è stato più facile per le aziende più grandi: vi ha infatti fatto ricorso il 73,6% delle Pmi con più di 50 addetti, contro il 27,9% di quelle con un numero di dipendenti compreso tra 10 e 19. Sul fronte delle tecnologie digitali, il 70% delle aziende oggetto dell'indagine ha implementato piattaforme di videoconferenza e di messaggistica per permettere ai propri dipendenti di operare in gruppo. Per la stessa ragione, il 63,9% ha fatto ricorso a servizi per l'interscambio di file e di documenti. Il 73,9% delle Pmi ha fornito ai propri dipendenti strumenti per la produttività individuale (computer, tablet o smartphone) mentre ben il 20,5% delle realtà ha contribuito, in tutto o in parte, alle spese sostenute dal personale per connettersi alla rete da remoto: alcune aziende hanno anche fornito elementi di arredo ai dipendenti che lavoravano da casa. Tuttavia, tra le Pmi italiane cresce il desiderio di tornare alle vecchie abitudini: nel 28% dei casi le aziende hanno notato che la coesione del gruppo di lavoro è diminuita a causa dell'introduzione del lavoro agile. E così, il 62% delle Pmi manterrà la possibilità per i propri dipendenti di operare da remoto, ma il 45% ridurrà l'intensità con cui sarà consentito ricorrere a questa soluzione. Per il 91% delle aziende con meno di 250 dipendenti il ruolo dell'ufficio resta centrale per lo svolgimento delle attività lavorative.
"I nostri Market Watch stanno mappando un universo complesso ma dinamico come quello delle Pmi, che si confermano l'ossatura del sistema economico italiano. Dal nostro osservatorio si evincono alcuni trend ma anche le sfide di queste imprese per la ripresa post covid", ha spiegato a Panorama.it Raffaele Zingone, condirettore generale e chief commercial officer di Banca Ifis. "Ci sono dati positivi che riguardano l'accelerazione del percorso di digitalizzazione e la propensione all'innovazione che, per una impresa su due, non ha subito freni nel biennio 2020-21. Un messaggio di positività che purtroppo si scontra con i diversi impatti che la crisi pandemica ha avuto in taluni settori, come l'Horeca, salvo eccezioni e slanci innovativi importanti come il fiorire di servizi di food delivery. Per fortuna, le aziende continuano a investire in formazione, business automation, processi, ricerca e sviluppo: di questo abbiamo trovato conferma nelle nostre indagini, che stimano una tendenza positiva anche per gli anni a venire, nel corso dei quali la sostenibilità rappresenterà un fattore importante per l'attenzione al territorio e alle comunità, ma anche un vantaggio competitivo".
L'innovazione tecnologica ha modificato anche il rapporto delle Pmi con le banche: il 64% delle imprese è sempre più a suo agio con l'uso dei canali digitali e predilige i servizi di online banking, anche se la relazione umana e di fiducia resta fondamentale nella scelta del partner bancario di riferimento. La percentuale di aziende che ricorrono ai canali online per vari servizi finanziari sale al 77% nei comparti agroalimentare e automotive; per le richieste di credito le aziende italiane preferiscono comunque il rapporto diretto con un consulente in filiale (65%) ma già il 35% usa le piattaforme digitali per le operazioni di finanziamento. Un mix che Banca Ifis ha già adottato, grazie al modello omnicanale basato su una rete di 26 filiali e sul raddoppio degli investimenti a sostegno di Ifis4business, la piattaforma per le imprese in cui l'utente può gestire i propri prodotti e servizi ma anche acquistarli in autonomia, in modalità paperless, con grande risparmio di tempo. "Anche Banca Ifis, in questo biennio, ha accelerato nella digitalizzazione dei processi in ottica di efficienza, velocità e omnicanalità, e questo ha già portato concreti contributi commerciali al business. L'obiettivo è continuare a incorporare la tecnologia lungo tutta la catena del valore, per offrire ai clienti un'esperienza 'a misura di impresa' e full digital fin dall'inizio", ha aggiunto Zingone. "La soluzione finale più efficiente per l'impresa sarà l'alleanza tra fisico e digitale, ovvero tra una relazione di fiducia e una tecnologia sempre più abilitante".
Infine, non va dimenticata la sempre maggiore attenzione alla sostenibilità, che viene percepita non solo come "dovere", ma anche come strategia di posizionamento competitivo e reputazionale. Secondo l'osservatorio Market Watch Pmi di Banca Ifis, il 67% delle imprese valuta importante l'essere sostenibile, con punte dell'82% nel settore della chimica-farmaceutica e del 75% nella meccanica. Il 38% delle Pmi italiane ha già avviato investimenti in questo senso, ma l'evoluzione green è solo all'inizio e si intensificherà nel prossimo biennio coinvolgendo il 78% delle Pmi. La loro azione è e sarà fondamentale anche in prospettiva: secondo il report "SMEs: Key Drivers of Green and Inclusive Growth", pubblicato dall'Ocse nel 2018, le piccole e medie imprese contribuiscono a una quota compresa tra il 60 e il 70% di tutte le emissioni climalteranti di fonte industriale in Europa. E dall'indagine emerge con chiarezza come il 74% delle Pmi ritenga la sostenibilità una responsabilità che l'impresa ha nei confronti del territorio e della comunità.