Economia
March 22 2022
La guerra rischia di affondare le piccole e medie imprese italiane, già fiaccate dalla pandemia. L’allarme arriva da Conflavoro Pmi, associazione che rappresenta queste realtà a livello nazionale e che ha portato le loro istanze al tavolo di lavoro convocato dal ministero dello Sviluppo economico venerdì scorso.
Le conseguenze dell’aggressione al popolo ucraino, definita dall’associazione “una vile violazione dei diritti umani”, sono numerose e ad ampio raggio: dal punto di vista economico, osserva Conflavoro Pmi, “il conflitto ha già portato anche in Italia una nuova pesante ondata di inflazione mettendo in difficoltà, in una prima fase, i settori più fragili del nostro Paese e poi praticamente estendendosi a tutte le imprese, provocando nuovi danni permanenti sull’intero sistema imprenditoriale nazionale”.
Per questo motivo, denuncia l’associazione, per le piccole e medie aziende appena uscite dal tunnel della pandemia la situazione è molto difficile: oltre l’80% degli iscritti a Conflavoro Pmi sta già introducendo una serie di misure “salvaimpresa”. Migliaia di attività, infatti, hanno dovuto aumentare tra il 15% e il 60% i prezzi, con inevitabili impatti sulle tasche dei consumatori. Il 65% ha già dovuto provvedere al taglio dei costi extra, e oltre il 20% è stato costretto a licenziare. Calano anche le previsioni sugli ordini e il saldo previsionale sulla produzione, mentre allo stesso tempo risultano in aumento per almeno il 40% delle piccole e medie imprese le tempistiche di incasso dei crediti, che ormai superano i 60 giorni. In più, l'impatto sulla spesa delle famiglie diminuisce il loro potere d’acquisto, sottraendo risorse alla spesa in altri beni e servizi, frenando i consumi e quindi impattando sull’attività produttiva.
“La situazione è drammatica, dopo la pandemia ci aspettavamo una ripresa ma invece è arrivata una nuova batosta, che si somma alle preoccupazioni per il rischio di una terza guerra mondiale”, spiega a Panorama.it Roberto Capobianco, presidente di Conflavoro Pmi. “Questa situazione frena i consumi e la crescita, perché le imprese per lavorare hanno bisogno di tranquillità. Chiediamo quindi al governo di intervenire con misure drastiche come quelle adottate in pandemia”. Come nel 2020 servono, secondo Capobianco, “azioni forti che possano aiutare le imprese a superare anzitutto la crescita spropositata dei costi dell’energia e dei carburanti, che il decreto del governo, di cui lunedì 21 marzo si attende ancora la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, non basta a coprire”. Tutto questo, “unito alle difficoltà di reperire materie prime come il grano e ai blocchi dell’export e dell’import dovuti alle sanzioni, crea alle nostre imprese una serie di difficoltà che non ci permettono di ripartire”.
Tra i settori più colpiti c’è quello dell’ospitalità: i costi dell’energia, uniti al crollo dei flussi turistici (nel 2021 in Italia si è registrato oltre il 72% in meno di presenze rispetto al 2019), e all’addio dei turisti russi di alta fascia (che erano stati 1,8 milioni nel 2019) porteranno nel 2022 migliaia di alberghi a una situazione di crisi. E quelli che riusciranno ad affrontare la stagione estiva saranno costretti ad aumentare le tariffe per cercare di tamponare un minimo le perdite, denuncia l’associazione. Non se la passano bene nemmeno il settore alimentare, che sta vedendo una riduzione significativa del margine di profitto a causa dell'aumento dei costi delle materie prime, dell’energia e del gas, e quello metalmeccanico, che sconta, oltre ai rincari dell’energia, anche le carenze di materiale ferroso e la cancellazione delle esportazioni verso la Russia, che per alcune realtà rappresentano più del 50% del fatturato.
Per Capobianco “accanto agli sforzi diplomatici internazionali necessari per giungere alla pace, servono aiuti per le imprese che hanno avuto un calo del fatturato dovuto al conflitto, sulla falsariga dei ristori erogati durante la prima fase della pandemia”. Non solo: secondo il presidente di Conflavoro Pmi “serve sostegno concreto anche per le aziende che non riescono a fronteggiare i rincari di energia elettrica e gas”. Le misure finora adottate dal governo, “nonostante la buona volontà, non sono sufficienti: per esempio, il credito d’imposta del 12% previsto dal dl del 18 marzo per le piccole e medie imprese con potenza maggiore di 16,5 Kw non può molto, a fronte di un rincaro del 30% del prezzo dell’energia. Senza uno scostamento di bilancio e lo stanziamento di fondi europei ad hoc, come fu fatto nel 2020, non possiamo farcela. Chiediamo aiuti concreti per superare questo periodo difficilissimo”. E anche sul fronte dei carburanti “la riduzione delle accise di 25 centesimi per litro per 30 giorni serve a poco”, osserva Capobianco. “Gli aumenti dei prezzi di carburanti e materie prime sono iniziati già a partire dall’autunno del 2021, e noi da tempo chiediamo al governo di venire concretamente in aiuto dei cittadini e delle imprese italiane. Le realtà che vengono fuori da due anni di pandemia non hanno tra l’altro la liquidità per affrontare questa emergenza. Chiediamo quindi un nuovo decreto liquidità”.