Economia
March 31 2023
Negli ultimi giorni il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è stato messo sotto la lente di ingrandimento e il governo di Giorgia Meloni accusato dall’opposizione di essere troppo in ritardo, rispetto ai tempi dettati dall’Ue. Alcuni membri dell’Esecutivo, da parte loro, hanno invece puntato il dito contro il governo Draghi accusandolo di aver mal programmato la gestione del Pnrr e di aver collocato i soldi in progetti che non saranno mai pronti entro il 2026. Chi ha ragione?
Per rispondere a questa domanda si devono guardare i numeri e i vari documenti pubblicati dal governo Draghi e dall’allora ministro dell’Economia, Daniele Franco.
Partiamo con l’analizzare gli ultimi due documenti pubblicati ovvero la Nadef (nota di aggiornamento al Def) e la Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr del 5 ottobre 2022. Dalla prima emerge come si sia attuata una significativa riduzione delle risorse, derivanti dal Pnrr, usate nel corso dell’anno. Queste sono infatti passate dall’essere pari a 33 miliardi (stima fatta nel Def 2022) a solo 20,5 miliardi (dato aggiornato Nadef). Si tratta dunque di una minore spesa di circa 13 miliardi di euro. Franco nel documento precisava inoltre come la riduzione fatta per il 2022 sarebbe stata compensata negli anni finali del Piano: “Sebbene la proiezione di spesa (relativa al Pnrr, ndr) per il 2023 venga anch’essa lievemente rivista al ribasso (mentre salgono quelle per il 2025-2026)”. Quindi, i dati pubblicati sulla Nadef certificano come nel 2021 la spesa dei fondi legati al Pnrr è stata di 5,5 miliardi, nel 2022 di 15 miliardi e nel 2023 dovrebbe salire vertiginosamente a ben 40,9 miliardi. Cioè più del doppio, rispetto agli anni passati. “L’ammontare di risorse effettivamente spese per i progetti del Pnrr nel corso di quest’anno (2022, ndr) sarà inferiore alle proiezioni presentate nel Def per il ritardato di avvio di alcuni progetti che riflette, oltre ai tempi di adattamento alle innovative procedure del Pnrr, gli effetti dell’impennata dei costi delle opere pubbliche”, scriveva Franco.
Altro punto interessante, che si trova all’interno della “Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr” riguarda i progetti sui quali sono stati fatti gli investimenti. Viene infatti certificato come 11,7 miliardi di euro sono imputabili a “progetti in essere” che sono tutte quelle disposizioni antecedenti al Pnrr che poi successivamente sono state fagocitate nel programma. Si tratta dunque di misure che si trovano “in una fase attuativa più matura”, si legge dal documento. Di quali parliamo? “degli investimenti relativi alla realizzazione di opere e infrastrutture (come gli interventi connessi al potenziamento dei collegamenti ferroviari), gli investimenti legati all’ecobonus e al sisma-bonus e quelli finalizzati a sostenere la trasformazione tecnologica delle imprese (come le misure legate al Piano Transizione 4.0)”. Ovviamente, precisa il testo, “a partire dal 2023, si prevede invece un sostanziale incremento delle spese legate a nuovi interventi".
Ma andiamo avanti e analizziamo goal conseguiti dal governo Draghi. Entro il 31 dicembre 2021 il Pnrr richiedeva il raggiungimento di 51 risultati (49 erano traguardi e 2 gli obiettivi) dei quali 27 riferibili a riforme e 24 ad investimenti. Obiettivo centrato. Al 30 giugno 2022 si richiedeva, per l’ottenimento del pagamento della seconda rata da parte dell’Ue, di raggiungere 44 traguardi e 1 obiettivo, relativo relativo alle assunzioni di personale nei tribunali amministrativi. Anche in questo caso quanto richiesto è stata fatto, e infatti abbiamo ottenuti i soldi della seconda tranche di finanziamenti. E dunque, tra il 2021 e il 2022 il governo Draghi ha realizzato 93 traguardi e solo 3 obiettivi (nel 2023 si dovranno invece raggiungere 43 traguardi e ben 53 obiettivi). L’aspetto interessante è “scoprire” che i traguardi altro non sono che risultati qualitativi (es: riforme, norme), mentre gli obiettivi sono i risultati quantitativi e concreti oggettivamente misurabili nell’ambito dell’attuazione di un determinato intervento. Quindi, sì, è vero che Draghi ha rispettato i termini del Pnrr ma grazie al fatto che la prima parte del cronoprogramma prevedeva principalmente l’approvazione di norme e l’avvio di bandi. Eredità, quella lasciata, non poi così brillante come ci si poteva aspettare.