Pogba, il peggiore affare della Juventus

La positività al testosterone che rischia di mettere fuori dai giochi a lungo Paul Pogba è solo l'ultimo capitolo di un rientro alla Juventus che i dirigenti bianconeri non avrebbero potuto immaginare peggiore, nemmeno nel più terribile degli incubi. Un disastro tecnico, economico e di immagine perché il francese, riabbracciato dopo la sua stagione inglese, doveva rappresentare insieme a Vlahovic la certificazione che anche nel nuovo corso di 'spending review' targato Maurizio Arrivabene l'obiettivo rimaneva vincere.

Non è andato nulla per il verso giusto e i numeri dell'impiego in campo del francese restituiscono una fotografia impietosa, ma veritiera, dell'intera operazione: 161 minuti in campo nella scorsa stagione e 52 in quella appena iniziata. Stop. A fronte di un investimento tecnico sull'uomo che doveva diventare il faro di riferimento del centrocampo della squadra e che, proprio in virtù di questa mission e dello status di campione del mondo e stella internazionale, ha strappato un contratto lungo (2026) e oneroso (10 milioni netti, pur alleggeriti dal Decreto Crescita).

Soldi buttati via in un crescendo di infortuni, incomprensioni, atteggiamenti poco rispettosi dei bisogni del club e una progressiva marginalizzazione nel progetto tattico. Fino allo choc della positività che, se confermata e non adeguatamente motivata nel percorso stretto e in salita davanti ai giudici dell'antidoping, rischia di essere il punto finale della carriera del francese.

E' chiaro che la Juventus non poteva immaginare tutto questo. E' evidente, però, che qualche segnale d'allarme fosse scattato anche in Inghilterra ed è stato sottovalutato o non colto. Pogba era già un giocatore fragile e a rischio, non solo dal punto di vista fisico ma anche comportamentale. Nelle tre stagioni precedenti con la maglia del Manchester United era stato costretto in infermeria da guai vari per 487 giorni complessivi. Uno su tre.

Quando nel luglio scorso il centrocampista ha scelto di non farsi operare al ginocchio dopo l'infortunio subito in tournée negli Stati Uniti, il club non aveva potere per imporre la soluzione più logica e funzionale per tutti, ma ne ha subito le conseguenze e di fatto il rientro non è mai avvenuto. Problemi fisici e di relazione: che fosse attorniato da un contesto non semplice, anche a livello familiare, era noto da tempo. Anche la vicenda processuale del fratello ha inciso psicologicamente, come lo stesso Pogba ha confermato.

Ora l'ultima mazzata. Dal punto di vista tecnico Allegri non perde molto, semplicemente perché non ha quasi avuto a disposizione Pogba e, dunque, non ne ha ricevuto nulla in campo. Il danno di immagine è però notevole per una società che sta faticosamente uscendo da un'altra tormentata vicenda di giustizia sportiva e ora si trova di nuovo sulle prime pagine. Nel caso doping la Juventus è vittima, ma dovrà comunque occuparsi anche delle ricadute comunicative. Sul piano legale, se confermata la positività, Cristiano Giuntoli potrebbe tagliare Pogba, rescindere il ricco contratto e ottenere almeno il risultato di alleggerire i conti.

Una terapia d'urto molto pragmatica ma non indolore. Un bivio che la Juventus si sarebbe volentieri risparmiata in una vicenda in cui, comunque vada a finire, avrà perso. Perché Pogba doveva rappresentare la garanzia di voler tornare a vincere in fretta e, invece, si è rivelato un boomerang. Come nei peggiori incubi dai quali fai fatica a svegliarti.

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