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August 10 2018
Mi piace l’idea di rilanciare i partiti facendo spazio alle seconde e terze file. Purché non sia un’operazione di facciata, gli italiani non sono stupidi e ne farebbero pagare un prezzo perfino più caro a chi bluffa. Basta guardare come è finito Matteo Renzi. Avanti una nuova generazione politica, dunque, per battere i populisti che proprio sul ricambio e sulla «novità» hanno vinto.
Non mi ha mai appassionato la rottamazione generazionale come programma politico perché credo che l’esperienza e l’età siano valori aggiunti e non il contrario. Però l’esperienza e l’età diventano spesso incrostazione di potere, attaccamento alla poltrona e un tappo per le generazioni a seguire. La verità è che bisognerebbe sempre puntare sui più bravi a prescindere dall’anagrafe. Succede poco nelle aziende, figuriamoci in politica. Ho visto colleghi mediocri fare carriera perché sapevano muoversi bene con le relazioni «giuste» o perché sapevano dire soltanto sì, ho visto colleghi bravi ostacolare quelli dietro di loro che stavano diventando più bravi, ho visto capi che per difendere le rendite di posizione circondavano di mine la loro postazione. Così fan tanti, ma non mi è mai piaciuto.
In politica è lo stesso se non peggio. Generalizzare è sbagliato ma vi sembra che nel complesso la nostra sia una buona classe politica? A me no. Non mi scandalizza saper gestire il proprio bacino elettorale, il legame col territorio, il radicamento, non mi scandalizzano i professionisti della politica (avercene…). Mi scandalizza quando il professionismo si fa clientelismo, quando si arriva in posti di assoluto rilievo sociale ed economico per difendere la propria poltrona. Mi scandalizza quando la politica diventa un’ipoteca non sul futuro del Paese che si serve, ma sul proprio futuro. Altro che reazioni di pancia, mi imbestialisco.
Credo che i populisti abbiamo vinto per questo andazzo più che per la bacchetta magica che vogliono farci credere di avere. «Spazziamo via questa classe politica», è stato il messaggio che milioni di persone hanno mandato. Anche la rottamazione renziana era stata vista come un’occasione simile. Fu quel vento a portarlo al quaranta per cento e poi nella polvere quando si capì che i rottami nemici andavano eliminati indiscriminatamente.
Non basta mettersi un vestito nuovo per essere una persona nuova (e molti politici gialloverdi sono lì a dimostrarcelo) ma il 4 marzo gli italiani hanno voluto cambiare guardaroba. Si sono trovati davanti il movimento fondato sul Vaffa di un comico, una Lega che grida contro il sistema anche quando di quel sistema ha fatto parte e hanno detto: «Proviamo».
La nostra politica è stata lasciare ammuffire per troppo tempo e adesso non basterà una mano di pittura. Bisognerà spalancare porte e finestre per fare entrare aria fresca, facce nuove su teste nuove. Quando ho letto che Berlusconi ha chiesto a Tajani di andare in quella direzione e che anche nel Pd di fronte all’attuale giostrina dell’apparato c’è chi chiede una trasformazione vera, ho pensato: era ora. I «vecchi» (quelli bravi) facciano gli allenatori di un squadra composta dalle riserve migliori. E non si tratta di fare un’operazione soltanto anagrafica o di trasformare i ras locali in ras nazionali o di dare qualche strapuntino a chi sgomita sentendosi già il padreterno. Perché se così fosse sarebbe poi davvero la fine. Ormai si guarda alle auto elettriche, altro che usato sicuro.
raffaele.leone@mondadori.it
(Questo articolo è stato pubblicato sul n. 34 di Panorama, in edicola dal 9 agosto 2018 con il titolo: “I soliti noti”)