Costume
February 24 2024
Sono troppo vaste, indefinibili e sfuggenti le sfumature della musica classica per poterle catturare in un colore. Uno, forse, ne afferra di più: il verde. Non per una vaga speranza, ma per una sostenibilità applicata allo spirito: l’ascolto è ecologia della mente, terapia dal rumore, antidoto alle interferenze e le disarmonie del quotidiano brusio. Il verde contiene una promessa di rifioritura, lo sbocciare di un continuo rinnovo. È una perenne capacità di rinascita, un magnetismo senz’età, una fascinazione per qualunque generazione. Così diventa logico spiegare perché l’orchestra «I pomeriggi musicali» abbia voluto scegliere il verde per raccontarsi e rappresentarsi, dal logo alle comunicazioni ufficiali, fino alla tinta delle poltrone del Teatro Dal Verme che ne ospita le esibizioni. Una sintesi visiva che afferma un piccolo miracolo, mai percepito come tale, mai avvertito come eccezione eccezionale: «Sì, riusciamo a intercettare e incuriosire molti giovani. Gli raccontiamo che non ha senso temere la musica classica, perché deve essere capita giusto in parte, non subito. Prima va gustata, partecipata attraverso le emozioni» spiega Maurizio Salerno, che dopo un’intensa attività concertistica in quasi tutti i continenti è diventato direttore artistico e, dal settembre 2019, direttore generale di quella che è un’istituzione milanese e un orgoglio nazionale. Tutto comincia nel novembre del 1945, con un programma che comprende Mozart e Stravinskij. L’Italia ha ancora nelle orecchie il frastuono della guerra, serve una terapia che tocchi altre corde, esprima note più liete, ristabilisca un equilibrio.
Il progetto resta fedele a sé stesso, sin dalle origini: sposare il repertorio tradizionale con la contemporaneità; unire consueto e consolidato con le avanguardie. «Che poi sono tali fino a un certo punto, appena per un momento. Non dimentichiamo che Beethoven, prima di diventare un evergreen - ecco il verde che ritorna - era criticato nel suo tempo perché troppo innovativo. Bisogna avere il coraggio di osare, alla fine sarà il pubblico a decidere» osserva Salerno, abile a spaziare tra il solido e lo scivoloso, la nicchia e il pop, gli artisti emergenti e quelli già abitudinari degli applausi. Nelle stagioni dell’orchestra hanno trovato posto Claudio Abbado, Riccardo Muti, Uto Ughi e moltissimi altri giganti. L’elenco completo è sterminato. Solo la pandemia è riuscita a spegnere la musica dal vivo, per il minimo necessario: «Siamo stati i primi a ripartire in tutto il Paese. Non era fretta, era sollievo. Era cercare di tornare il prima possibile alla normalità». Un ricorso storico, come dopo la guerra, stavolta come inno alla gioia in risposta a una quiete forzata.
L’orchestra ha raggiunto la stagione numero 79, con un cartellone che andrà avanti fino a maggio (l’elenco completo dei concerti e i biglietti sono sul sito ipomeriggi.it). La cronaca è quella di un successo, testimoniato dalle cifre prima che dalle sensazioni, dal panorama di una sala spesso piena: gli abbonati, rispetto a un anno fa, sono aumentati del 40 per cento. È l’allungarsi di quella scia che ha obbligato a un tradimento del proprio certificato di battesimo: i Pomeriggi si chiamano così perché si svolgono di sabato e finiscono in tempo per andare presto a cena; oggi, accanto all’appuntamento canonico, c’è quello del giovedì sera. Si sconfina nel calendario: non si lascia, si raddoppia. «E poi la musica non ha necessità di collocazione, non ha il suo istante giusto o più adatto. È bellezza esprimibile in ogni momento». La stagione in corso ha un nome, «Strumenti dell’anima», che abbraccia un orizzonte di significato: «In una città caotica come Milano, pianoforte, flauto, arpa e affini sono un’isola verde, un abbandono condiviso, il privilegio di un allontanamento. Una dedica a sé stessi».
Si accennava prima alle iniziative per i ragazzi, dai concerti per le scuole, con migliaia di studenti partecipanti, agli «Altri pomeriggi», la rassegna dedicata agli under 30, con una media di 70 presenze ad appuntamento, fino ai «Piccoli pomeriggi musicali», dove a esibirsi sono i giovanissimi dell’accademia di formazione orchestrale che ha sede presso il teatro. «Ne sono consapevole, mi rendo conto che siamo sulla soglia degli ottant’anni» dice a un tratto Salerno, prevedendo la domanda: «Questo progetto, però, non è mai stato un traguardo, ma un investimento per la continuità di un genere musicale che parla una lingua universale. È semplicità nella complessità: anche chi non riesce a decifrare grammaticalmente tutto il lavoro dietro una partitura, viene toccato al cuore». A livello pratico, l’obiettivo sarà allungare il tempo del teatro, non farlo coincidere solo con la durata del concerto. «Vorrei possa diventare uno spazio sociale d’incontro e approfondimento, un luogo dove soffermarsi e ritornare». Un’estensione di quanto viene già fatto con i ragazzi, invitati a prendere un aperitivo con i protagonisti che poi salgono sul podio. «Si accorcia una distanza, si scioglie una rigidità, si scalda l’apparente freddezza della musica classica». Che con queste premesse e promesse, avrà una sicura longevità. Un futuro roseo, anzi verde, comunque a colori.