pompei villa dei misteri
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Italia

Pompei, i “Misteri” di una Villa…

Pompei dono del Vesuvio. Può sembrare una blasfemia ma la storia avrebbe dimostrato come solo al tragico evento della sua eruzione del 79 d.C. dobbiamo la resurrezione della città. Alle vittime di quel dramma ci vincola un obbligo di riconoscenza, che è diventato di meraviglia, di stupore, di gratitudine storica. Come lo ricorda, Vittorio Russo, casertano di Castel Volturno, classe 1939, capitano di lungo corso, giornalista, viaggiatore e scrittore di saggi e racconti, che da una vita dedica reportages e saggi da ogni parte del mondo, come l’ultimo Pigafetta e Magellano - Un viaggio alla fine del mondo (Sandro Teti Editore, 2023) con prefazione autorevole di uno storico del calibro di Franco Cardini.

Comandante Russo, Pompei è un pezzo di storia che vive!

«Sgraniamo lo sguardo stupiti innanzi a una dimensione d’inimmaginata civiltà, ritrovata come per un miracolo di serendipità. Dovremmo imparare a percepire la morte degli oltre 15 mila cittadini di Pompei alla stregua di un’immolazione sacrificale a un dio senza volto che difende il passato dall’usura del tempo. Una coltre di cenere dello spessore di oltre sette metri ha preservato questo luogo ancora non del tutto svelato. Questa città ritrovata è un unicum nel quale la vita si è fermata di colpo dando a noi la possibilità di osservarne lo svolgersi e percepire il livello della sua insuperabile cultura».

In questo crogiolo di storia, civiltà e bellezza spicca una testimone della raffinatezza artistica della città sepolta: la Villa dei Misteri.

«È questa una dimora che accoglie un grandioso ciclo pittorico, una megalografia dal significato eternamente oscuro malgrado gli innumerevoli tentativi di interpretazione da parte di infaticabili esegeti. La Villa, portata alla luce agli inizi del secolo scorso, è un complesso che risale all’età augustea, collocato su una lieve altura da cui si godeva una incantevole veduta sul Golfo delle Sirene, oggi non più visibile per le modifiche morfologiche del territorio. La sapiente scelta del sito dice tutta la raffinatezza dei proprietari o di colei che viene identificata come la “Domina”, la Signora, la padrona di casa».

Una storia nella Storia…

«Lei, la protagonista immaginata del segreto più ricco di emozioni della Villa, è pure la probabile protagonista dei celebri affreschi, quelli delle tre pareti del suo triclinium (il locale in cui veniva servito il pranzo nelle case degli antichi romani, nda). In realtà nulla è ancora definitivamente noto di questa abitazione, neanche il nome di chi l’abitava (si conosce però quello di un liberto, tale Lucius Istacidius Zosimus trovato su un sigillo, che potrebbe esserne diventato il proprietario)».

Molti segreti la Villa ancora nasconde, tutti da svelare.

«Sicuramente in continuità con il tema degli affreschi. Va detto pure che all’epoca dell’eruzione essa aveva già subito molteplici trasformazioni ed era, oltre che un raffinato locum otii, anche una tenuta rustica dove molti schiavi svolgevano lavori agricoli. Si tratta sicuramente del sito archeologico più prezioso di Pompei e tra i più visitati al mondo. Ma cosa attira qui il visitatore? Per i più è la sua denominazione stessa, il fascino che il termine mistero sottintende e il desiderio di disvelamento che implica. Ma anche l’aura dell’indecifrabile da esplorare per entrare nella dimensione dell’enigma che è poi lo stimolo stregante più intimo che tutti nascondiamo nel subconscio».

Geniale fu, dunque, la scelta di chiamarla Villa dei Misteri.

«Chi decise questo nome fu Amedeo Maiuri, uno studioso di profonda cultura classica e archeologo geniale, cui si deve la fama mondiale di questo luogo: per primo intuì che per i fedeli del culto di Diòniso (il Bacco dei Romani) proprietari della Villa, il dramma della vita non è nella sua temporalità ma nel trovare una ragione al mistero dell’aldilà. Questa dimensione, con la contrapposizione di apollineo e dionisiaco, ha insuperabilmente interpretato Friedrich Nietzsche nel suo “La nascita della tragedia”. E con questa convinzione pure, Maiuri colse il contenuto “misterico” (nell’accezione che sto per dire) legato ai riti del dio dell’ebbrezza degli affreschi parietali. Per primo egli percepì il senso dell’oltre vita secondo la sensibilità della gente di quel tempo resa nella sintesi del fulgore ermetico dei dipinti»

Il termine “mistero” ha una lunga storia etimologica…

«Nel passato più lontano identificava insegnamenti e dottrine segrete che venivano rivelate esclusivamente a seguaci vincolati attraverso severi riti iniziatici a non svelarne il senso nascosto. La radice della parola mistero (in greco mysterion) è contenuta nel monosillabo “muo” che equivale a “chiudo” (s’intende la bocca). “Muo” è la radice dell’italiano “muto” ma anche “mistico”. L’adesione ai misteri dionisiaci mirava al raggiungimento della liberazione dal taedium vitae e dalla provvisorietà dell’esistenza in una certezza di rinascita dopo la morte. Proprio come insegnava il mito di Diòniso risorto dall’oltretomba».

Nel complesso architettonico, forte è il messaggio religioso e filosofico.

«Il desiderio di “resurrezione”, che è il tema di quasi tutti i culti misterici, da cui molto ha mutuato anche il pensiero cristiano, comprova che per gli antichi la vita non era solo mera sopravvivenza ma bisogno di immortalità. Va da sé, poi, che Diòniso, così come le divinità degli altri culti misterici, è allegoria della ciclicità della natura che nella drammatizzazione esoterica diventa figura salvifica degli adepti ai suoi riti. Il percorso per giungere al risveglio dopo la morte implicava vari gradi di iniziazione attraverso esperienze di ebbrezza e di estasi».

La sua descrizione affonda le radici in temi classici…

«La liberazione da ogni freno inibitore e la soppressione di tutti i limiti conduceva all’ “entohusiasmein”, da cui entusiasmo, ossia la possessione del fedele da parte di Dioniso stesso che, essendo ritornato in vita, diventava pure figura soterica e promessa di gioia di vivere e rinascita dopo la morte. All’ebbrezza si perveniva attraverso danze compulsive sotto gli effetti del vino, con canti orgiastici e ritmi tumultuosi tipici del culto dionisiaco detti ditirambici».

La villa è famosa per il suo ciclo pittorico…

«Le tre pareti del triclinio della Villa accolgono per la massima parte della loro superficie un ciclo pittorico di dieci sequenze con figure a grandezza naturale su sfondo rosso. Con sapienza magistrale e grande scelta cromatica, l’autore ha fissato su di esse un complesso racconto allegorico che ha per tema l’enigma eterno di eros e morte».

Siamo al “Simbolismo ante litteram”…

«Infatti! Il racconto è rivolto a iniziati che conoscono il messaggio segreto dei simboli rappresentati dalle immagini, simboli che non si svelano perciò a un pubblico profano. È evidente che la narrazione è volutamente e necessariamente criptica. Lo scopo dell’artista era solo quello di indicare attraverso forme e segni la ragione di un’adesione al culto del dio dell’ebbrezza in vista di una liberazione dalla morte nell’aldilà».

Non è facile dare una spiegazione razionale alle figure.

«Purtroppo sì, perché manca la chiave di lettura del significato ultimo di mistero, ignoto peraltro anche ai livelli più elevati fra gli iniziati (mystes). Tuttavia, a un’osservazione attenta, colpiscono traslati puntuali e ripetuti che caratterizzano la ritualità del culto a Dioniso, oltre a forme subliminali decifrabili solo dopo un'analisi minuziosa».

Così, ad esempio, colpisce il frequente colore viola!

«Colore che richiama il mito di Diòniso e Ametista secondo cui questa ninfa, inseguita dal dio ubriaco, avrebbe invocato Artemide perché la proteggesse e la dea l’avrebbe trasformata in una statua di cristallo. Ripresosi dalla sbornia e pentito, Dioniso avrebbe pianto lacrime amare, di vino naturalmente, che avrebbero colorato di viola la statua di Ametista (che in greco significa “senza ubriachezza”)».

Da qui il colore caro al dio?

«Certo. Tuttavia, numerose sono pure le figure falliche talvolta appena adombrate e mascherate sotto forma di nastri, di rotoli di papiro, di orecchie aguzze oltre che, ben evidente, nella scena della giovane scalza colta nell'atto di scoprire il cesto con il fallo di Diòniso, simbolo della forza generatrice della natura».

L’aspetto più singolare di questo capolavoro è l’atmosfera di malinconia tragica che grava su tutti i volti dei personaggi raffigurati.

«Essi sembrano voler prefigurare la sorte della città che sta per essere ingoiata da un oceano di fuoco, ma anche a preannunciarne una futura resurrezione raffigurata nella figura conclusiva del ciclo pittorico. L’ultima scena descrive, infatti, il momento in cui la tristezza si scioglie nella posa dinamica di una giovane donna nuda che danza con piedi lievi e cembali sonanti fra le dita. Proprio la nudità potrebbe esprimere la verità della conoscenza suprema culminante nella liberazione dell’iniziata che, raggiunta l’ebrezza, è pronta a ogni abbandono senza remore».

Chissà quali altri enigmi nasconde l’affresco!

«Le domande sono tante: quale sia stata la motivazione che ne ha giustificato la realizzazione in questa villa suburbana e quali segreti celi sui proprietari e sulla sua Domina, sono ulteriori inesplorabili enigmi! Segreti che lasceranno avanzare altre ipotesi ancora, non meno ardite forse e intriganti di quelle passate, contrarie comunque allo scopo che l’autore si prefiggeva. Sul mysterion graverà, difatti, freddo e insondabile il buio anche se mille occhi spieranno in ogni sua piega per svelarne la chiave. Perché tutto è commensurabile, anche la follia, ma nulla potrà mai colmare l’abisso in cui sprofonda l’incomprensibile generato dal delirio dell’ebbrezza».

Alla sua professione di comandante di lungo corso ha abbinato una corposa attività pubblicistico-editoriale.

«Il viaggio come professione lavorativa ha sempre prodotto nuova linfa vitale: nel senso che dai miei viaggi in giro per il mondo per “motivi lavorativi” sono nati libri che intrecciano geografie, mito e storia come: India mistica e misteriosa (2008), Sulle orme di Alessandro Magno (2009) e L’India nel cuore per Baldini e Castoldi (2012) premio letterario Albori 2012 e finalista al premio Rea 2013. Equatore, pubblicato nel marzo 2019 da Cairo Editore, L'Uzbekistan di Alessandro Magno (candidato al Premio Viareggio Rèpaci Ed. 2021), Racconti di viaggi geografie storie e cose (Sandro Teti Editore, 2021)».

Viaggiare è?

«Vivere, conoscere, maturare. Soprattutto quando i “misteri” diventano parte integrante. Come sotto la cenere di Pompei…».

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