Economia
July 04 2022
La cura rischia di essere peggiore del male. E’ questa, in sintesi, la sensazione che molti osservatori hanno rispetto al via libera alle sanzioni nei confronti di titolari di partita Iva che non accettino pagamenti attraverso la moneta digitale (carte o bancomat).
Dal 30 giugno, infatti, gli esercenti non provvisti di Pos possono essere denunciati e sono sanzionabili con un’ammenda di 30 euro cui si aggiunge il 4% del valore del pagamento rifiutato.
In questo modo si rende operativo il decreto legge 36/2022 convertito nella legge 29 giugno 2022 n. 79 che introduce, appunto, sanzioni nel caso di rifiuto dei pagamenti tramite Pos. L’obbligo di pagamento elettronico, infatti, è stato introdotto nel 2012 ma, fino a oggi, non erano previste ammende in caso di mancata applicazione. Questo ha fatto sì che negli anni molti esercenti non si mettessero in regola con il Pos e continuassero a negare questa forma di transizione.
La norma è stata elaborata nell’ambito della campagna di lotta all’evasione fiscale portata avanti dal Governo ma rischia di trasformarsi in un buco nell’acqua per tutta una serie di fattori come spiega a Panorama.it il Professore Giovanni Lepre, economista e consulente fiscale.
“La sanzione – precisa il Professor Lepre - scatta nel momento in cui viene registrata la denuncia di chi si visto rifiutare il pagamento con carta o bancomat. Quindi questo procedimento implica il fatto che il privato cittadino debba prendersi il fastidio di recarsi fisicamente presso la Guardia di Finanza o presso un ufficio dell’agenzia delle entrate e firmare la denuncia. A parte il tempo che perde l’utente, bisogna aggiungere il tempo che perderà il funzionario o il militare che riceverà la denuncia; dopodiché l’incaricato dovrà recarsi presso l’esercizio per notificare il procendimento investendo ancora una volta tempo e risorse e rendendo ancora più lenta la macchina burocratica con il risultato che costerà molto di più allo stato il far applicare la legge rispetto a quello che ne ricaverà in termini erariali. Pensiamo all’esempio del caffè da 1 euro. L’ammenda sarà di 30 euro più 0,04 centesimi di euro. La persona che ha tempo da perdere per andare a fare la denuncia perché il barista non ha fatto pagare il caffé col bancomant fa sì che lo Stato metta in campo così tante forze che sicuramente costano di più rispetto ai 30,04 euro che ne ricava lo Stato. E’ una lotta che allo Stato non conviene fare”.
In che direzione bisognerebbe concentrare le forze allora?
“Bisogna concentrare la lotta all’evasione non su queste piccolezze, ma sulla grande evasione fiscale. Noi abbiamo 110 miliardi di evasione l’anno di imposte, ma solo una minuscola parte di questo tesoretto è concentrata nelle piccole evasioni però la grande evasione va ricercata altrove. Si pensi per esempio a quello che sta succendo con il bonus 110%. Leggiamo di due persone che hanno portato 442 milioni all’estero per le frodi fatte con il superbonus. Queste sono le lotte serie. Le sanzioni sul Pos obbligatorio finiscono per creare solo intoppi burocratici al piccolo commerciante, all’utente e allo Stato che mette delle forze in campo la cui resa è minore del costo della forza messa in campo”.
Inoltre, a quanto pare, come si suo dire, “fatta la legge trovato l’inganno” come spiega sempre il Professore Lepre
“La sanzione non è prevista in caso di un problema tecnico con la macchina. Pertanto può succedere che l’esercente addirittura metta fuori uso il Pos mentre il cittadino va a fare la denuncia e così non paga la sanzione. A questo va aggiunto che i pagamenti con Pos non entrano neppure nell’ambito della cosiddetta lotta al contante perché chi vuole pagare con i contanti continuerà a farlo”.
Secondo Lei la lotta all’evasione fiscale dovrebbe andare di pari passo alla lotta all’utilizzo di denaro contante?
“No, perché la lotta al contante a conti fatti danneggia l’intera economia e lo Stato. Gli italiani hanno circa 200 miliardi di contanti conservati in casa. Denaro che oggi sono impossibilitati a spendere se non nei piccoli acquisti, ma una persona che ha, per esempio, 100.000 euro in contanti – frutto di lavoro legittimo e guadagnati onestamente – non può comprarsi una casa. E’ un paradosso che rende quasi inutili quei soldi per il contribuente; lo Stato non può averne guadagno erariale e, cosa ancora peggiori, il denaro non viene reimmesso sul mercato e quindi non contribuisce a muovere l’economia”.