(Gaetano Cappelli)
Italia

Potenza della provincia…

Per Gaetano Cappelli, scrittore da sempre attento osservatore della società dei tipi-umani, la “provincia”, come spaccato umano ed ambito territoriale, rappresenta «il terreno fertile su cui seminare e raccogliere storie intime e segrete».

Dialogare con lo scrittore potentino è un’esperienza stimolante: vuoi per il suo profilo professionale che lo ha portato ad essere l’autore lucano contemporaneo -nel senso di vivente- più letto, vuoi per le sue stesse doti personali che lo rendono sarcastico, battutista, sagace, satirico, ironico ed autoironico quanto basta per imbastire una conversazione sui temi che da sempre lo affascinano e che hanno rappresentato l’habitat naturale in cui ambientare i suoi numerosi successi editoriali.

A partire da “Floppy Disc” (Marsilio) nel 1988, un “giallo elettronico”, una spy story che gli permette di rivelarsi come abile intessitore di trame, per proseguire l’anno dopo con “Febbre” (Mondadori) che ce lo consegna alle prese con una “scrittura cinematografica, un noir, un romanzo nero”.

Nel 1991, con “Mestieri sentimentali” (Frassinelli), Cappelli vira bruscamente la propria rotta di scrittura.

«Non più movimentate sparatorie, scenari metropolitani, delinquenti rampanti o imperturbabili femmine fatali, ma la realtà di una provincia periferica, non immune dal progresso, la realtà, cioè, di una Potenza dei nostri giorni».

Ah, il ritorno in provincia…

«Dopo gli studi in filosofia a Roma, avevo fatto ritorno nella mia città e mi interessava scrivere sull’universo che meglio conoscevo: l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro cui si accompagnano le prime scoperte sentimentali e sessuali. Insomma, le storie del doppio incontro con la vita lavorativa ed affettiva, che tutti noi abbiamo vissuto, o che prima o poi viviamo. Erano giovani miei coetanei che descrivevo nel momento più difficile ma anche più entusiasmante: trovarsi un proprio posto nella vita. Il tutto in un Sud aggredito felicemente dalla modernità. E quindi bombardato dalla moda, ma direi le mode, con i nuovi slang in un tourbillon di amori, tradimenti, di nuovo amori».

E così, partendo dal tessuto provinciale e cittadino, lei approda al genere che non avrebbe più abbandonato e che avrebbe decretato il personale successo editoriale.

«La provincia diviene lo spazio metaforico in cui ambientare al meglio ogni narrazione, perché “la provincia” ha il terreno fertile su cui seminare e raccogliere storie intime e segrete. A riguardo è stato scritto che “la provincia viene spiata nei suoi vizi più intimi e segreti, nelle sue noie e nelle sue aspirazioni; la provincia -quella meridionale- è ancora un luogo dove trionfa una piccola borghesia legata alle mode del momento, che ama frequentare i posti giusti e le persone giuste. Che accoglie il forestiero sottoponendolo a una serie di riti di passaggio e assorbendolo nei nostri ritmi”. E questo è un meccanismo assai divertente da descrivere».

Nel 1994, con “Volare basso” (Frassinelli), la tecnica narrativa di Cappelli si affina dando voce a tre personaggi -Uno, Due e Tre- che animano proprio la scena della provincia, ormai divenuta sempre più il paesaggio metropolitano preferito. E lo stesso accade, l’anno successivo, con i racconti di “Errori” (Mondadori), dove all’orizzonte appare una novità non di poco conto.

«Appare l’America, certo dipinta con ironia. Si veda zia Nancy, la maga personale del tenente Colombo, di Jerry Lewis e di Frank Sinatra, impegnata a togliere il malocchio».

Compare il paesaggio, dunque.

«Lo descrivo pensando, ovviamente, a quello visibile dalle finestre delle nostre abitazioni: “è primavera inoltrata e c’è un cielo di un azzurro rabbioso e mentre arranchiamo su questa stradaccia piena di fossi, di curve, è tutto così verde. Sembra proprio di essere in Irlanda, anche se in Irlanda non ci sono mai stato e magari è una palla anche peggio di qui”».

Dopo “Sporco al sole, racconti del Sud estremo” (Besa, 1998) in cui si trasforma in talent scout di giovani scrittori del Sud, Cappelli partecipa a “Disertori. Sud: racconti dalla frontiera” (Einaudi, 2000), e dà alle stampe quello che viene considerato il suo capolavoro: “Parenti lontani” (Mondadori, 2000).

«E’ il romanzo di un giovane orfano che scopre il mondo, dalla provincia lucana all’America mitica delle controculture negli anni Settanta, alla New York culla della spietatezza neocapitalista negli anni Ottanta. L’infanzia di Carlino -il protagonista della trama- segnata dalla complicità con l’idolatrato e maggiorenne amico Pit, vive di scorribande scatenate in macchina per paesi e per campagne avvicinando donne, fumando erba, nuotando per torrenti. E tutti questi riti iniziatici sono già un “mondo nuovo”, sono già qualcosa che assomiglia più alle giovinezze raccontate da Mark Twain, da Hemingway e da Kerouac a quelle dei vari neorealisti, antropologi e meridionalisti italiani».

Un “on the road” lucano…

«Che letteralmente imprime nell’animo di Carlino un marchio avventuroso, vanamente compresso dalle rigide leggi del matriarcato, dal dispotismo non illuminato dalla terribile Nonnilde, dagli imperativi della mentalità arcaica e dall’azienda di famiglia. Coartato ma indomito, guardingo, reso astuto dal controllo donnesco -pur nella remota, dimenticata quinta di una provincia del Sud- Carlino riesce ugualmente a vivere, tappa dopo tappa, tutta intera l’educazione sentimentale del giovane degli anni Settanta».

E qui parte l’armamentario socio-culturale…

«Dai primi approcci amorosi con le sognate “ragazze turist” all’iniziazione musicale al rock, esplosa nel corso di un indimenticabile concerto dei New Trolls (anzi, paesanamente, dei Gnu Droll), alle canne, ai vagabondaggi, al viaggio di formazione hippy a Christiania, alla compagnia di una banda sgangherata e picaresca dove primeggiano Tarcisio, Rino, Apache, lo Svizzero e una polifonia di ragazze, sbandati, emigrati, utopisti di paese, valchirie e “parenti lontani”».

Carlino sogna l’avventura, l’America. Un modo provinciale di proiettarsi altrove?

«L’America s’incarna nel nome e nella severa figura del ricchissimo zio Richard. Eccolo, finalmente, Carlino a New York, nella “Grande mela” popolata da manager alla Wall Street, maghi e guru d’alto bordo, barboni e snob squattrinati, popstar sfiancate e artisti d’avanguardia mistici e sanguinari. Qui s’imbatterà in femmine assatanate, miliardarie bizzose, gangster di mezza tacca e in una ragazza che sembra una favolosa nullità ma che è, invece, destinata a diventare uno dei miti del nostro tempo».

Un intero ciclo di vita vi appare…

«Esilarante, tragicomico, divertente e amaro, dove si vedono maturare e appassire amori, sognare i sogni e raccogliere i cocci dei disastri, scintillare e decadere i miti giovanili di due decenni: è un romanzo dove si raccontano storie, le storie di quelli che scoppiano miseramente e di quelli che scoppiano gloriosamente. E di quelli che passano indenni, naturalmente: ma questa è una sorpresa e come tutte le sorprese, sta alla fine».

Un romanzo di formazione?

«Questo romanzo appare costruito sulla struttura dei romanzi dell’Ottocento, quelli che leggevamo negli anni del liceo, quando il personaggio, protagonista sin da piccolo, te lo gustavi nel corso di tutta la sua formazione, educazione sentimentale e sessuale compresa, fino al suo maturare ed invecchiare, in quel percorso che la vita stessa gli riserverà».

Insomma uno strepitoso coming of age! Eccola la provincia lucana!

«A partire dall’ambientazione paesaggistica: un piccolo paese dell’appennino lucano, venti cugine, una nonna autoritaria, la determinazione a fuggire dal “natio borgo selvaggio”, il sogno americano, sono gli ingredienti che fanno di Carlino un piccolo eroe di qualche decennio fa che -sfido a dimostrare il contrario- non è certo difficile incontrare al giorno d’oggi».

Anche nel successivo “Il primo” (Marsilio 2005), emerge forte la figura di un leader locale.

«E’ la storia di un editor che trasforma in successi i romanzi che gli vengono sottoposti e che Cesare De Michelis aveva presentato come “un romanzo post-moderno, nel quale distinguere la verità dall’invenzione è sempre più difficile”. Nello sport, nell’arte, nella vita: Guido è un ragazzo straordinario, a cui tocca spesso, molto spesso, di essere il primo. A scuola eccelle, a tennis vince, nell’amore conquista nientemeno che Filippa, oggetto del desiderio di tutti i suoi coetanei. Cresciuto nella convinzione che essere “il primo” era un destino, Guido mastica amaro quando scopre che accade anche di perdere e trova la donna della sua vita tra le braccia del rivale oppure è costretto a vendere enciclopedie per tirare a campare».

In “Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo” (Marsilio), del 2007, si materializzano Basilicata, Parigi, la Costa Azzurra e le strade del vino.

«C’è il brillante Riccardo Fusco, rimasto una promessa, che ora deve accontentarsi dell’umiliante ruolo di baby-sitter delle sue quattro figlie, mentre la moglie -regista di successo- si gode i riflettori del mondo della celluloide; e c’è Graziantonio Dell’Arco, vecchia conoscenza del liceo -uno su cui nessuno avrebbe puntato nulla- diventato, invece, uno degli uomini più ricchi e famosi della penisola, produttore del miglior vino Aglianico. Un viaggio nello spazio e nel tempo, con i rispettivi antenati -briganti e latifondisti- che si muovono sullo sfondo del paesaggio del lucano, con tutto quel ricco bagaglio storico-sociale che fa parte della mia trama narrativa».

Potenza, in quell’anno, salì agli onori della cronaca per la celebre inchiesta di “Vallettopoli”…

«La provincia lucana venne catapultata alla ribalta! E in quei mesi mi sembrò di rivivere una di quelle storie che racconto nei miei romanzi: una commedia italiana, come tante ne sono accadute e tante ancora ne accadranno e che difficilmente intaccheranno il sistema di vita della nostra Italia».

TUTTE LE NEWS DI VIAGGI IN ITALIA

YOU MAY ALSO LIKE