Economia
January 25 2016
È iniziato il recupero del petrolio? Dopo essere crollato fino a 28 dollari, il greggio sta ballando intorno a quota 30 dollari. È probabile che nelle prossime settimane la volatilità resti alta. Ma gli esperti consultati da Panorama sono concordi nel sostenere che per l'oro nero sta per iniziare il rimbalzo e le quotazioni potrebbero tormare entro l'anno intorno ai 50 dollari.
Certo, la caduta del prezzo del petrolio che ha perso il 70 per cento rispetto al luglio del 2014 ha alimentato molte paure sui mercati finanziari. A questi valori i produttori americani di "shale oil", il greggio ricavato con la tecnica delle fratturazione idraulica del sottosuolo, non riescono più a coprire i costi e quindi falliscono uno dopo l’altro. E poiché sono indebitati, rischiano di trascinare con sè anche il sistema bancario: insomma, la replica del film già visto sui subprime. Se poi aggiungete la frenata della Cina, le urla di dolore che salgono dal Cremlino, dove il premier Dmitri Medvedev vede "grossi rischi" per la Russia, il cui export dipende per il 71 per cento dall’oro nero e dal gas, e le preoccupazioni per i grandi produttori di materie prime come il Brasile, allora lo scenario per una nuova recessione globale assume contorni sempre più realistici.
I numeri
Ma proviamo a raffreddare i bollori e a cercare di capire che cosa sta succedendo nel mercato dell’energia e quali conseguenze può avere sull’economia. Intanto la discesa del prezzo del greggio non è causato da un calo della domanda: nel 2015 i consumi di petrolio sono cresciuti nel mondo di 1,8 milioni di barili al giorno e dovrebbero aumentare di altri 1,2 milioni di barili al giorno nel 2016.
Segno che l’economia continua a svilupparsi. Il problema è che il mondo produce più greggio di quanto ne consuma: la differenza è di circa 2 milioni di barili ed è il frutto di una drammatica decisione presa dall’Opec, e in particolare dall’Arabia Saudita, il 27 novembre 2014. Quel giorno l’organizzazione, che riunisce 13 tra i maggiori produttori di greggio, decise che non avrebbe ridotto l’estrazione, con l’intento di salvare le quote di mercato e mettere in ginocchio i petrolieri americani. L’obiettivo però non è stato raggiunto.
A sorpresa l’America ha continuato a pompare petrolio difendendo con i denti la posizione di primo produttore al mondo conquistata proprio nel 2014 con 11,6 milioni di barili al giorno, contro gli 11,5 dell’Arabia Saudita e i 10,8 della Russia. Addirittura ha iniziato ad esportare, dopo la cancellazione del divieto che risaliva al 1975: la petroliera Theo T, partita dal Texas il giorno di San Silvestro, ha attraccato nel porto di Trieste nei giorni scorsi portando il primo carico di greggio made in Usa destinato a una raffineria bavarese.
Risultato dello scontro Arabia-Stati Uniti
Depositi stracolmi di scorte, superpetroliere alla fonda in attesa di un compratore per il loro carico (una ventina davanti alle coste iraniane), e prezzi a picco.Per un cittadino italiano questa situazione si traduce in un risparmio di circa 500-600 euro all’anno. "Un automobilista in Italia consuma circa mille litri di carburante all’anno" dice Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. "Il prezzo, sia di gasolio che di benzina, si è ridotto dal 2014 di circa 50 centesimi per litro, pertanto il risparmio è di 500 euro all’anno".
Una tendenza che prosegue: sabato 16 gennaio l’Eni ha sforbiciato i prezzi raccomandati di benzina e diesel di altri 2 centesimi e TotalErg li ha ridotti rispettivamente di 0,5 e 1 cent. Lunedì tagli anche per l’Ip sia sulla verde (-1 cent) che sul gasolio (-0,8 cent). "Per quanto riguarda la bolletta di elettricità e gas" aggiunge Tabarelli "già dal primo gennaio 2016 abbiamo avuto una riduzione di circa 60 euro per famiglia tipo. Con prezzi della materia prima a questi livelli, possiamo ipotizzare altre due riduzioni di analoga entità nel 2016".
Per il sistema-Italia il mini-greggio è una manna: la nostra economia ha visto la bolletta energetica (gli acquisti di gas e petrolio) scendere a 34,7 miliardi con un calo di quasi 10 miliardi sul 2014 e di oltre 35 miliardi rispetto al 2011. Un po’ meno contento lo Stato, che perde ogni anno circa un miliardo di introiti: "La tassazione sui prodotti petroliferi nel 2015 ha fruttato 40 miliardi di euro, uno in meno rispetto al 2014 per minore Iva" spiega il presidente di Nomisma Energia. "Nel 2016 il calo dovrebbe essere di altri 1,3 miliardi".
La mappa dell'energia
Un basso livello dei prezzi del petrolio produce alla lunga notevoli sconvolgimenti sulla mappa dell’energia. "Saranno anni estremamente difficili" ha ammesso per esempio Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’Eni. Il quale non teme grossi problemi per il gruppo di San Donato, ma mette in guardia circa le possibili ripercussioni sugli investimenti: "Non si possono fare investimenti quando si ha una visione a 50 o 60 dollari per progetti futuri che hanno un break even superiore". Un rallentamento degli investimenti alla lunga ricrea però le condizioni per un rialzo dei prezzi, perché la produzione tende a ridursi.
E poi pensate a che cosa può accadere al mondo delle energie rinnovabili: al vertice Cop21 di Parigi di fine dicembre quasi 200 Paesi hanno firmato un accordo per contenere l'aumento delle temperature globali al di sotto dei due gradi grazie a un minor utilizzo di fonti fossili, ma ora il petrolio low-cost rappresenta una crescente minaccia per l’energia verde. I prezzi del greggio, infatti, hanno fatto crollare anche le quotazioni del gas e, indirettamente, quelle del carbone. Carbone e gas sono due combustibili principali nella produzione elettrica. I costi di generazione da carbone sono ora intorno ai 30 euro per megawattora (una famiglia tipo consuma 2,7 megawattora in un anno), quelli del gas a 40 euro. Tre anni fa erano il doppio. I costi delle rinnovabili sono scesi in maniera drammatica, ma il fotovoltaico è sempre intorno ai 80-100 euro per megawattora e l’eolico verso i 60-80 euro. La competizione con le fonti da idrocarburi è adesso più difficile.
Però non è detto che il prezzo del petrolio resti a questi livelli a lungo. Intanto negli Usa sono saliti a 40 i produttori di petrolio finiti in bancarotta. "Nell’ottobre del 2014 c’erano 1.850 impianti di perforazione negli Stati Uniti, ora sono poco più di 600" ricorda a Douglas Stephens, presidente della divisione pressure pumping della Baker Hughes, una delle più grandi società nel settore della ricerca petrolifera. "Ciò che sorprende è che la produzione non è ancora scesa molto, ed è per questo che il prezzo continua a cadere. È chiaro però che ciò che sta accadendo oggi non è sostenibile. Ci saranno molte le aziende che non sopravvivranno a questa crisi. Tuttavia vediamo imprese che stanno adottando nuove tecnologie per produrre a prezzi molto più bassi di quanto abbiamo visto 15 mesi fa". Aggiunge William Gilmer, economista dell’università di Houston, in Texas: "Il prezzo del petrolio dovrebbe essere di circa 65 dollari al barile per mantenere il settore del fracking attivo e addirittura in crescita".
L'irrompere dell'Iran
Anche l’irrompere sulla scena internazionale dell’Iran non dovrebbe essere sopravvalutato: si tratta, è vero, di una supernova energetica con le maggiori riserve al mondo di gas e al quarto posto per quelle di greggio. Ma, come ricorda Descalzi, "la produzione di Teheran può aumentare nei prossimi anni di 500-600 mila barili al giorno. Il grande salto avverrà solo se l'Iran riuscirà ad attrarre circa 150 miliardi di dollari nel Paese. E sono tanti. L'industria petrolifera sta tagliando 100-150 miliardi di dollari di investimenti all'anno".
Così, mentre Goldman Sachs e Morgan Stanley prevedono per le quotazioni del petrolio una discesa fino a 20 dollari al barile, gli esperti del settore tracciano una traiettoria ben diversa: Mark Babineck della Argus Media, società di Houston specializzata in analisi sul mercato dell’energia (aveva azzeccato l'attuale calo a 30 dollari), ricorda che l’ultimo outlook di dicembre indicava per il Brent un recupero a 54 dollari al barile nel terzo trimestre di quest’anno. Tabarelli di Nomisma è sulla stessa linea: "Iran e Arabia Saudita troveranno politicamente conveniente assumere un atteggiamento più responsabile e nei prossimi mesi, forse prima della riunione di giugno, si metteranno d’accordo per far riprendere i prezzi che dovrebbero stabilizzarsi intorno ai 50 euro al barile".
Resta da capire come si sia stabilita la regola per cui le Borse debbano seguire passo passo l’andamento del greggio. "Lo si può capire in parte per l’America, che produce quasi come l’Arabia Saudita" scrive Alessandro Fugnoli di Kairos, autore di una gustosa newsletter economica pubblicata dalla società di gestione. "Lo si capisce meno per l’Eurozona e il Giappone, che di petrolio non ne hanno una goccia. Che la Borsa tedesca, così pesata sull’auto, scenda perché la benzina costa sempre meno fa una certa impressione. Si vende poco in Cina, si dice. Falso, perché grazie agli incentivi all’acquisto di auto introdotti dopo la crisi di agosto, le vendite in Cina sono andate molto bene negli ultimi mesi. Il 2016 si profila come un anno faticoso e poco gratificante, ma non tragico. Alla fine si crescerà più dell’anno scorso e l’inflazione non sarà così bassa come molti temono". Vedremo chi avrà ragione.